Uri Avnery : Israele, Stato troppo ebraico e troppo poco democratico
Nel
Paese il governo è in mano all’estrema destra, con alcuni elementi che
in qualunque altra parte del mondo sarebbero definiti “fascisti”. Il
centro e la sinistra…
Di AsiaNews.it
Nel Paese il governo è in mano all’estrema destra, con alcuni elementi che in qualunque altra parte del mondo sarebbero definiti “fascisti”. Il centro e la sinistra sono impotenti. L’unico vero conflitto politico in corso è fra la destra radicale e la destra estremista, ancora più radicale. E per quanto riguarda la democrazia… Meglio non parlarne. Un editoriale di Uri Avnery, ex parlamentare israeliano, scrittore e attivista per la pace. (Da Gush Shalom. Traduzione italiana a cura di AsiaNews).
Per quanto riguarda il termine “democratico”, questo è stato più o meno vero dalla fondazione dello Stato nel 1948 fino alla Guerra dei Sei giorni del 1967, quando sfortunatamente Israele ha conquistato la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, Gerusalemme est e il Golan. E ovviamente la penisola del Sinai, poi restituita all’Egitto. (Dico “più o meno” democratico perché non esiste una nazione completamente democratica in tutto il mondo).
Dal 1967, Israele è stata una creazione ibrida: una metà democratica e un’altra metà dittatoriale. Proprio come un uovo che sia per metà fresco e per metà marcio. I territori occupati, dovremmo ricordarlo, consistono di almeno quattro diverse categorie.
- Gerusalemme est, che è stata annessa da Israele nel 1967 e ora fa parte della capitale israeliana. I suoi abitanti palestinesi non sono stati accettati come cittadini israeliani o non hanno richiesto la cittadinanza. Sono semplici “residenti”, senza alcun diritto di cittadinanza.
- Le alture del Golan, un tempo parte della Siria, che sono state annesse da Israele. I pochi residenti arabi e drusi che rimangono lì sono riluttanti cittadini israeliani.
- La Striscia di Gaza, del tutto tagliata fuori dal mondo, da Egitto e Israele, che agiscono in collusione. La Marina israeliana taglia anche l’accesso al mare. Il minimo necessario per sopravvivere può passare soltanto da Israele. Ariel Sharon ha rimosso gli ultimi insediamenti ebraici da quest’area, che non è reclamata da Israele. Troppi arabi.
- La Cisgiordania (o il fiume Giordano), che il governo israeliano e i cittadini israeliani della destra nazionalista chiamano con i loro nomi biblici “Giudea e Samaria”. Qui vive la maggior parte della popolazione palestinese (circa 3,5 milioni di persone) e qui si svolge la battaglia principale.
Un risultato molto difficile da raggiungere. Nel 1948, durante la nostra cosiddetta “Guerra di indipendenza”, Israele ha conquistato un territorio molto più esteso di quanto fosse stato concesso dalle Nazioni Unite, ma è stato perdonato. Metà della popolazione palestinese residente nell’area è stata mandata via o ha scelto di andarsene. Il “fatto compiuto” è stato più o meno accettato dal mondo, perché era stato raggiunto con mezzi militari in una guerra iniziata dal lato arabo e perché è avvenuto poco dopo l’Olocausto.
Nel 1967, la situazione era abbastanza diversa. Le cause della nuova guerra furono contestate, Davide si era trasformato in Golia, una Guerra fredda mondiale era in corso. Le conquiste israeliane non furono riconosciute, nemmeno dal protettore di Israele: gli Stati Uniti.
Nonostante diverse altre guerre arabo-israeliane, la fine della Guerra fredda e molti altri cambiamenti, la situazione non è cambiata. Israele si definisce ancora uno “Stato ebraico e democratico”. La popolazione del “Grande Israele” è per ora metà ebraica e metà araba, con questi ultimi in aumento. Israele propriamente detto è ancora più o meno democratico.
Nei territori palestinesi occupati è in carica un “governo militare” dittatoriale con centinaia di migliaia di coloni che cercano di cacciare la popolazione araba palestinese con ogni mezzo, incluse acquisizione fraudolente di terre e terrorismo (chiamato “rappresaglia”).
In Israele il governo è in mano all’estrema destra, con alcuni elementi che in qualunque altra parte del mondo sarebbero definiti “fascisti”. Il centro e la sinistra sono impotenti. L’unico vero conflitto politico in corso è fra la destra radicale e la destra estremista, ancora più radicale. Questa settimana, una furiosa battaglia è esplosa fra Binyamin Netanyahu – insieme al suo ministro della Difesa Bogie Ya’alon, entrambi del partito Likud – e il ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, leader del Jewish Home Party.
Bennett (a sinistra nella foto), un ambiziosissimo esponente di destra, non nasconde la sua intenzione di rimpiazzare Netanyahu (a destra) il prima possibile. Il tipo di linguaggio usato dai due partiti sarebbe considerato estremo persino se usato in una rissa fra coalizione e opposizione. Ma fra partner di uno stesso governo di coalizione è, per essere diplomatici, quanto meno inusuale persino in Israele. Confrontato con questo, il linguaggio del leader dell’opposizione Yitzakh Herzog è praticamente pulito.
