HEBRON. Testimone italiano: «Non ho visto coltello in mano al palestinese ucciso»
Gerusalemme,
29 ottobre 2015, Nena News - «Quando i soldati israeliani hanno aperto il fuoco quel ragazzo aveva
le braccia alzate e non ho visto coltelli». Non ha dubbi Pietro
Pasculli, 25enne di Ruvo di Puglia, giunto due settimane fa a Hebron per
monitorare per conto di una associazione internazionale quanto accade nella
città cisgiordana emersa in queste ultime settimane come il centro principale
dello scontro tra palestinesi e coloni e soldati israeliani, dopo l’inizio
dell'”Intifada di Gerusalemme”, innescata dalle tensioni sulla Spianata delle
moschee.
Pasculli
ieri ha assistito all’uccisione di un palestinese, Islam Ibeido, 23 anni,
avvenuta a Tel Rumeida, a pochi metri dall’appartamento in cui vive assieme ad
altri attivisti e a breve distanza dal punto dove martedì sera era stato
colpito a morte un altro palestinese, Hamam Said, accusato di aver ferito un
militare israeliano.
I media
israeliani hanno riferito che l’uccisione di Ibeido è avvenuta poco prima del
ferimento di una colona di 40 anni avvenuto nei pressi di un supermercato degli
insediamenti ebraico di Etzion, tra Betlemme e Hebron. Il portavoce della
polizia, Micky Rosenfeld, ha spiegato che i soldati hanno aperto il fuoco
durante un controllo di routine quando il palestinese ha tentato di usare un
coltello per attaccare un militare. L’italiano smentisce nettamente questa
versione dei fatti. «Io quel coltello proprio non l’ho visto», ha raccontato
Pasculli al manifesto, «Ho assistito a tutta la scena dalla finestra del
mio appartamento. Mi aveva incuriosito il fatto che due soldati si fossero
allontanati dal gruppo di militari che da giorni sorvegliano la zona».
Dopo qualche
secondo, ha aggiunto il testimone, «è apparso un giovane palestinese. I soldati
gli hanno detto qualcosa, lui dopo qualche secondo ha alzato le braccia, potevo
osservarlo bene e non visto tra le sue mani alcun coltello. I soldati hanno
caricato le armi e qualche attimo dopo hanno fatto fuoco. Prima sette-otto colpi,
poi un’altra raffica». A Pasculli abbiamo fatto notare che un coltello, dalla
lunga lama, appare accanto al corpo di Islam Ibeido nelle foto girate in rete.
Pasculli su questo punto è stato di nuovo molto deciso. «Io tra le mani di quel
giovane palestinese un coltello non l’ho visto – ha ripetuto l’attivista
italiano – e ho potuto osservare quanto accadeva da distanza ravvicinata e da
una posizione favorevole».
Islam Ibeido
allunga la lista degli oltre sessanta palestinesi uccisi dall’inizio di ottobre
– le vittime israeliane sono 11 -, 35 dei quali sono stati descritti da Israele
come “terroristi” responsabili di attacchi tentati o compiuti. Fonti di Hebron, commentando
l’accaduto, hanno parlato di una “esecuzione” simile a quella della 18enne Hadeel
al Hashlamoun uccisa a settembre a un posto di blocco da soldati israeliani
dal “grilletto facile”. Proprio ieri Amnesty International ha diffuso un
comunicato con il quale accusa le forze militari e di polizia di Israele di
essere responsabili di «una serie di uccisioni illegali di palestinesi avendo
usato intenzionalmente forza letale senza giustificazione».
Amnesty
spiega di aver investigato su alcuni casi avvenuti a Gerusalemme est e in
Cisgiordania. In almeno quattro episodi recenti, spiega l’organizzazione a
tutela dei diritti umani, alcuni palestinesi sono stati uccisi malgrado non
rappresentassero un pericolo. Un caso è quello avvenuto tre giorni fa proprio a
Hebron quando un 19enne Mohammed al Atrash è stato colpito dal fuoco di
militari ed è poi morto dissanguato. Il giorno prima, sempre a Hebron, anche la
17enne Dania Ershied è stata colpita dall’esercito mentre – secondo
testimoni – non rappresentava una minaccia diretta per i soldati. C’è poi il
caso di Hadeel al Hashlamoun e infine l’uccisione di Fadi Alloun, 19 anni, a
Gerusalemme est descritta nel comunicato come una “esecuzione
extragiudiziaria”. Le forze israeliane, esorta Amnesty, «devono metter fine a
questo sistema di uccisioni illegali e portarne i responsabili davanti alla
giustizia”.
Intanto, con
un appello pubblicato dal Guardian, trecento accademici britannici annunciano
di aver iniziato il boicottaggio di Israele e invitano le loro università a
rompere le relazioni con gli atenei israeliani, in risposta alla politica del
governo Netanyahu nei confronti
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