Steven Levitsky e Glen Weyl : Siamo sionisti da una vita : ecco perchè abbiamo scelto di boicottare Israele




Permanent and expanding West Bank settlements threaten the Jewish state’s long-term survival.
washingtonpost.com
The Washington Post
Sintesi personale non traduzione









Steven Levitsky è professore presso la Harvard University. Glen Weyl è assistente professore di economia e diritto presso l'Università di Chicago.
Siamo sionisti da   tutta la vita. Come altri ebrei progressisti il nostro sostegno a Israele è stato  fondata su due convinzioni: in primo luogo che uno Stato era necessario per proteggere il nostro popolo da disastri futuri  e in secondo luogo che uno  Stato ebraico sarebbe stato democratico , avrebbe fatto propri  i valori dei diritti umani come  la Shoah ci ha insegnato   Misure antidemocratiche intraprese da  Israele, come l'occupazione della Cisgiordania e di Gaza e la negazione dei diritti fondamentali  dei palestinesi che vivono lì, pensavamo che sarebbero state temporanee
Ma dobbiamo affrontare la realtà: L'occupazione è diventata permanente. Quasi mezzo secolo dopo la Guerra dei Sei Giorni, Israele sta costituendo un regime di apartheid . .La popolazione dei coloni in Cisgiordania è cresciuta di 30 volte, da circa 12.000 nel 1980 a 389.000 di oggi. La Cisgiordania è sempre più considerata come parte di Israele  e la linea verde di demarcazione dei territori occupati cancellati da molte mappe. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha dichiarato recentemente che il controllo sulla Cisgiordania "non è una questione di dibattito politico. E 'un elemento di base del sionismo moderno. "
Questa " elemento fondamentale" pone un dilemma etico per gli ebrei americani: Possiamo continuare ad abbracciare uno stato che nega in modo permanente i diritti fondamentali a un altro popolo? Ma pone anche un problema dal punto di vista sionista: Israele ha intrapreso un percorso che minaccia la sua stessa esistenza.
Come è successo per la  Rhodesia e  per il Sudafrica la sottomissione permanente di Israele sui  palestinesi inevitabilmente  la isola dalle  democrazie occidentali. Non solo è il sostegno europeo per Israele è  in calo, ma anche l'opinione pubblica  ha cominciato  a incrinare il suo sostegno  Status internazionale pariah non è certo una ricetta per la sopravvivenza di Israele.
L'occupazione sta aggravando le pressioni demografiche che minacciano di lacerare la società israeliana . La crescita dei coloni  e  delle popolazioni ultraortodossi ha alimentato lo sciovinismo ebraico e ulteriormente alienato la popolazione araba in crescita. Diviso in comunità sempre più inconciliabili, Israele rischia di perdere il minimo di tolleranza reciproca che è necessario per ogni società democratica. In questo contesto la violenza come la recente ondata di attacchi a Gerusalemme e in Cisgiordania  potrebbe diventare  una costante normale  .
Infine occupazione minaccia la sicurezza. La pace con l'Egitto e la Giordania, l'indebolimento dell' Iraq e Siria  ,la  schiacciante superiorità militare di Israele - compreso il suo (non dichiarato) deterrente nucleare - hanno posto fine alla minaccia esistenziale dei suoi vicini arabi. Anche uno Stato palestinese guidato da Hamas non potrebbe distruggere Israele. Come sei ex direttori dello  Shin Bet, hanno  sostenuto nel documentario del  2012 "The Gatekeeper"  è l'occupazione in sé che minaccia veramente la sicurezza a lungo termine di Israele , ne mina la sua posizione internazionale, limita la sua capacità di stringere alleanze regionali  contro estremisti settari e, soprattutto, rimane il motivo principale della  violenza palestinese.
