Boom di armi dall'Italia a Medio Oriente e Nordafrica. Il report Opal
Boom
di armi dall'Italia a Medio Oriente e Nordafrica. Il report di Opal -
INTERVISTA/ Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle
Armi…
affaritaliani.it
INTERVISTA/ Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) analizza in un'intervista ad Affaritaliani.it i numeri e la politica dell'Italia sulle esportazioni di armamenti
di Lorenzo Lamperti
@LorenzoLamperti
Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) analizza in un'intervista ad Affaritaliani.it i numeri e la politica dell'Italia sulle esportazioni di armamenti (leggi nel dettaglio il report di Giorgio Beretta dell'Opal).
Giorgio Beretta, sulla base delle esportazioni di armi si può dire che l'Italia è un paese che ripudia la guerra?
Per rispondere bisogna considerare la legge numero 185 del 1990. Una legge che stabilisce tre cose. Primo: le esportazioni di armamenti devono essere conformi alla politica estera e di difesa. Secondo: ci devono essere dei controlli da parte del governo sulle autorizzazioni. Terzo: il governo deve redigere una dettagliata relazione annuale e inviarla al parlamento. L'Italia non può in ogni caso vendere armi a paesi che intervengono militarmente al di fuori di un mandato Onu.
Pare però appurato che dall'Italia stiano partendo in questi giorni carichi di armi verso l'Arabia Saudita...
C'è una grossa quantità di bombe proveniente dall'Italia e diretta verso l'Arabia Saudita. SI tratta del terzo carico in pochi mesi. Le bombe vengono utilizzate dall'Arabia per bombardare pesantemente lo Yemen, dove sono stati fatti centinaia di morti e tra le altre cose è stato anche colpito un ospedale di Medici senza Frontiere. L'Italia può cedere armi all'Arabia Saudita perché si tratta di un paese che non è colpito da nessun tipo di embargo. Così come anni fa non c'era embargo verso la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad. In Yemen c'è una catastrofe umanitaria e alcuni bombardamenti dei sauditi sono stati condannati anche da Ban Ki-Moon. Dunque le violazioni in quell'area ci sono ma al momento non c'è nessun documento che attesta violazioni dei diritti umani. Se ci sono violazioni della legge dovrà stabilirlo un magistrato però qui il discorso va oltre. Dietro la vendita di armi in Arabia, così come negli altri paesi, c'è una valutazione politica di cui il governo Renzi deve dare conto.
La procedura di esportazione manca di trasparenza?
Assolutamente, non c'è nessuna trasparenza. Il governo americano, per esempio, rende nota qualsiasi esportazione di armi e se ne assume la responsabilità. L'Italia invece se ne sta zitta. La relazione annuale è sempre meno dettagliata. Ai tempi di Andreotti conteneva tutti i dati necessari: ditte, quantità e tipologia delle armi, valore, destinatari, addirittura la data precisa. Fino a qualche anno fa i dati si riusciva a ottenerli incrociando tabelle e dati di vari ministeri. Ora è impossibile. Se volessimo sapere se abbiamo venduto dei fucili automatici, che so, al Turkmenistan, non si può sapere.
Come si può vedere nella sua relazione le esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa sono cresciute negli ultimi anni...
Sì, si tratta di una crescita esponenziale che chiaramente preoccupa. Si tratta anche di armi comuni come pistole e fucili, vendute in gran parte a corpi di polizia. Ma sottolineo un dato. Nel 2013 in Medio Oriente e Nord Africa l'Italia ha venduto meno di 2 milioni di revolver e pistole mentre nel 2014 ne ha esportate 22 milioni. Il numero è decuplicato.
Ma in che mani finiscono queste armi?
La maggior parte delle volte nelle mani dei corpi di polizia. Ma spesso vengono utilizzate in maniera preoccupante. Basti pensare ai fucili Arx-160 finiti, un'arma molto più pericolosa del kalashnikov, venduti a un regime autoritario come quello del Turkmenistan. Non sappiamo che cosa succede in queste repubbliche. E soprattutto non c'è trasparenza da parte del governo. Prendiamo il caso delle bombe per l'Arabia Saudita: c'è una nuova autorizzazione o le stanno mandando in seguito alle autorizzazioni del 2013? Ma la situazione in Arabia Saudita e Yemen oggi è molto diversa da quella del 2013. Insomma, non dovrebbero bastare le semplici autorizzazioni ma dovrebbero intervenire ulteriori riflessioni quando si esportano armi.
