Il progetto Aisha: I musulmani contro la violenza sulle donne
«La
violenza sulle donne – ammoniva in occasione dell’8 marzo il presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella – è ancora una piaga della nostra
società». Di fronte a numeri impietosi, che raccontano di un Paese, il
nostro, nel quale le donne…
riforma.it
A
Milano è partito il progetto Aisha, un’idea del Coordinamento delle
associazioni islamiche di Milano e Monza-Brianza per contrastare la
violenza nei confronti delle donne
«La
violenza sulle donne – ammoniva in occasione dell’8 marzo il presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella – è ancora una piaga della nostra
società». Di fronte a numeri impietosi, che raccontano di un Paese, il
nostro, nel quale le donne subiscono quotidianamente violenze di ogni
genere, fisiche ma non soltanto, l’unica strada da percorrere è quella
dell’impegno.
Spesso, inoltre, si punta il dito verso le
comunità musulmane, ritenute particolarmente esposte a questo problema.
Anche per rispondere a queste accuse, all’inizio del mese di marzo il Caim,
il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e
Monza-Brianza, è diventata la prima realtà musulmana in Italia a
lanciare un’iniziativa che intende dare un contributo al difficile
cammino della promozione dei diritti delle donne e del superamento delle
violenze.
Il progetto si chiama Aisha, un nome arabo che significa “viva”, e secondo le intenzioni della coordinatrice, Sumaya Abdel Qader,
sociologa di origine palestinese e responsabile cultura e dialogo
interreligioso del Caim, le strade da percorrere sono tre:
«sensibilizzazione, formazione e prevenzione».
A fronte di un nome semplice da ricordare,
il progetto si occupa di un problema molto difficile da affrontare. La
violenza, o le violenze, contro le donne, riguarda tutti. Dopo i fatti
di Colonia, si è parlato di un problema specifico di violenza nei
confronti delle donne all'interno delle comunità islamiche. È veramente
così?
«No, il problema della violenza non riguarda in
modo specifico e particolare le comunità islamiche, questo lo dicono
anche i dati. Il meccanismo è lo stesso ovunque: l'uomo cerca di
esercitare un potere sulla donna, sia religioso che economico e
politico. Tuttavia, il problema esiste, e proprio per questo siamo
pienamente attivi per contrastarlo in ogni modo possibile.
C'è da dire, comunque, che in questo periodo
l'Islam è sotto i riflettori e anche abbastanza bersagliato, per cui
emerge maggiormente la condizione difficile di molte donne musulmane in
alcuni paesi a maggioranza islamica, e questo porta anche a parlarne di
più. La verità è che il problema è trasversale, e i dati dimostrano che
le violenze sulle donne sono simili in tutte le comunità, sia tra gli
italiani che tra le persone di altra origine e provenienza».
È uguale anche la necessità di rispondere
al problema, e il progetto Aisha si colloca proprio in questo ambito. In
che cosa consiste?
«Principalmente in tre punti: sensibilizzazione,
formazione e prevenzione. Con la sensibilizzazione vogliamo riconoscere
innanzitutto che esiste un problema e vogliamo parlarne in modi semplici
e diretti in modo che si arrivi a tutta la popolazione. Siamo partiti a
inizio marzo con uno spot, che sta girando su web e tv e poi con alcune
iniziative sul territorio. Per esempio ci stiamo concentrando sulle
manifestazioni sportive: di recente abbiamo organizzato una
biciclettata, e presto ci saranno partite di calcio e di pallavolo che
coinvolgeranno le donne. Ci tengo a dirlo, le nostre iniziative
coinvolgono donne musulmane e non, proprio per dire un “no” alla
violenza contro le donne e alla loro discriminazione in modo ancora più
ampio».
Tra le attività di formazione, invece?
«Stiamo avviando dei corsi, rivolti ai
responsabili e ai dirigenti di comunità e ad alcune donne che
individueremo all'interno delle comunità affinché siano in grado di
riconoscere le violenze e attivare le migliori procedure per aiutare chi
le subisce. Spesso, infatti, le donne delle comunità si lamentano che
gli imam non sanno dare risposte adeguate in caso di violenza domestica,
alcuni addirittura a volte non credono ai racconti di abusi. Gli
esperti che coinvolgeremo spiegheranno quindi come riconoscere i segnali
di violenza all’interno delle famiglie, e questo ci porta al passo
successivo, quello dell’assistenza e della prevenzione: cercheremo di
accompagnare le donne nei loro percorsi difficili, creando prima di
tutto un punto di ascolto per le vittime, e poi lavorando sulla
prevenzione, in particolar modo sui giovani. Infatti, partiranno anche
dei corsi alla sessualità e all’affettività rivolti agli adolescenti,
che hanno diritto a fare delle domande sul tema e a ricevere delle
risposte. La prevenzione nasce dal basso, e quindi dall’educazione delle
giovani generazioni».
All'interno delle comunità, e in particolare tra gli uomini, com'è stato accolto questo progetto?
«Tendenzialmente bene, tant'è che abbiamo avuto un
buon sostegno e supporto da parte degli uomini, che sono anche attivi
all'interno del progetto. È un progetto non esclusivamente femminile.
Certo, c'è qualcuno che ha storto il naso, ha protestato o fatto un po'
di polemica, ma le critiche fanno parte del gioco, ce le aspettavamo, le
abbiamo affrontate e le affrontiamo ogni giorno».
Si potrà diffondere anche al di fuori delle comunità di Milano?
«Certamente. In realtà abbiamo ricevuto diverse
richieste da altre città d'Italia che ci hanno chiesto di replicare il
progetto. Ci stiamo pensando, anche se in questo momento stiamo cercando
di stabilizzarci a Milano perché già così gli impegni sono tantissimi.
In ogni caso stiamo creando un tavolo condiviso con chi è interessato in
altre città a sviluppare il progetto in modo che ci seguano da vicino,
conoscano le azioni nelle loro parti più articolate, si preparino e poi
lo possano replicare dove vorranno».
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