Ramzy Baroud :Oltre il Medio Oriente: il genocidio dei Rohingya

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 Oltre il Medio Oriente: il genocidio dei Rohingya

8 maggio 2015
“No, no, no,” è stata la risposta del Primo Ministro australiano Tony Abbott alla domanda  a lui rivolta per sapere se il suo paese accoglierà  un parte degli 8.000 profughi Rohingya  abbandonati per mare.
La logica di Abbott  è tanto spietata quanto la sua decisione di abbandonare la minoranza più perseguitata del mondo nella sua ora più buia. Abbott ha detto: “Non pensate che salire su una barca  che fa acqua,  al comando di un trafficante di esseri umani farà del bene a voi o alla vostra famiglia.”
Abbott non è però certo la parte principale nelle sofferenze continue dei Rohingya,  un gruppo etnico musulmano che vive in Myanmar, l’ex Birmania. L’intera regione del Sudest asiatico è colpevole. Per anni hanno ignorato le suppliche dei Rohingya. Mentre diecine di migliaia di Rohingya  sono stati vittime della pulizia etnica, hanno avuto  i villaggi  incendiati,  sono stati   costretti a vivere in campi di concentramento e alcuni in schiavitù, la Birmania viene esaltata dalle varie potenze occidentali e asiatiche come una storia di successo di una giunta militare trasformatasi in democrazia.
“Dopo che il Myanmar è passato   dalla dittatura alla democrazia nel 2011,  le libertà di espressione appena scoperte hanno dato la possibilità di parlare agli estremisti buddisti   che hanno  vomitato  odio contro la minoranza religiosa e hanno detto che i musulmani stavano impadronendosi del paese,” ha riferito l’Associated  Press dalla capitale della Birmania, Yangon  (ex Rangoon).
Quella “libertà di espressione da poco scoperta “ è costata  a centinaia di persone la loro vita, a migliaia le loro proprietà, e “altri 140.000 Rohingya sono stati cacciati dalle loro case e vivono ora in condizioni di apartheid negli affollati campi   dove vengono trasferiti .”
Mentre si può accettare che la libertà di espressione qualche volta provochi discorsi pieni di odio, l’idea che la presunta democrazia della Birmania abbia provocato la persecuzione dei Rohingya è tanto lontana dalla verità quanto è audace. La loro sofferenza senza fine risale a decenni fa ed è considerata uno dei capitoli più bui nella storia moderna dell’Asia sudorientale. Quando è stata negata la cittadinanza ai Rohingya, nel 1982 – malgrado il fatto che si pensa che discendessero dai mercanti musulmani che si sono stabiliti nella regione nell’ Arakan e in altre regioni birmane oltre 1000 anni fa – la loro persecuzione è diventata quasi una politica ufficiale.
Anche coloro che si sono messi per mare per sfuggire alle difficoltà in Birmania, hanno trovato difficile raggiungere l’ambita salvezza. “In Myanmar sono soggetti al lavoro forzato, non hanno diritti fondiari, hanno pesanti limitazioni. Se vanno in Bangladesh molti sono disperatamente poveri, senza documenti o prospettive di lavoro,” ha riferito la BBC.
E dato che molti gruppi sono interessati a pubblicizzare l’illusione della democrazia birmana in ascesa – un raro punto di intesa tra Stati Uniti, Cina e i paesi dell’ASEAN  (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico – Association of South-East Asian Nations) che cercano tutti exploit economici – pochi governi si preoccupano dei Rohingya.
Malgrado i recenti  esibizionismi   da  parte di Malesia e Indonesia sulla disponibilità di ospitare con delle condizioni  i Rohingya sopravvissuti tra quelli che erano stati abbandonati per mare per molti giorni, la regione nel suo complesso è stata “estremamente mal disposta,” secondo Chris Lewa del gruppo attivista Rohingya, denominato Progetto Arakan.
Ha detto: “Al contrario delle nazioni europee che almeno fanno un tentativo di evitare che migranti nordafricani affoghino nel Mediterraneo – i vicini della Birmania sono riluttanti a fornire qualsiasi assistenza.”
