Quella manovra a Tel Aviv per "disinnescare" Etruria



 
 
 
 
Dietro all'interesse di Hapoalim per l'istituto ci sarebbe stato anche Carrai. L'inchiesta su Oro Italia trading
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All'inizio di quest'anno la storia della Popolare dell'Etruria avrebbe potuto prendere tutta un'altra piega. Anzi, un'altra strada. Direzione: Tel Aviv. Perché miracolosamente, prima che il Tesoro la commissariasse (l'11 febbraio) e dopo il tentativo fallito di farla sposare con la Popolare di Vicenza, per comprarsi la banca aretina si erano fatti avanti gli israeliani di Bank Hapoalim. Parliamo del principale istituto di credito del Paese, vera cassaforte per la finanza e gli investitori d'Israele, che tra i soci più importanti ha la Arison Holding di Micky Arison. Ovvero l'ex azionista di maggioranza del gigante delle navi da crociera Carnival presente anche in Italia attraverso Costa. Il nome della Hapoalim spunta per la prima volta il 18 febbraio in un articolo del quotidiano Mf sulle motivazioni dell'arrivo dei commissari ad Arezzo (il momento è caldo e i riflettori sono accesi per i movimenti anomali in Borsa dopo il decreto sulla riforma delle Popolari varato dal governo a fine gennaio). Fra queste, oltre alle gravi perdite patrimoniali, anche il no all'Opa amichevole della popolare vicentina. In realtà a farsi avanti per rilevare l'Etruria, o almeno i cosiddetti «Npl» (i crediti incagliati), sarebbero stati anche il fondo Algebris di Davide Serra e la Hapoalim mettendo sul piatto 500 milioni.
«Una proposta che non è stata presa sul serio? Che non è arrivata mai alla formulazione di un'offerta, se pur non vincolante? Che non era gradita alla Banca d'Italia?», si chiede il quotidiano finanziario. Le risposte non arrivano, l'articolo di Mf passa inosservato e intanto gli israeliani spariscono dai radar. Fino al 25 febbraio, quando la storia ricompare sulla stampa. Di certo l'offerta di Hapoalim è stata inoltrata nelle settimane precedenti alla sede londinese di Mediobanca, al tempo advisor dell'Etruria nella ricerca di investitori con un incarico ricevuto ad agosto 2014. Secondo un articolo del Messaggero, la banca di Arison avrebbe puntato soprattutto al business dell'oro. Settore nel quale l'istituto toscano opera attraverso la controllata Oro Italia Trading, leader dell'intermediazione di metalli preziosi, finita poi nel mirino della Guardia di Finanza per avere applicato alla commercializzazione dell'argento il regime Iva riservato al trading del metallo giallo. A metà febbraio la procura di Arezzo ha aperto un fascicolo con 28 indagati e in attesa degli accertamenti sulla presunta evasione, il bilancio 2014 della Oro Italia Trading è stato chiuso in rosso per circa 175mila euro, dopo avere accantonato preventivamente 3,2 milioni di euro pari all'omesso versamento allo Stato ipotizzato dai pm.
Nel frattempo, degli israeliani si sono perse le tracce. Eppure oggi, in piena bufera sulle «relazioni pericolose» della famiglia Boschi e sugli effetti del salva-banche renziano, qualche maligno accenna al sospetto che quell'offerta sull'oro dell'Etruria non fosse arrivata per caso da Tel Aviv. E che a pistare Bank Hapoalim sulla strada di Arezzo potessero essere stati contatti vicini a Marco Carrai. Di certo, il feeling tra il gran ciambellano di Renzi e Israele è noto da tempo in riva all'Arno. «Propiziatore dei buoni rapporti» e tessitore di «fondamentali relazioni economiche», ormai «da anni Carrai frequenta assiduamente Tel Aviv, suoi i rapporti diplomatici per conto di Renzi», scriveva la Nazione lo scorso 28 agosto. Lo stesso giorno in cui Carrai era stato fotografato al fianco del sindaco di Firenze, Dario Nardella, ad accogliere sotto la scaletta dell'aereo il premier israeliano Benjamin Netanyahu e signora in visita privata nel capoluogo toscano. Come presidente dell'aeroporto fiorentino, era stata la precisazione di Palazzo Vecchio. O come rodato cicerone in musei ed affari?

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