GAZA. Sanità in ginocchio, vittima del blocco e dei conflitti politici


Intervista ad Angelo Stefanini è stato Coordinatore dei programmi sanitari della Cooperazione Italiana nei Territori Palestinesi Occupati dal 2008 al 2011 e…
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Intervista ad Angelo Stefanini, Coordinatore dei programmi sanitari della Cooperazione Italiana nei Territori Palestinesi Occupati dal 2008 al 2011 e rappresentante a Gerusalemme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002


Intervista di Federica Iezzi

Gaza, 10 marzo 2016, Nena News – A seguire l’intervista realizzata da Federica Iezzi ad Angelo Stefanini, Coordinatore dei programmi sanitari della Cooperazione Italiana nei Territori Palestinesi Occupati dal 2008 al 2011 e rappresentante a Gerusalemme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002.
Com’è la situazione sanitaria a Gaza oggi?
La situazione sanitaria palestinese è frutto di tutta la sua storia. La caratteristica principale è quella della sua frammentazione. Frammentazione tra il Ministero della Sanità, l’UNRWA e le varie Organizzazioni Non Governative palestinesi e internazionali. Ognuna delle ONG ha la propria storia, loyalty, ambiti e compiti specifici. Nessuna inoltre sembra essere esente da posizioni politiche, anche se tutte si dichiarano apolitiche. Uno dei fattori principali che impattano e che sono responsabili di come si sta sviluppando o desviluppando il sistema sanitario sia in Cisgiordania sia a Gaza, risulta essere proprio la Comunità Internazionale con i suoi aiuti. L’enormità di aiuti che riceve un palestinese pro-capite è mal distribuita e consegnata con poca coerenza. E questo riflette il senso di colpa che ha la stessa Comunità Internazionale per non riuscire a risolvere la situazione politica. Anche se gli aiuti si pensa abbiano solo un impatto di tipo tecnico, in una situazione di conflitto come nei Territori Palestinesi, hanno indubbiamente un impatto sull’andamento di quello che una volta chiamavano ‘processo di pace’. Perché? Perché l’aiuto avrà un suo destinatario preciso che può essere una famiglia, un ospedale, un settore all’interno del sistema sanitario, una ONG locale, il Ministero della Sanità, l’UNRWA. Il fatto stesso che si aiuti uno e non evidentemente l’altro crea già i presupposti per un conflitto interno. Se con uno specifico aiuto viene rinforzata una sezione, viene indebolita in qualche modo l’altra, quindi inevitabilmente gli aiuti hanno un effetto divisivo nelle dinamiche interne.
L’effetto divisivo è visibile anche sulla popolazione?
Purtroppo anche sui civili. In queste ore un’enorme quantità di aiuti sta arrivando dagli Stati Uniti, per essere indirizzati esclusivamente al settore privato sanitario palestinese. Questo vuol dire che si va a rafforzare uno degli attori del sistema sanitario, a scapito dell’altro. E quindi a privilegiare uno degli attori che non dovrebbe essere il principale. Il sistema sanitario di un Paese democratico in genere dovrebbe essere gestito e governato dalla struttura politica. Le politiche sanitarie sono parte dell’entità governativa. In questo caso si rafforza un attore in un modo che decide il mondo esterno. Quindi anche il processo dell’identificazione delle priorità che, per definizione, è un percorso politico viene ad essere completamente scavalcato.
E’ una mossa politica da parte degli Stati Uniti?
Non forse esplicitamente ma in modo piuttosto ovvio, il Ministero della Sanità di Ramallah non ha mai avuto nessuna intenzione di rafforzare la sanità di Gaza, perchè il successo di questa sulla Striscia, sarebbe stato equivalente a un successo di Hamas. Le aspettative e le politiche di Fatah sono uno dei fattori principali che deframmentano il sistema sanitario gazawi.
Come l’occupazione ha modellato gli attuali sistemi sanitari a Gaza?