. Purtroppo, i movimenti interni per prevenire tale destino sono in forte crisi . Grazie ad un boom economico , la sicurezza temporanea fornita dalla barriera in Cisgiordania e il sistema di difesa missilistica Iron Dome, gran parte della maggioranza sionista di Israele  non sente alcuna necessità di adottare le misure difficili necessarie per una pace duratura, come sfrattare  i loro connazionali da West  e riconoscere  la macchia morale israeliana   per le  sofferenze   causate a tanti palestinesi.
Siamo a un punto critico. Crescita degli insediamenti e le tendenze demografiche presto sopraffaranno  la capacità di Israele di cambiare rotta. Per anni, abbiamo sostenuto i governi israeliani nella convinzione che un Israele sicuro avrebbe agito per difendere i propri interessi a lungo termine. Questa strategia è fallita.  
 Oggi, non vi è alcuna prospettiva realistica  che Israele  faccia le scelte difficili necessarie per assicurare la sua sopravvivenza come Stato democratico in assenza di pressioni esterne.
Per i sostenitori di Israele tutte le forme vitali di pressione sono dolorose. Gli unici strumenti che potrebbero plausibilmente influenzare e modificare lo status quo  israeliano sono : il ritiro degli aiuti Usa eil  sostegno diplomatico,  il boicottaggio  dell' economia israeliana. Boicottare solo merci prodotte negli insediamenti non avrebbe un impatto sufficiente per un cambiamento .
E 'quindi, a malincuore ,ma risolutamente, ci rifiutiamo di recarci in Israele, ne boicottiamo i prodotti e  invitiamo le nostre università  e i nostri  rappresentanti eletti a ritirare gli aiuti a Israele. Fino a quando  Israele non si impegnerà  seriamente in un processo di pace ,non stabilirà  un sovrano stato palestinese o , se questo non è possibile, non garantirà piena cittadinanza democratica ai palestinesi che vivono in un singolo stato, non possiamo continuare a sovvenzionare i governi le cui azioni minacciano la sopravvivenza a lungo termine di Israele.
Israele, naturalmente, non è certo peggiore di altri  stati che violano i diritti umani nel mondo. Boicottare Israele, ma non gli altri paesi che violano i diritti-costituire un doppio standard?  Noi amiamo Israele e siamo profondamente preoccupati per la sua sopravvivenza. Non ci sentiamo ugualmente così investiti  dal destino di altri Stati.
A differenza di Stati isolati a livello internazionale come la Corea del Nord e la Siria, Israele potrebbe essere significativamente influenzato da un boicottaggio. Il governo israeliano non avrebbe potuto sostenere la sciocca linea adottata senza  i massicci aiuti statunitensi, gli investimenti, il commercio,  il sostegno morale e diplomatico.
Ci rendiamo conto che alcuni sostenitori del boicottaggio sono guidati da opposizione (e anche odio) verso Israele. La nostra motivazione è dettata dall' amore per Israele e dal desiderio di salvarla.
  Sionisti americani devono fare pressione su Israele per garantire la visione di Herzl - e salvarla .

