Aziza Nofal : donne palestinesi si uniscono al movimento internazionale BDS

 


Palestinian women have recently been joining the global BDS movement by launching their own local campaigns to encourage people to refrain from buying…
al-monitor.com



Sahar Tbaileh ha iniziato la sua attività di boicottaggio dei prodotti israeliani con l’aiuto di tre sue vicine che vivono tra i quartieri di Ain Munjid e al-Masyoun nel centro di Ramallah.
Le donne si sono incontrate a casa di Tbaileh ed hanno unito le loro forze per creare un comitato di donne per diffondere il boicottaggio e spazzare via dal loro quartiere i prodotti israeliani, parlando con le donne, i commercianti e i proprietari di negozi. Il comitato ha anche contattato le scuole del quartiere e discusso l’importanza del boicottaggio con gli studenti, con un’iniziativa senza precedenti che ha avuto inizio il 5 novembre.  : “E’ stata una campagna spontanea avviata da noi donne, spinte dalla nostra sentimento patriottico della necessità di condurre un boicottaggio. Questa scelta è nata dall'aggressione israeliana contro i nostri giovani e bambini, tenendo anche presente il fatto che i negozi sono pieni di prodotti israeliani per i quali esistono alternative locali.”
L’iniziativa di Tbaileh e delle sue vicine non si limitava al loro quartiere. Hanno anche cercato, attraverso le loro conoscenze, di diffondere l’idea in altri quartieri di Ramallah. “Stiamo cercando di convincere le donne parlando con loro di ciò che sta succedendo sul territorio. E’ inconcepibile che continuiamo a sostenere l’economia israeliana ed acquistiamo i prodotti di Israele, mentre loro ammazzano i nostri bambini,” ha detto.
Tbaileh ha aggiunto che la campagna è solo all’inizio, ma che la prospettiva futura comprende la cooperazione con istituzioni pubbliche e private che portano avanti boicottaggi gestiti dalle donne, per allargare la loro attività a tutti i quartieri di Ramallah.
La principale delle campagne citate da Tbaileh è stata quella delle donne per il boicottaggio dei prodotti israeliani, lanciata nel dicembre 2013 da istituzioni dell' attivismo palestinese e da gruppi di donne affiliate al movimento globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, come l’Unione Generale delle Donne Palestinesi e il Comitato Tecnico delle Questioni Femminili.
La coordinatrice della campagna BDS e politica palestinese Majida al-Masri [dirigente di Nablus del partito marxista Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Ndtr.] ha detto ad Al-Monitor: “Questa campagna è unica in quanto si rivolge alle casalinghe nel loro ruolo di responsabili dell’economia familiare e che si trovano nella posizione migliore per prendere decisioni relative all’acquisto di prodotti. Quando la campagna si è sviluppata, ha raccolto l’adesione di tutti i gruppi e le organizzazioni di donne attive in Cisgiordania, estendendosi in seguito a Gaza, acquistando quindi forza e capacità per portarla avanti.”
Riguardo alle attività della campagna, Masri ha detto: “La campagna è per sua natura democratica. In ogni provincia abbiamo creato delle reti ed eletto comitati di verifica. Nella fase iniziale, abbiamo identificato sei categorie di prodotti israeliani da boicottare da parte delle donne, in particolare beni primari per il consumo delle famiglie, che venivano sostituiti da prodotti locali, arabi o provenienti da paesi esteri amici.”
Queste tipologie di beni comprendevano prodotti di uso quotidiano, succhi e bibite, assorbenti igienici, detergenti per la pulizia della casa, dolci, biscotti e pane, farina e i loro derivati.