La situazione di Gaza è asimmetrica per la prevalenza di rifugiati. Ne consegue un autorevole potere dell’UNRWA, con i suoi interventi di alta qualità che operano solo in parallelo con il Ministero della Sanità gazawi. Un esempio è proprio la gestione ‘privata’ delle loro cliniche per la Primary Health Care. Uno dei progetti portati avanti dalla Ong Palestine Children’s Relief Fund Italia, al momento sostenuto dalla Regione Toscana, “Cooperazione sanitaria pediatrica per l’emergenza a Gaza”, prevede proprio l’organizzazione di un workshop per permettere prima di tutto la comunicazione tra le parti. Il fine ultimo è la collaborazione tra UNRWA, con i suoi centri sanitari che coprono il 70% del fabbisogno a Gaza, Ministero della Sanità, con i suoi servizi, i suoi ospedali e le sue strutture sanitarie, e altre ONG indipendenti. Le conseguenze dell’erogazione dei servizi in maniera frammentaria sono: le destinazioni difformi e la ripetizione degli stessi esami per la stessa persona in seno ai tre attori sanitari principali. L’impatto degli aiuti paradossalmente ha un effetto divisivo, rallenta il processo di pace e acuisce il conflitto, aumentando le divisioni e le discrepanze.
Quali sono le colpe dell’occupazione?
Alle morti legate alle offensive militari israeliane su Gaza, è da aggiungere una violenza strutturale, dovuta a una quotidiana perdita di salute per la situazione di povertà, di stress, di condizioni psicosociali degradanti. In Cisgiordania la violenza è indiretta, più subdola, fatta dalla frustrazione quotidiana di chi non riesce a muoversi, dalla demolizione delle case, dalle incursioni militari notturne, dalla paura per la tortura nelle carceri. Questo ha un impatto devastante nella stessa salute della popolazione. L’accesso ai materiali sanitari a Gaza è ridotto in modo considerevole. Per esempio, tutti i farmaci che vengono destinati alla Striscia devono attraversare il Central Store di Ramallah e spesso non ricevono il nulla-osta al passaggio.
L’ostruzionismo non è evidente, non è eclatante ma si percepisce chiaramente. Ancora, la qualità delle prestazioni mediche e dei servizi nei Territori Palestinesi continua a inclinarsi perchè se un medico palestinese non ha la libertà di partecipare a meeting o conferenze internazionali, non ha la possibilità di confrontarsi con altri medici, non può aggiornarsi per mezzo della lettura di articoli scientifici, non avrà mai uno stimolo a migliorare e ad aumentare il suo standard qualitativo. Possibile che non si possa fare in modo che i donatori si assumano le proprie responsabilità dal punto di vista di accountability? Se con un aiuto si crea un problema è responsabilità del donatore la risoluzione del problema.
La Comunità Internazionale fa di tutto per aiutare i palestinesi, però non riesce a smuovere di un millimetro la posizione di Israele da un punto di vista politico, dal punto di vista dell’occupazione. Mantenere lo status-quo vuol dire normalizzare una situazione che è inaccettabile secondo le norme del Diritto Internazionale Umanitario. E in questo modo la Comunità Internazionale si ritrova paradossalmente a sovvenzionare Israele. Secondo la quarta Convenzione di Ginevra, il Paese occupante ha la responsabilità del benessere del Paese occupato, e invece a Gaza la garanzia è data dalla Comunità Internazionale a proprie spese. E i fondi che Israele non spende per il benessere del Paese occupato, magari li spende per armamenti militari.
Come si può migliorare la salute della popolazione di Gaza?
Devono prima di tutto migliorare le condizioni di vita e i determinanti sociali, quali, il livello di occupazione, l’istruzione, la qualità della quotidianità. Ma finché si ha un Paese che viene mantenuto a livello minimo anche di alimentazione, tanti discorsi hanno poco senso. Il sistema può essere migliorato capillarizzando e uniformando i servizi sanitari di base, secondo i bisogni reali della popolazione. Sempre con l’idea del ‘primum non nocere’, quindi senza creare più divisioni di quelle che già sono presenti, a causa della non corretta distribuzione degli aiuti.
Il territorio di Gaza è ben coperto dai Primary Health Care che però non hanno tutti lo stesso livello di qualificazione. I centri dell’UNRWA sono molto più efficaci, molto meglio organizzati, molto meglio forniti rispetto a quelli del Ministero della Sanità. Perché gli investimenti sono maggiori, perché hanno un personale selezionato in base a qualità e non in base all’appartenenza politica. Nei Centri si inizia a portare avanti il programma della ‘Family Health Team’, in cui il personale sanitario lavora in maniera multidisciplinare avendo come target la famiglia nella sua interezza. Questo significa mirare l’intervento sanitario al benessere globale della famiglia. Nena News

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