La paralisi politica in Palestina



 
 
 
 
 
La paralisi politica in Palestina - Di Omran Shroufi. Your Middle East (12/02/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone. Il 2015 si è concluso con una serie di pressanti domande ci
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Di Omran Shroufi. Your Middle East (12/02/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone.
Il 2015 si è concluso con una serie di pressanti domande circa il futuro della leadership palestinese e la sopravvivenza delle sue fragili strutture governative. In assenza di facili risposte, né l’Autorità Palestinese né i suoi sostenitori esterni sembrano voler promuovere significativi cambiamenti allo status quo.
Una delle prospettive è l’allontanamento del presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Mahmoud Abbas, che lo scorso agosto ha annunciato la sua volontà di dimettersi. Alcuni hanno letto la sua mossa come una sorta di minaccia in risposta all’intransigenza israeliana, ma più probabilmente si tratta di una manovra politica volta a cercare consensi. Resta il fatto che la popolarità di Abbas continua a calare, e, d’altra parte, l’età e la salute non sono dalla sua parte. Se a ciò si aggiungono le divisioni interne di Fatah e la crescente sfiducia, è difficile essere ottimisti sul suo futuro politico.
Ma la speculazione su una Palestina post-Abbas rivela la sconcertante assenza di qualsiasi figura adatta a ricoprire la posizione di presidente, se si esclude il leader Marwan Barghouti, che Israele non ha alcuna fretta di scarcerare. Inoltre, Fatah non vanta alcuna figura politica che possa competere con la popolarità del leader di Hamas, Ismail Haniyeh. La sfida più grande circa il potenziale successore è quella di trovare qualcuno che goda di supporto tra la popolazione e che sia inoltre appoggiato dai sostenitori dell’Autorità Palestinese, ossia l’Unione Europea, gli Stati Uniti e Israele, ed è difficile che il popolo supporti un leader con le mani legate dalle richieste degli israeliani. Solo nuove e libere elezioni potrebbero assicurare tale legittimità, ma nessuno ha fretta di indirle.
L’incertezza che circonda l’Autorità Palestinese conferma solo la diffusa credenza tra larghe fette dell’elettorato palestinese, in particolare quello più giovane, che un reale cambiamento richieda un’azione diretta al di fuori del quadro delle opache strutture politiche. La frustrazione e la disperazione hanno spinto un gran numero di giovani a portare avanti futili e, spesso, mortali, attacchi contro cittadini, soldati e agenti delle forze di sicurezza israeliani, pur sapendo di andare incontro a morte quasi certa nel corso di quelle che sono state definite “esecuzioni extragiudiziarie”. Queste manifestazioni hanno interessato gran parte della generazione del post-Oslo, che ha visto nascere e crescere insediamenti israeliani sulla terra promessa allo Stato palestinese nel 1993. In tale scenario, l’intifada dei singoli potrebbe sfociare in ribellioni su più larga scala.
Intanto, in Israele, il leader dell’opposizione, Isaac Herzog, ha recentemente affermato che la soluzione a due Stati è impossibile a queste condizioni, e ha proposto invece che Israele si concentri sul completamento del muro di separazione negli insediamenti in Cisgiordania. L’attuale coalizione di governo israeliana include ministri che avanzano proposte ancora più radicali e nessuna voce ufficiale sembra voler andare incontro alle richieste palestinesi. Il primo ministro Benjamin Netanyahu sembra aspettare il suo momento, sperando che il mondo (e, in particolare, l’Europa) “rinsavisca” e si accorga che uno Stato israeliano forte ha l’effettiva capacità di proteggere l’Occidente dall’Oriente, offrendo sicurezza in un’era di terrorismo globale. In tutto ciò, la lenta ma inesorabile avanzata sulle terre palestinesi continua, mentre Israele annuncia piani per insediamenti nella Valle del Giordano.
Nonostante ciò, le aspre critiche da parte dell’ambasciatore statunitense a Tel Aviv fanno presagire che il 2016 non sarà così facile per Israele. Ma è la corsa alle elezioni presidenziali a dominare la scena politica americana e, dunque, un coinvolgimento statunitense per ricominciare i negoziati di pace sembra improbabile. Mentre gli USA fanno un passo indietro, sarà l’Europa ad essere sempre più coinvolta, mentre si susseguono gli inviti a “partecipare, non solo finanziare”. Sicuramente, in teoria, l’Europa potrebbe fare molto di più, come imporre sanzioni o mettere al bando i prodotti israeliani ma, in pratica, rimane una questione relegata al campo della politica estera, che è ancora area di competenza nazionale.
Nel corso del 2016, la paralisi interna in Palestina farà si che la leadership dell’Autorità Palestinese si tenga lontana da ogni rischio. Israele, intanto, spera che il caos regionale favorisca la sua posizione di vantaggio, mentre le reazioni europee e statunitensi si prospettano limitate. Questi fattori non sono un buon presagio per coloro che auspicano un progresso reale nel conflitto israelo-palestinese. I disordini politici e le manifestazioni, in ogni caso, dovrebbero fungere da duro monito sul fatto che la società palestinese non accetterà ancora a lungo la via della diplomazia. Con la leadership palestinese e i suoi sostenitori che esitano ad esplicitare qualsiasi mossa, un crescente numero di attivisti, in Palestina e altrove, continuano a credere che qualsiasi soluzione futura debba partire dal basso, che sia attraverso campagne, boicottaggi, proteste o disobbedienza civile.
Omran Shroufi è un giornalista specializzato su questioni relative all’Europa e al Medio Oriente.

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