Gerusalemme, arrestato il corrispondente del Washington Post


 
 
 
 
 
 
Il portavoce della polizia israeliana ha provato a sminuire l’accaduto. «Una volta chiarito che non vi era alcuna attività criminale (in atto)», ha detto, tutti i presenti…
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Il portavoce della polizia israeliana ha provato a sminuire l’accaduto. «Una volta chiarito che non vi era alcuna attività criminale (in atto)», ha detto, tutti i presenti compreso il giornalista del Washington Post, «sono stati rilasciati». Non è bastato a placare il clamore provocato dal fermo/arresto ieri mattina alla Porta di Damasco di William Booth, il capo dell’ufficio di corrispondenza del quotidiano statunitense, assieme a due suoi colleghi, Sufian Taha e Ruth Marks Eglash. È stato un “equivoco” hanno assicurato le autorità israeliane. Dalla Germania, dove era in visita ufficiale, è intervenuto lo stesso premier Netanyahu per riaffermare la libertà di stampa garantita, ha sostenuto, dal suo Paese. L’accaduto invece è inquietante perchè si inserisce nel clima di questi ultimi mesi, da quando è cominciata l’Intifada di Gerusalemme, in cui troppe volte i giornalisti stranieri sono stati accusati dalle autorità israeliane di fare titoli “errati”, dando precedenza all’uccisione di palestinesi invece che agli attacchi con coltelli, veri e presunti, contro gli israeliani.
William Booth e i suoi colleghi sono stati portati alla stazione di polizia con l’accusa di aver cercato di «istigare, organizzare una manifestazione» politica. Il fermo è avvenuto sulla base di una «soffiata» di un «passante», così l’hanno definito i media israeliani. Questa persona avrebbe allertato i poliziotti presenti alla Porta di Damasco – l’ingresso principale della città vecchia di Gerusalemme divenuto di recente uno dei punti principali di tensione e sparatorie – sostenendo di aver ascoltato una conversazione «pericolosa» tra una «araba» e il giornalista americano. La donna, sempre secondo questa persona, avrebbe detto a Booth «Se dai qualche soldo a questi ragazzini qui intorno, faranno subito una manifestazione così potrai girare buone immagini». Gli agenti sono intervenuti arrestando il giornalista americano e i suoi colleghi. Poi una volta giunti alla stazione di polizia la denuncia è apparsa del tutto infondata e sono stati liberati. Il portavoce della polizia nega che si sia trattato di un arresto.
«La libertà dell’informazione — ha commentato il direttore dell’ufficio stampa governativo Nitzan Chen, in un comunicato — resta un valore supremo nella democrazia israeliana. Israele fa il massimo per garantire alla stampa estera di lavorare liberamente, senza alcuna pressione». Proprio Chen però qualche giorno fa aveva minacciato di revocare l’accredito a quei giornalisti stranieri che faranno titoli e scriveranno notizie in modo «errato», secondo il punto di vista israeliano naturalmente. E non è un fatto secondario che la scorsa settimana si sia tenuta alla Knesset un’audizione su un presunto pregiudizio anti-Israele da parte dei media stranieri. Un passo al quale ha risposto l’Associazione della Stampa Estera: «La legittimità della campagna israeliana contro il terrorismo è interamente determinata da come Israele la conduce. Non ha nulla a che vedere con i media stranieri».

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