Israele: L'esecuzione piu' morale al mondo




Un colpo secco sparato a bruciapelo alla testa di un giovane a terra, incapace di muoversi per le ferite riportate e che non rappresentava alcun pericolo. Un’esecuzione sommaria, cui gli astanti (medici e soldati) reagiscono con un…
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Un colpo secco sparato a bruciapelo alla testa di un giovane a terra, incapace di muoversi per le ferite riportate e che non rappresentava alcun pericolo. Un’esecuzione sommaria, cui gli astanti (medici e soldati) reagiscono con un leggero, quasi impercettibile, sussulto. Succede a Hebron –e dove se no?- e il brutale video è disponibile a tutti sulla rete.
L’uomo ucciso è Abed al-Fattah Yusri al-Sharif (20), accusato insieme all’amico Ramzi al-Qasrawi (21) di aver accoltellato un soldato israeliano nei pressi della colonia illegale di Tel Rumeida, nella città vecchia di Hebron. Il soldato ha riportato ferite leggere. I due vengono colpiti dalla reazione dell’esercito che uccide sul colpo Qasrawi e ferisce gravemente al-Sharif. Passano undici lunghissimi minuti. La scientifica militare incomincia a raccogliere i dati della “scena del crimine”. Una voce in sottofondo si chiede: “Il cane è ancora vivo?”. Il cane è al-Sharif, che a terra si lamenta debolmente per le ferite. Poi dal gruppetto di soldati se ne stacca uno, prende la mira, e pianta una pallottola nella testa del palestinese da una distanza di due metri. Pochi attimi di silenzio. Poi tutto riprende, le attività della scientifica continuano. Un colono e un soldato vanno a stringere la mano all’esecutore offrendo un largo sorriso.
Il video, girato da un attivista palestinese dell’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem, ha immediatamente fatto esplodere una ridda di accuse da parte palestinese, nonché gli indignati distinguo di politici e ufficiali israeliani, pronti a difendere coi denti le azioni di quello che definiscono “l’esercito più morale al mondo”. Il militare al momento si trova agli arresti in attesa dell’indagine. Sia il capo di Stato Maggiore Gadi Eizenkot, sia il ministro della Difesa Moshe Yaalon, si sono detti determinati a mettere sotto la lente d’ingrandimento i fatti di Hebron.
Per i politici israeliani, invece, l’occasione è troppo ghiotta per non fare campagna elettorale e “sparare” a zero su chiunque si azzardi a mettere in dubbio la moralità di Tzahal. L’ex pupillo del primo ministro, segretario di Focolare Ebraico e alleato di governo Naftali Bennett, si è lanciato immediatamente alla giugulare di Netanyahu e Yaalon, accusandoli di voler gettare il soldato sotto il tram prima dell’indagine. Il ministro della difesa ha seccamente risposto che chi prova “a compiacere una violenta ed estremista minoranza –in Israele- ci porterà all’anarchia”. Netanyahu, prima ha condannato l’esecuzione, poi ha ritrattato, poi ha lodato la moralità dell’esercito, e alla fine a messo a cuccia Bennett che provava a mettere in dubbio la sua fedeltà verso Tzahal.
Ma la “minoranza estremista” cui si riferisce Yaalon, è tutt’altro che minoranza. Secondo un sondaggio del principale canale d’informazione israeliano, Channel 2, il 57% degli intervistati sì e detto contrario all’arresto del militare, con solo il 5% a definire l’esecuzione del palestinese “un omicidio”. Secondo un altro sondaggio, pubblicato dal quotidiano della sinistra sionista Maariv, il 42% ritiene che il soldato abbia agito “responsabilmente”.
In una lettera pubblicata dai media israeliani questa mattina, la madre del soldato si è appellata al ministro della difesa. Nella missiva la madre ricorda a Yaalon il suo ruolo nell’assassinio del leader palestinese in esilio in Tunisia Abu Jihad (Khalil Al Wazir), ucciso da un commando guidato dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak e di cui faceva parte, apparentemente, anche Yaalon. “Siamo nella stessa situazione, mio figlio aveva difronte un terrorista, ma adesso tu sei diventato “l’uomo buono” e mio figlio e considerato un assassino”.