C'è il rischio che queste armi finiscano nelle mani sbagliate?
Bisogna guardare caso per caso. Prendiamo la Libia. L'Italia è stata il maggior fornitore di armi per il regime di Gheddafi, al quale l’Italia ha esportato, oltre ad un intero arsenale bellico, anche (nel 2009) 11mila tra carabine, fucili e pistole semiautomatiche della Beretta di Gardone Val Trompia destinate alla Pubblica Sicurezza del rais che furono inviate come “armi comuni”. Il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003”. Dove sono finite? Magari nelle mani di qualche formazione guerrigliera. Stesso discorso per la Siria, dove l'Italia ha esportato 500 sistemi di puntamento utilizzati per ammodernare i carri armati di fabbricazione sovietica poi utilizzati da Assad per sparare sulla popolazione. Molti carri sono poi stati sottratti e finiti nelle mani di diversi gruppi insurrezionali. Il problema è questo: quando si sceglie di esportare armi in un paese sottoposto a grandi tensioni o rivolte interne il rischio è sempre alto.
Che cosa chiede al governo Renzi?
Una semplice domanda: l’esportazione dall’Italia di armamenti è stata effettuata dai vari governi con rigore? A giudicare dai numeri (si veda l'infografica dell'Osservatorio OPAL di Brescia in .pdf) è lecito sollevare più di qualche dubbio. In questi 25 anni, infatti, i sistemi militari italiani sono stati esportati a ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come l’Arabia Saudita, gliEmirati Arabi Uniti, l’Egitto, la Libia, la Siria, Kazakistan e Turkmenistan, a paesi in conflitto come India, Pakistan, Israele ma anche la stessa Turchia, fino a paesi con unindice di sviluppo umano basso come il Ciad, l’Eritrea e la Nigeria. Che tipo di controlli siano stati messi in atto sull’utilizzo da parte dei destinatari finali non è però dato sapere.
@LorenzoLamperti
Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) analizza in un'intervista ad Affaritaliani.it i numeri e la politica dell'Italia sulle esportazioni di armamenti (leggi nel dettaglio il report di Giorgio Beretta dell'Opal).
Giorgio Beretta, sulla base delle esportazioni di armi si può dire che l'Italia è un paese che ripudia la guerra?
Per rispondere bisogna considerare la legge numero 185 del 1990. Una legge che stabilisce tre cose. Primo: le esportazioni di armamenti devono essere conformi alla politica estera e di difesa. Secondo: ci devono essere dei controlli da parte del governo sulle autorizzazioni. Terzo: il governo deve redigere una dettagliata relazione annuale e inviarla al parlamento. L'Italia non può in ogni caso vendere armi a paesi che intervengono militarmente al di fuori di un mandato Onu.
Pare però appurato che dall'Italia stiano partendo in questi giorni carichi di armi verso l'Arabia Saudita...
C'è una grossa quantità di bombe proveniente dall'Italia e diretta verso l'Arabia Saudita. SI tratta del terzo carico in pochi mesi. Le bombe vengono utilizzate dall'Arabia per bombardare pesantemente lo Yemen, dove sono stati fatti centinaia di morti e tra le altre cose è stato anche colpito un ospedale di Medici senza Frontiere. L'Italia può cedere armi all'Arabia Saudita perché si tratta di un paese che non è colpito da nessun tipo di embargo. Così come anni fa non c'era embargo verso la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad. In Yemen c'è una catastrofe umanitaria e alcuni bombardamenti dei sauditi sono stati condannati anche da Ban Ki-Moon. Dunque le violazioni in quell'area ci sono ma al momento non c'è nessun documento che attesta violazioni dei diritti umani. Se ci sono violazioni della legge dovrà stabilirlo un magistrato però qui il discorso va oltre. Dietro la vendita di armi in Arabia, così come negli altri paesi, c'è una valutazione politica di cui il governo Renzi deve dare conto.