Khitam al-Saafeen, rappresentante dell’Unione Generale delle Donne Palestinesi [associazione femminile dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina -OLP. Ndtr.], uno dei gruppi di supervisione della campagna come parte della campagna BDS contro Israele, ha detto ad Al-Monitor che la campagna locale sta tuttora organizzando attività come seminari nei centri per le donne, nelle scuole e nelle manifestazioni delle città palestinesi.
Ha poi aggiunto: “Noi consideriamo questa campagna come un’estensione del ruolo delle donne nel boicottare l’occupazione, attraverso una campagna di base e popolare rivolta  alle persone direttamente responsabili degli acquisti quotidiani, attraverso gruppi ed organizzazioni di donne nelle città, nei villaggi e in campagna.”
Tra le attività svolte vi sono visite organizzate nei negozi, campagne di sensibilizzazione nelle scuole, riunioni con le casalinghe e una conferenza di sostegno in marzo, dove si sono elaborate delle strategie per sviluppare la campagna. Le attività comprendono anche l’assistenza ad altre iniziative condotte da diverse organizzazioni, come “Kick Them Out” (“Cacciamoli via”), organizzata dalla Società Inash al-Usra (welfare familiare), gestita da donne.
La campagna Kick Them Out, considerata un segmento indipendente e complementare degli sforzi di boicottaggio delle donne, è nata in ottobre, quando sono scoppiati gli attuali disordini, e le sue attività sono iniziate in novembre.
La direttrice dell’Organizzazione del Welfare Familiare, Farida al-Amd, ha spiegato le ragioni e gli obbiettivi della campagna: “Abbiamo iniziato questa campagna per richiamare l’attenzione della comunità sul fatto che stavamo comprando prodotti israeliani mentre Israele uccide i nostri giovani ai checkpoints. I negozi sono pieni di prodotti israeliani e noi dobbiamo agire per ridurli.”
Amd ha detto ad Al-Monitor che l’Organizzazione del Welfare Familiare, con sede nella città di al-Bireh, al centro della Cisgiordania, ha iniziato il boicottaggio totale dei prodotti israeliani nel 1972. L’obbiettivo dell' attuale campagna è quello di sensibilizzare la comunità circostante. “Ci rendiamo conto che è tempo di unire i nostri sforzi e prendere misure efficaci che portino a risultati concreti”, ha detto.
Per conseguire tali obbiettivi, la campagna si basa sull’educazione delle donne in casa e delle studentesse a scuola. Le donne visitano anche i negozi, dove parlano con i proprietari e li invitano a non acquistare prodotti israeliani.
Amd ha detto: “Funzionerà. Ma soprattutto deve continuare e attivare la partecipazione di tutti i segmenti della società. Il nostro lavoro sul campo otterrà certamente un risultato di massa.”
Sempre secondo Masri, il risultato è difficile da valutare: “Non possiamo misurare l’impatto della campagna indipendentemente dalla campagna globale BDS. Però, in base ad uno studio della Banca Mondiale, possiamo confermare che le campagne di boicottaggio hanno avuto conseguenze sulle esportazioni israeliane nei territori palestinesi, che sono diminuite del 24% nel primo quadrimestre del 2015, in seguito all’intensificarsi del boicottaggio palestinese dei prodotti israeliani.”
Secondo Masri, per migliorare questo risultato occorrerebbe che le donne facessero pressione anche sulle autorità di governo: “In coordinamento con la campagna di boicottaggio locale, ci adoperiamo per comunicare con il Ministero dell’economia nazionale, ed abbiamo deciso di fare pressione sul Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) perché applichi la decisione del Consiglio Centrale dell’OLP che ha invitato esplicitamente al boicottaggio.”
Questi boicottaggi condotti dalle donne sembrano essere i più duraturi, a causa del loro costante monitoraggio a livello individuale o istituzionale, allo scopo di conseguire i risultati che si sono proposti in ogni città, villaggio e campo, con lo slogan: “Cresci i tuoi figli con le cose buone del tuo paese.”
Fonte: Al Monitor