We are lifelong Zionists. Here’s why we’ve chosen to boycott Israel.

Steven Levitsky is a professor of government at Harvard University. Glen Weyl is an assistant professor of economics and law at the University of Chicago.
We are lifelong Zionists. Like other progressive Jews, our support for Israel has been founded on two convictions: first, that a state was necessary to protect our people from future disaster; and second, that any Jewish state would be democratic, embracing the values of universal human rights that many took as a lesson of the Holocaust. Undemocratic measures undertaken in pursuit of Israel’s survival, such as the occupation of the West Bank and Gaza and the denial of basic rights to Palestinians living there, were understood to be temporary.
But we must face reality: The occupation has become permanent. Nearly half a century after the Six-Day War, Israel is settling into the apartheid-like regime against which many of its former leaders warned. The settler population in the West Bank has grown 30-fold, from about 12,000 in 1980 to 389,000 today. The West Bank is increasingly treated as part of Israel, with the green line demarcating the occupied territories erased from many maps. Israeli President Reuven Rivlin declared recently that control over the West Bank is “not a matter of political debate. It is a basic fact of modern Zionism.”
This “basic fact” poses an ethical dilemma for American Jews: Can we continue to embrace a state that permanently denies basic rights to another people? Yet it also poses a problem from a Zionist perspective: Israel has embarked on a path that threatens its very existence.
As happened in the cases of Rhodesia and South Africa, Israel’s permanent subjugation of Palestinians will inevitably isolate it from Western democracies. Not only is European support for Israel waning, but also U.S. public opinion — once seemingly rock solid — has begun to shift as well, especially among millennials. International pariah status is hardly a recipe for Israel’s survival.
At home, the occupation is exacerbating demographic pressures that threaten to tear Israeli society apart. The growth of the settler and ultra-orthodox populations has stoked Jewish chauvinism and further alienated the growing Arab population. Divided into increasingly irreconcilable communities, Israel risks losing the minimum of mutual tolerance that is necessary for any democratic society. In such a context, violence like the recent wave of attacks in Jerusalem and the West Bank is virtually bound to become normal.
Finally, occupation threatens the security it was meant to ensure. Israel’s security situation has changed dramatically since the 1967 and 1973 wars. Peace with Egypt and Jordan, the weakening of Iraq and Syria, and Israel’s now-overwhelming military superiority — including its (undeclared) nuclear deterrent — have ended any existential threat posed by its Arab neighbors. Even a Hamas-led Palestinian state could not destroy Israel. As six former directors of Israel’s internal security service, Shin Bet, argued in the 2012 documentary “The Gatekeepers,” it is the occupation itself that truly threatens Israel’s long-term security: Occupation forces Israel into asymmetric warfare that erodes its international standing, limits its ability to forge regional alliances against sectarian extremists and, crucially, remains the principal motive behind Palestinian violence.
In making the occupation permanent, Israel’s leaders are undermining their state’s viability. Unfortunately, domestic movements to avert that fate have withered. Thanks to an economic boom and the temporary security provided by the West Bank barrier and the Iron Dome missile defense system, much of Israel’s secular Zionist majority feels no need to take the difficult steps required for a durable peace, such as evicting their countrymen from West Bank settlements and acknowledging the moral stain of the suffering Israel has caused to so many Palestinians.
We are at a critical juncture. Settlement growth and demographic trends will soon overwhelm Israel’s ability to change course. For years, we have supported Israeli governments — even those we strongly disagreed with — in the belief that a secure Israel would act to defend its own long-term interests. That strategy has failed. Israel’s supporters have, tragically, become its enablers. Today, there is no realistic prospect of Israel making the hard choices necessary to ensure its survival as a democratic state in the absence of outside pressure.
For supporters of Israel like us, all viable forms of pressure are painful. The only tools that could plausibly shape Israeli strategic calculations are a withdrawal of U.S. aid and diplomatic support, and boycotts of and divestitures from the Israeli economy. Boycotting only goods produced in settlements would not have sufficient impact to induce Israelis to rethink the status quo.
It is thus, reluctantly but resolutely, that we are refusing to travel to Israel, boycotting products produced there and calling on our universities to divest and our elected representatives to withdraw aid to Israel. Until Israel seriously engages with a peace process that either establishes a sovereign Palestinian state or grants full democratic citizenship to Palestinians living in a single state, we cannot continue to subsidize governments whose actions threaten Israel’s long-term survival.
Israel, of course, is hardly the world’s worst human rights violator. Doesn’t boycotting Israel but not other rights-violating states constitute a double standard? It does. We love Israel, and we are deeply concerned for its survival. We do not feel equally invested in the fate of other states.
Unlike internationally isolated states such as North Korea and Syria, Israel could be significantly affected by a boycott. The Israeli government could not sustain its foolish course without massive U.S. aid, investment, commerce, and moral and diplomatic support.
We recognize that some boycott advocates are driven by opposition to (and even hatred of) Israel. Our motivation is precisely the opposite: love for Israel and a desire to save it.
Repulsed by the Afrikaners’ ethno-religious fanaticism in South Africa, Zionism founder Theodore Herzl wrote, “We don’t want a Boer state, but a Venice.” American Zionists must act to pressure Israel to preserve Herzl’s vision — and to save itself.
Read more on this issue:
Eugene Robinson: Israel is acting as if it is free of moral responsibilities.
Nureddin Amro: Israel wrecked my home. Now it wants my land.
Israel gets no credit from Obama for a year of moderate settlement construction


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The occupation is destroying our own society, too
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