La procedura di esportazione manca di trasparenza?
Assolutamente, non c'è nessuna trasparenza. Il governo americano, per esempio, rende nota qualsiasi esportazione di armi e se ne assume la responsabilità. L'Italia invece se ne sta zitta. La relazione annuale è sempre meno dettagliata. Ai tempi di Andreotti conteneva tutti i dati necessari: ditte, quantità e tipologia delle armi, valore, destinatari, addirittura la data precisa. Fino a qualche anno fa i dati si riusciva a ottenerli incrociando tabelle e dati di vari ministeri. Ora è impossibile. Se volessimo sapere se abbiamo venduto dei fucili automatici, che so, al Turkmenistan, non si può sapere.
Come si può vedere nella sua relazione le esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa sono cresciute negli ultimi anni...
Sì, si tratta di una crescita esponenziale che chiaramente preoccupa. Si tratta anche di armi comuni come pistole e fucili, vendute in gran parte a corpi di polizia. Ma sottolineo un dato. Nel 2013 in Medio Oriente e Nord Africa l'Italia ha venduto meno di 2 milioni di revolver e pistole mentre nel 2014 ne ha esportate 22 milioni. Il numero è decuplicato.
Ma in che mani finiscono queste armi?
La maggior parte delle volte nelle mani dei corpi di polizia. Ma spesso vengono utilizzate in maniera preoccupante. Basti pensare ai fucili Arx-160 finiti, un'arma molto più pericolosa del kalashnikov, venduti a un regime autoritario come quello del Turkmenistan. Non sappiamo che cosa succede in queste repubbliche. E soprattutto non c'è trasparenza da parte del governo. Prendiamo il caso delle bombe per l'Arabia Saudita: c'è una nuova autorizzazione o le stanno mandando in seguito alle autorizzazioni del 2013? Ma la situazione in Arabia Saudita e Yemen oggi è molto diversa da quella del 2013. Insomma, non dovrebbero bastare le semplici autorizzazioni ma dovrebbero intervenire ulteriori riflessioni quando si esportano armi.
C'è il rischio che queste armi finiscano nelle mani sbagliate?
Bisogna guardare caso per caso. Prendiamo la Libia. L'Italia è stata il maggior fornitore di armi per il regime di Gheddafi, al quale l’Italia ha esportato, oltre ad un intero arsenale bellico, anche (nel 2009) 11mila tra carabine, fucili e pistole semiautomatiche della Beretta di Gardone Val Trompia destinate alla Pubblica Sicurezza del rais che furono inviate come “armi comuni”. Il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003”. Dove sono finite? Magari nelle mani di qualche formazione guerrigliera. Stesso discorso per la Siria, dove l'Italia ha esportato 500 sistemi di puntamento utilizzati per ammodernare i carri armati di fabbricazione sovietica poi utilizzati da Assad per sparare sulla popolazione. Molti carri sono poi stati sottratti e finiti nelle mani di diversi gruppi insurrezionali. Il problema è questo: quando si sceglie di esportare armi in un paese sottoposto a grandi tensioni o rivolte interne il rischio è sempre alto.
Che cosa chiede al governo Renzi?
Una semplice domanda: l’esportazione dall’Italia di armamenti è stata effettuata dai vari governi con rigore? A giudicare dai numeri (si veda l'infografica dell'Osservatorio OPAL di Brescia in .pdf) è lecito sollevare più di qualche dubbio. In questi 25 anni, infatti, i sistemi militari italiani sono stati esportati a ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come l’Arabia Saudita, gliEmirati Arabi Uniti, l’Egitto, la Libia, la Siria, Kazakistan e Turkmenistan, a paesi in conflitto come India, Pakistan, Israele ma anche la stessa Turchia, fino a paesi con unindice di sviluppo umano basso come il Ciad, l’Eritrea e la Nigeria. Che tipo di controlli siano stati messi in atto sull’utilizzo da parte dei destinatari finali non è però dato sapere.
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