Filippo Landi :Se il premier "dimentica" il dolore dei palestinesi
Cronaca
di un giorno ordinario, 22 luglio dell’anno in corso. Nel villaggio
palestinese di Beit Ula, nel distretto di Hebron, le forze di
“sicurezza” israeliane...
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Cronaca di un giorno ordinario, 22 luglio
dell’anno in corso. Nel villaggio palestinese di Beit Ula, nel
distretto di Hebron, le forze di “sicurezza” israeliane hanno completato
lo sradicamento di 400 alberi di ulivo. Quando sono i militari a
compiere queste operazioni, la motivazione ovviamente è la “sicurezza”
delle zone adiacenti alle basi militari, alla barriera di separazione
oppure agli insediamenti civili ebraici. La conseguenza sempre è
l’esplodere della rabbia tra i palestinesi, ma anche il diffondersi
della rassegnazione di fronte alla tentazione di emigrare. Quando,
invece, sono i coloni ebrei a tagliare o ad incendiare gli alberi
d’ulivo la ragione è più brutalmente manifesta: spingere subito gli
agricoltori palestinesi ad abbandonare le proprie terre.
E’ ragionevole credere che il nome del
villaggio palestinese di Beit Ula non rimanga nella memoria del
Presidente del Consiglio Matteo Renzi di ritorno dal suo viaggio in
Israele e in Palestina. Un viaggio, in verità, annunciato nei comunicati
ufficiali italiani come in “Palestina” e non più nei “Territori
palestinesi”. Un cambiamento, è giusto ricordarlo, introdotto per primo
da Papa Francesco e dalla diplomazia vaticana nel suo viaggio in Terra
Santa del maggio 2014. La forma dei comunicati certo è importante, ma
non sempre è sostanza. Per questo anche questo viaggio di Renzi in
Palestina ha sfiorato se non addirittura ignorato quella cronaca
ordinaria, che trova in Beit Ula un nome. Ci sono già altri nomi che
oggi dovremmo aggiungere, così come sono costretti a fare i palestinesi:
Beit El, Giv’at Ze’ev, Psagot, Beit Arieh e Giv’on. Tutte colonie
ebraiche in territorio palestinese, sulla strada che da Gerusalemme
raggiunge Nablus. Le cronache, di fonte israeliana, ci dicono che 906
abitazioni verranno presto costruite in queste cittadine, 4500 coloni
ebrei si aggiungeranno agli oltre 500 mila che già vivono a Gerusalemme
est e negli altri territori palestinesi.
Anche questi nomi Renzi non porterà con sé,
né li ha citati nei suoi discorsi in terra israeliana o in terra
palestinese. E’ volato più in alto: qualcuno potrebbe aggiungere
“ovviamente”. Davanti ai parlamentari israeliani, alla Knesset, Renzi
ha detto “La pace sarà possibile solo con due Stati e due popoli”.
Parole che potrebbero essere un richiamo, anzi un ammonimento, a quella
composita destra israeliana che ha come obiettivo di rinchiudere per
sempre in un cassetto ogni progetto di Stato palestinese. Volare “alto”
in Israele e in Palestina ha significato, ormai da decenni, guardare
verso il cielo e non verso terra. Le cronache quotidiane hanno il nome
di Beit Ula e Psagot, hanno il peso di confische di terra, di
emigrazioni forzate, di colonizzazioni sempre più estese. La
possibilità di uno Stato palestinese si è affievolita ogni anno di più
perché non gli Stati Uniti, non l’Europa, non l’Italia hanno avuto il
coraggio politico di imparare quei nomi e protestare davanti alle
conseguenze politiche devastanti per i colloqui di pace. E c’è un altro
nome, ben conosciuto, ma ugualmente ignorato: Gerusalemme. I governanti
israeliani, Netanyahu prima di tutti, vogliono Gerusalemme città
unificata sotto Israele.
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