Aziza Nofal

Why Palestinian housewives are taking lead in boycott campaigns

RAMALLAH, West Bank — Sahar Tbaileh began her push to boycott Israeli goods with the help of three of her neighbors who live between the Ain Munjid and al-Masyoun neighborhoods in central Ramallah.
SummaryPrint Palestinian women have recently been joining the global BDS movement by launching their own local campaigns to encourage people to refrain from buying Israeli goods.
Author Aziza Nofal Posted January 8, 2016
TranslatorKamal Fayad
The women met at Tbaileh’s house and joined forces to form a women’s committee to spread the boycott and cleanse their neighborhood of Israeli goods by talking to women, merchants and store owners. The committee has also contacted neighborhood schools and discuss the importance of the boycott with students, in an unprecedented move that first took place Nov. 5.
Tbaileh told Al-Monitor, “This was a personal campaign initiated by us women, out of our patriotic sense of the need to conduct a boycott. [This step] came in light of Israeli aggression toward our youth and children, taking into account the fact that stores are full of Israeli goods for which there are local alternatives.”
Tbaileh and her neighbors’ initiative was not limited to their neighborhood. They also tried, through acquaintances, to spread the idea to other Ramallah neighborhoods. “We are trying to influence women by talking to them about what has been happening on the ground. It is inconceivable that we continue to support Israel’s economy and buy Israeli products while they murder our children,” she said.
Tbaileh added that the campaign is still new, but that its future agenda includes cooperating with public and private institutions that conduct women-based boycotts to expand their activities to all of Ramallah’s neighborhoods.
The most prominent of the campaigns Tbaileh mentioned was the women’s campaign to boycott Israeli goods, launched in December 2013, by active Palestinian institutions and women’s groups affiliated with the global boycott, divestment and sanctions movement against Israel, such as the General Union of Palestinian Women and the Women’s Affairs Technical Committee.
BDS campaign coordinator and Palestinian politician Majida al-Masri told Al-Monitor, “This campaign is unique in that it addresses housewives in their capacity as those in charge of household spending and the best suited to make decisions related to buying products. As the campaign developed, it garnered the membership of all women’s groups and organizations that are active in the West Bank, subsequently spreading to Gaza, thus empowering and driving it forward.”
Concerning the campaign’s operations, Masri said, “This campaign is democratic in nature. In each province we set up frameworks and elected follow-up committees. During the initial stage, we targeted six categories of Israeli goods to be boycotted by women, namely basic materials consumed by families, which were replaced by local, Arab or foreign products from friendly nations.”
These categories were comprised of dairy products, juices and drinks, sanitary napkins, household detergents, sweets, pastries and bread, flour and their derivatives.
Khitam al-Saafeen, the representative of the General Union of Palestinian Women, one of the groups overseeing the campaign as part of the BDS campaign against Israel, told Al-Monitor that the local campaign is still organizing activities such as seminars in women’s centers and schools and marches in Palestinian cities.
Saafeen added, “We consider this campaign to be an extension of the role of women in boycotting the occupation, through a grassroots and popular campaign aimed at people directly responsible for daily purchases, through women’s groups and organizations in cities, villages and camps.”
Among the activities conducted are organized tours to shops, school awareness campaigns, meetings with housewives and a supporting conference in March, when recommendations were adopted to develop the campaign. The activities also included offering assistance to other campaigns initiated by several organizations, such as "Kick Them Out," organized by the women-run Society of Inash al-Usra (family welfare).
The Kick Them Out campaign, considered an independent and complementary part of the women’s boycott efforts, came about in October, when to the current unrest erupted, and its activities began in November.
The director of the Family Welfare Organization, Farida al-Amd, explained the reasons and goals of the campaign, saying, “We initiated this campaign to draw the community’s attention to the fact that we were buying Israeli goods while [Israel] executes our youth at its checkpoints. Stores are filled with Israeli products and we have to act to curtail that.”
Amd told Al-Monitor that the Family Welfare Organization, located in the central West Bank city of al-Bireh, began to completely boycott Israeli goods in 1972. The goal of the current campaign is to influence the surrounding community. “We realize that it is now time to join our efforts and take effective measures that lead to results on the ground,” she said.
To achieve its objectives, the campaign relies on educating women at home and female students at school. The women also visit stores, where they talk with proprietors and urge them not to buy Israeli products.
Amd said, “It will have an impact. But most importantly, it must endure and attract the participation of all segments of society. Our work on the ground will surely have a cumulative effect.”
Yet according to Masri, the effect is difficult to gauge: “We cannot measure the impact of the campaign independently from the global BDS campaign. But, as per a World Bank study, we can confirm that the boycott campaigns have had an effect on Israeli exports to Palestinian territories, which declined by 24% during the first quarter of 2015 as a result of the intensification of the Palestinian boycott of Israeli goods.”
According to Masri, enhancing such an effect would require that women exercise pressure on government officials as well: “In coordination with the local boycott campaign, we endeavor to communicate with the Ministry of National Economy, and have made the decision to put pressure on the [Palestine Liberation Organization]’s Executive Committee to implement the PLO’s Central Council’s decision that explicitly called for a boycott.”
These boycotts by women seem to be the most enduring, due to their constant follow-up on an individual or institutional level, with the aim of achieving the goals they set in every city, village and camp under the slogan, “Raise your children with the bounties of your own country.”

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