Amira Hass : Pensa alla Striscia di Gaza la prossima volta che bevi acqua del rubinetto.
Pensa
alla Striscia di Gaza la prossima volta che bevi acqua del rubinetto.
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zeitun.info
Il
modo più facile, rapido e logico di prevenire un disastro umanitario ed
ecologico sarebbe fornire acqua molto più a buon mercato da Israele
nella Striscia.
di Amira Hass- 22 marzo 2016
Oggi, quando apri il tuo rubinetto,
pensa alla Striscia di Gaza, dove centinaia di migliaia di bambini e
ragazzi non sono abituati ad una cosa magnifica come bere acqua del
rubinetto. Gli adulti hanno ormai scordato com’è facile dargli un giro,
vedere l’acqua scorrere e sentire il suono che si riduce mano a mano che
il bicchiere si riempie.
Ora devono andare giù in strada,
aspettare che arrivi un camion con una cisterna di acqua potabilizzata,
riempire qualche bottiglione e portarlo in casa, sperando che ci sia
l’elettricità e che l’ascensore stia funzionando. Ogni metro cubo di
acqua desalinizzata costa da 25 a 30 shekel (da 5,8 a 6,9 €), rispetto a
1 o 3 shekel (0,23 o 0,7 centesimi di €) del servizio idrico.
Oggi, quando ti lavi la faccia, pensa
all’acqua che esce dai rubinetti di Gaza. E’ oleosa e ti lascia una
patina salmastra. I vestiti lavati sembrano rigidi a causa del fatto che
l’acqua è mescolata con quella di mare, con liquami e pesticidi.
A Gaza il 95% circa dell’acqua del
rubinetto non è potabile. Questa è la ragione per cui c’è una notevole
dipendenza delle 145 infrastrutture pubbliche e private dall’acqua
desalinizzata e potabilizzata. Ora il gruppo di “Emergenza per la
Purificazione dell’acqua e per l’igiene” (EWASH), un consorzio di
organizzazioni locali ed internazionali che affronta i problemi
dell’acqua e dell’igienizzazione in Cisgiordania e nella Striscia di
Gaza, sta avvertendo che circa il 68% di quest’acqua purificata è
esposta a contaminazioni biologiche.
Circa 200 milioni di metri cubi sono
estratti ogni anno dalle falde acquifere di Gaza, che sono rinnovate
solo con 55-60 milioni di metri cubi, la stessa quantità di 80 anni fa,
quando ci vivevano solo 80.000 persone, rispetto alle attuali 1 milione
800 mila. Israele vende solo una quantità minima di acqua a Gaza, tra i 5
e gli 8 milioni di metri cubi all’anno. Le Nazioni Unite hanno
avvertito che nel 2020 il danno alle falde acquifere sarà irreversibile.
Il modo più facile, rapido e logico
per bloccare questo disastro umanitario ed ecologico sarebbe pompare
acqua molto più economica da Israele alla Striscia. La nazione dell’
high-tech e dell’irrigazione a goccia può sicuramente organizzare tutto
ciò.
Ma l’Autorità Nazionale Palestinese e
i Paesi donatori stanno progettando grandi impianti di desalinizzazione
dell’acqua di mare, la cui produzione è stata rimandata a causa delle
restrizioni imposte da Israele all’introduzione di materiali e della
irregolare fornitura di elettricità. L’ANP spiega il proprio impegno per
questa soluzione costosa e anti-ecologica con il suo desiderio di
minimizzare la dipendenza nei confronti di Israele. Però non si fa
nessun problema a comprare più acqua da Israele per la Cisgiordania, 50
milioni di metri cubi all’anno, il doppio di quanto prevedessero gli
accordi di Oslo.
Dunque le ragioni della sua
opposizione risiedono altrove. Teme che il governo di Hamas non si
preoccuperebbe di pagare le bollette dell’acqua, come è successo con
quelle dell’elettricità. Israele dedurrebbe dunque quanto dovuto
direttamente dai diritti doganali che riscuote per l’ANP e trasferisce a
Ramallah [sede dell’ANP. Ndtr]. Ancora una volta il popolo palestinese è
intrappolato nella faida tra Fatah e Hamas.
Ma il problema è iniziato molto prima
che a Gaza si instaurasse il regime di Hamas. Gli accordi di Oslo hanno
definito Gaza come autosufficiente per quanto riguarda la produzione ed
il consumo di acqua. Si tratta di una delle più chiare prove possibili
che fin da allora Israele aveva intenzione di separare Gaza dalla
Cisgiordania, a differenza di quanto c’era scritto [negli accordi]. Lo
stesso accordo ha imposto una distribuzione vergognosamente
discriminatoria dell’acqua dalle sorgenti montane della Cisgiordania,
con l’80% destinato agli israeliani (all’interno di Israele e nelle
colonie) e il 20% per i palestinesi. L’attuale proporzione da allora è
solo peggiorata, perché i pozzi palestinesi sono vecchi e le nuove
perforazioni permesse da Israele si sono dimostrate meno fruttuose del
previsto.
Il grandioso progetto di
desalinizzazione dell’acqua marina a Gaza nasconde il peccato originale
ecologico e politico: trattare Gaza come un’isola separata dal resto del
Paese.
Molti residenti di Gaza e consumatori
di acqua che non hanno sono originari di città e villaggi che sono oggi
in territorio israeliano. A livello simbolico, ottenere il diritto
all’acqua prodotta dagli israeliani è quasi come un riconoscimento del
diritto al ritorno. A livello politico, può e ci deve essere un notevole
incremento nella quantità di acqua fornita da Israele in compensazione
dell’acqua che Israele ha rubato e continua a rubare ai palestinesi.
Sarebbe un riconoscimento del nostro dovere di condividere equamente le
sorgenti d’acqua tra arabi ed ebrei, un principio che non siamo pronti
ad accettare.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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