Ma chi è il soldato che ha sparato? Ma soprattutto, che cosa gli è passato per la testa negli undici lunghissimi minuti che vanno da ferimento del palestinese alla sua spietata esecuzione? Il blogger indipendente israeliano Richard Silverstein, che ha spesso svelato informazioni censurate dalle autorità israeliane, ha pubblicato una foto e il nome del soldato: Elor Azarya è il suo nome, originario di Bet Shemesh. Silverstein sostiene, basandosi sul profilo Facebook del soldato, che questi sia un “devoto sostenitore” della squadra di calcio Beitar di Gerusalemme. I tifosi del Beitar, i cui ultras si sono attribuiti il nome “La Famiglia”, sono noti in Israele per essere violenti e razzisti. Il loro coro più gettonato allo stadio è “Morte agli Arabi”. Il soldato sembra essere anche un sostenitore dell’ormai fuori legge partito Kach, fondato dal rabbino israelo-americano Meir Kahane. Questi, dopo una breve parentesi in parlamento (Knesset), fu accusato di terrorismo, razzismo e islamofobia, e, ritornato negli USA, ucciso a New York da un arabo americano.
Il legale del soldato ha dichiarato che Azarya “ha agito secondo le regole d’ingaggio suggerite dai suoi superiori”. C’è del vero in quello che dice. Dall’inizio dell’ondata di violenza iniziata nel settembre scorso, nella quale hanno trovato la morte 30 israeliani e più di 200 palestinesi accusati di voler o di aver perpetrato attacchi contro israeliani, innumerevoli membri del paramento e del governo continuano a sostenere la politica dello “shoot to kill” (sparare per uccidere). Questo controverso tipo di ingaggio ha incontrato le feroci critiche delle principali organizzazioni dei diritti umani locali e internazionali come B’Tselem, Al Haq, Human Rights Watch e Amnesty International. L’unico a distaccarsi, almeno a parole, da questa posizione maggioritaria, è stato il capo di stato maggiore israeliano Gadi Eisenkot. “Non voglio vedere soldati scaricare i caricatori su ragazzine che brandeggiano delle forbici” ha detto riferendosi all’uccisione a Gerusalemme di una ragazzina palestinese di 14 anni dopo che questa aveva tentato di attaccare un passante con delle forbici. Intanto, l’Autorità palestinese (Anp) e l’OLP continuano a tirare la sottana di mamma ONU, per avere, secondo loro, giustizia. Una caterva di dichiarazioni accorate, accuse e strali da parte palestinese, europea e addirittura americana, si sono succedute negli ultimi sei mesi. Niente è cambiato.
Ma per spiegare l’azione del soldato israeliano, forse, c’è qualcosa di più delle contingenze del momento e delle pressioni di politici senza scrupoli. Quando fanno il servizio militare obbligatorio (3 anni per i ragazzi e 2 per le ragazze), i giovani di Israele vengono inviati nei Territori occupati. Qui, spesso, sono utilizzati in pratiche che disumanizzano la popolazione palestinese e loro stessi (arresti arbitrari, soppressione di proteste, raid notturni in abitazioni civili, detenzione di minori). In pratica, una continua e capillare soppressione dei diritti civili dei palestinesi. Ben guidati da superiori e dalle famiglie, i giovani razionalizzano questi abusi con una narrazione che si appella al vittimismo ancestrale del popolo ebraico, e giustificano le proprie azioni sostenendo che Israele detenga la più alta autorità morale del mondo. Tutto questo mentre la costruzione di nuove colonie illegali e l’esproprio di terre palestinesi procede inevitabilmente, come un copione già scritto, ma con alcuni attori –di secondo piano- che non ci stanno a recitar la parte.
Chi tra i soldati non si presta ad abbruttirsi e ad abbruttire, dopo il servizio, diventa attivista o simili. Per Breaking the Silence ad esempio, assicurandosi un destino da paria e traditore agli occhi della società israeliana. Per dare la cifra dell’astio contro chi mette in dubbio la moralità di Tzahal, basta segnalare le continue minacce di morte telefoniche che l’autore del video, l’attivista palestinese di B’Tselem Emad Abu Shamsiya, continua a ricevere quotidianamente come riportato dalla stampa israeliana.
A riguardare il video si rimane perplessi. La scena si svolge in una calma surreale. Anche l’esecuzione non desta nei presenti più attenzione del latrato improvviso di un cane. Come quando si finisce una bestia ferita che ancora rantola e non ne vuol sapere di morire. E la si sopprime, senza remore o rimorsi.
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