Antonio Marafioti Oregon. Storia locale, lezione globale


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Nelle ore in cui il presidente Barack Obama sfida il Congresso sul controllo delle armi nel Paese, in Oregon un gruppo di contadini occupa un edificio statale e alza i toni del dibattito
di Antonio Marafioti
Nei suoi ultimi mesi da quarantaquattresimo inquilino della Casa Bianca, Barack Obama sta cercando in ogni modo di adempiere le promesse mantenute solo in piccolissima parte nel corso dei precedenti 7 anni della sua amministrazione. Dopo il #lovewins a favore delle coppie omosessuali, l’accordo nucleare con l’Iran di Hassan Rouhani e la storica distensione nei confronti di Cuba, dove da agosto gli States hanno un’ambasciata vera e propria, il presidente fa cadere un altro tabù, quello sul possesso e la vendita di armi all’interno dei confini nazionali. Un piano in dieci punti dal valore di 500 milioni di dollari che, secondo Washington, potrebbe “salvare vite” grazie a nuovi controlli sulla salute mentale degli acquirenti e accertamenti più rigorosi da parte di una forza di polizia federale ampliata del 50 percento.
Quello che ha tutta l’aria di essere uno sprint politico decisivo nella staffetta con Hillary Clinton, candidata democratica favorita alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre, contrasta in realtà con quanto sta accadendo dal 2 gennaio in Oregon. A Burns precisamente, una piccola cittadina di 2.800 anime nella contea di Harney dove un gruppo di ranchers capeggiati da Ammon Bundy ha occupato la struttura del Malheur National Wildlife Refuge, un rifugio di proprietà federale, destinato ai cacciatori e ai pescatori della zona. Il gesto nasce dalla protesta nei confronti della decisione del giudice della Corte d’Appello federale di prolungare i termini di detenzione nei confronti di Dwight L. Hammond e di suo figlio Steven D. Hammond, due contadini del luogo finiti in carcere nel 2012 per aver dato alle fiamme piante nocive per l’ambiente su terre di proprietà pubblica vicine al loro ranch nella zona sud di Burns. La rilettura del caso ha portato il giudice a inasprire di altri quattro anni la condanna dei due Hammond.
Da qui la genesi della contestazione e l’arrivo, dal Nevada, di Ammond e Ryan Bundy, figli di quel Cliven Bundy che nell’aprile dello scorso anno tenne in scacco la polizia federale presso il suo ranch di Bunkerville.
Fu un braccio di ferro vero e proprio durato diverse ore e che vide opposti i miliziani di Bundy agli uomini del governo. C’erano tante armi e una forte determinazione a usarle, ma c’erano anche quattrocento civili, tra cui donne e bambini, organizzati in un sit in contro il sequestro di 380 buoi di proprietà di Bundy da parte del Bureau of Land Management (BLM). L’operazione fu messa in atto dopo il rifiuto del contadino di pagare le tasse sul pascolo al governo. La storia si risolse con la riconsegna dei bovini e il ritiro dei ranger federali.
Oggi Ammon Bundy è a capo del gruppo di difesa degli Hammond e conseguentemente, sostiene il portavoce dei miliziani, della stessa Costituzione degli Stati Uniti. Oltre ad essere armato e pronto a tutto, il gruppo dei miliziani si definisce di estrema destra, libertario e mormone. Il che, tradotto, fa pensare al fatto che non ci si trovi di fronte alle esagerazioni mascherate e propagandistiche del Tea Party, ma a un gruppo fuori controllo politico e determinato ad avere la meglio ancora una volta su Washington e tutto ciò che Washington rappresenta. Si ha a che fare con un’America che si difende in armi nel momento stesso in cui il proprio presidente cerca una rischiosa via extraparlamentare alla limitazione delle stesse. È una deriva triste di una parte del Paese che assolve, o addirittura difende, un’azione armata solo nel momento in cui si rende conto che tale azione non è messa in piedi dal terrorismo di matrice islamica.
Poco importano le autoassoluzioni: «Vorrei aggiungere che non siamo venuti qui per esercitare violenza e che non siamo terroristi come in molti ci hanno chiamati. Siamo persone che protestano per diritti sulle proprie terre», ha detto Ammon Bundy al microfono di Margaret Corvid, di Jacobinmag.
I dati di fatto indicano che un gruppo di uomini armati, 150 secondo gli stessi, poco più di una ventina secondo le autorità e i media, si sono barricati armi alla mano dentro una struttura del governo. Non sono terroristi ma, come si chiede l’articolo di Wajahat Ali sulle colonne del Guardian, che cosa sarebbe accaduto se Bundy e soci fossero stati parte parte del 38% della popolazione americana non bianca?
Gli sarebbe stato permesso di occupare con fucili e pistole un complesso pubblico in nome dei land rights o avremmo assistito a un intervento militare con ingaggio da tempi di guerra? Sulla risposta a queste domande dovrebbe essere costruito un ragionamento politico già iniziato da Obama in queste ore, e solo in queste ultime, sul controllo massiccio della vendita di armi.
Un ultimo dato: dagli attacchi dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti gli atti terroristici di estrema destra hanno fatto più morti, 48, rispetto a quanti ne abbiano provocati le azioni legate al jihadismo, 45. Anche questo è un numero accertato sul quale, da oggi in avanti, dovranno soffermarsi i candidati alle primarie dei due maggiori partiti.
Colui o colei che ricoprirà la carica di 45° presidente degli Stati Uniti dovrà aver ben chiaro che la pacificazione dei vari contrasti all’interno del Paese, neri contro latinos, bianchi contro governo, poveri contro Wall Street, rightwings contro moderati, deve necessariamente partire da una chiara presa di posizione contro leggi ormai troppo vecchie. Leggi da riscrivere completamente.

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