Bennett ha dichiarato che Netanyahu e Ya’alon portano avanti idee vecchie e obsolete e che soffrono di “paralisi mentale”, cosa che peggiora la già traballante posizione di Israele nel mondo. Netanyahu e Ya’alon, ex membro di Kibbutz e Capo dello Staff dell’esercito, hanno accusato Bennett di rubare. Secondo loro, ogni volta che a una riunione di governo esce fuori una buona idea Bennett fugge dalla sala e la espone come se fosse sua. Ya’alon ha definito Bennett “infantile” e “incosciente”.
Chi ha ragione? Per sfortuna, tutti loro.
Nel mezzo sta (o meglio siede) l’attuale Capo dello Staff dell’esercito, Gadi Eizenkot, figlio di immigrati dal Marocco nonostante la sonorità tedesca del suo cognome. In Israele, fatto abbastanza curioso, i vertici militari sono in genere più moderati dei politici. Questo generale ha proposto di migliorare le condizioni della popolazione araba nei territori occupati, ad esempio permettendo alla gente di Gaza di costruire un porto ed entrare in contatto con il mondo. Stupefacente.
Tutto questo è avvenuto a una conferenza di cosiddetti “esperti di sicurezza” dove ognuno ha potuto dire la sua. Vi hanno partecipato anche i leader dei Partiti d’opposizione. Yitzhak Herzog del Labor, Yair Lapid del centrista “There is a Future” e altri hanno parlato, ma i loro discorsi erano così noiosi che sono stati riportati soltanto per senso di correttezza. Hanno preso qualche idea da qua e là, l’hanno chiamata “il mio piano” e hanno inserito la pace, se è stata menzionata, in un futuro molto, molto distante. La pace è qualcosa di bello, la materia di cui sono fatti i sogni. Non è cosa per politici seri.
Quello che resta è dunque una furiosa battaglia fra l’estrema destra e la destra ancora più estrema. Bennett, ex imprenditore del settore hi-tech, indossa la kippah sulla sua testa calva (e francamente mi chiedo sempre cosa la tenga al suo posto. Forse la pura forza di volontà”. Non nasconde la sua convinzione di dover rimpiazzare il prima possibile lo stagnante Netanyahu, per il bene della nazione.
Bennett ha accusato l’incompetente leadership politica per il fallimento dei nostri coraggiosi soldati e dei loro comandanti – un’accusa presa di peso dal Mein Kampf, che sta apparire in ebraico. L’unico possibile successore di Netanyahu all’interno del Likud è Ya’alon, un uomo cui mancano carisma e talento politico. Tuttavia, per riuscire nell’impresa, Bennett e il suo Jewish Home Party devono superare il Likud alle urne, una cosa molto difficile da fare. Ecco dove entra in gioco la kippah, che potrebbe evocare l’intervento divino.
Parlando di intervento divino: la scorsa settimana Margot Wallstrom, ministro degli Esteri di Svezia, ha criticato il sistema legale israeliano perché ha leggi diverse per ebrei e arabi. Netanyahu ha reagito in maniera brusca e per puro caso, qualche giorno dopo, i giornali svedesi erano pieni di storie sulla corruzione della Wallstrom, che avrebbe pagato meno del dovuto l’affitto del suo appartamento governativo.
Tutto questo potrebbe anche essere divertente, se non riguardasse il futuro di Israele. Pace è una parola sporca. La fine dell’occupazione non si vede all’orizzonte. Il Partito unito (arabo) non esiste neanche in foto. La stessa cosa (o quasi) si può dire per Meretz.
A sinistra, disperazione è sinonimo di pigrizia. Si assiste a un mediocre dibattito sull’idea che soltanto il mondo esterno potrà salvarci da noi stessi, idea portata avanti dal rispettabile ex Direttore generale del nostro ministero degli Esteri, Alon Lyel, un ex ufficiale molto coraggioso. Ma all’idea io non credo: correre dai goyim per salvare gli ebrei da loro stessi non è un’intuizione destinata a guadagnare popolarità.
Su un punto Bennett ha ragione: la stagnazione, sia mentale che fattuale, non è una soluzione. Le cose devono riprendere a muoversi. Io spero con fervore che le giovani generazioni potranno dare vita a nuove forze e a nuove idee che possano mettere da parte Netanyahu, Bennett e la loro razza.
E per quanto riguarda la nostra tanto lodata democrazia: sembra che un gruppo finanziato dal governo abbia pagato per anni un detective privato, il cui compito era infilarsi nei vasi da fiore degli attivisti per la pace con lo scopo di ottenere informazioni sui diritti umani, sulla associazioni pacifiste e sui loro leader.
(Fortunatamente, io ho distrutti)
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