Certamente il genocidio   dei Rohingya forse può aver aiutato a rivelare gli idoli della falsa democrazia come la vincitrice del Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi che è stata vergognosamente zitta, se non anche complice nelle politiche razziste e violente del governo contro i Rohingya – ma che bene può fare?
Le storie di coloro che sopravvivono sono strazianti come quelle di coloro che muoiono mentre vagano  per mare senza cibo o acqua, oppure, talvolta anche senza una chiara destinazione. In un documentario trasmesso alla fine dell’anno scorso, Aljazeera ha riferito su alcune di queste storie.
“Muhibullah ha passato 17 giorni sulla nave di un trafficante, quando ha visto un uomo che veniva in marea. Arrivati sulle coste tailandesi, Muhibullah è stato legato e messo su un camion e portato in un campo nella giungla zeppo di centinaia di profughi e di uomini armati, dove il suo incubo si è accentuato. Legato a grosse canne di bambù, è stato torturato per due mesi per  estorcere  un riscatto  di 2.000 dollari alla sua famiglia.”
Malgrado le “normali” percosse, Muhibullah si sentiva peggio vedendo le donne che venivano trascinate nella boscaglia e stuprate. Alcune venivano vendute in servitù di debito, o per farle prostituire e per matrimoni forzati.”
I gruppi per i diritti umani riferiscono quotidianamente circa questi orrori, ma gran parte di questi non riescono ad essere trattati dai media  semplicemente perché la tragica situazione dei Rohingya non è un “argomento urgente”. Certo, i diritti umani  contano soltanto quando sono collegati a un problema di peso politico o economico significativo
Tuttavia, in un certo modo, i Rohingya trapelano occasionalmente nei nostri notiziari,
come nel giugno 2012 e nei mesi successivi, quando i Buddisti dello stato di Rakhine (in Birmania) si sono scatenati in modo violento  incendiando villaggi e  dando fuoco alle persone sotto gli occhi attenti della polizia birmana. Allora la Birmania è stata elevata alla condizione di stato non reietto, con  il sostegno e l’appoggio degli Stati Uniti e dei paesi europei.
Non è facile fare accettare che la Birmania sia una democrazia mentre al suo popolo si dà la caccia, lo si costringe a stare in miserevoli campi di concentramento, intrappolato tra l’esercito e il mare dove migliaia di persone non hanno altra via di scampo se non le “barche che fanno acqua” e il Mare delle Isole Andamane.  Sarebbe un buona idea che Abbott facesse qualche ricerca  prima di dare la colpa ai Rohingya della  loro situazione di infelicità.
Finora sta funzionando lo stratagemma della democrazia, e molte aziende stanno mettendo i loro uffici a Yangon e si preparano ad avere enormi profitti. Questo accade mentre centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini innocenti vengono tenuti in gabbia come animali nel loro stesso paese, abbandonati per mare, o tenuti in qualche jungla vicina come ostaggi.
I paesi dell’ASEAN devono capire che le buone relazioni di vicinato non possono dipendere  completamente dal commercio e che coloro che  violano i diritti umani devono essere considerati responsabili dei loro crimini e puniti.
Non si dovrebbe risparmiare alcun sforzo per aiutare i Rohingya in fuga, e deve essere attuata una reale pressione internazionale in modo che Yangon abbandoni la sua arroganza esasperante. Anche se dobbiamo accettare che i Rohingya non sono una minoranza ben definita – come il governo birmano sostiene – questo non giustifica l’insostenibile persecuzione che stanno sopportando da anni, e le frequenti azioni di pulizia etnica e genocidio. Che siano o no una minoranza, sono esseri umani che meritano una completa protezione in base alla legge nazionale e internazionale.
Mentre non si chiedono agli Stati Uniti e ai suoi alleati guerra o sanzioni, il minimo che ci si potrebbe aspettare è che la Birmania non venga ricompensata per la sua finta democrazia che brutalizza le minoranze. Fallire in questa azione dovrebbe costringere le organizzazioni della società civile a organizzare campagne di boicottaggio delle aziende che fanno affari con il governo birmano. In quanto ad Aung San Suu Kyi, il suo fallimento come autorità morale non può essere capito né perdonato. Una cosa è sicura: non merita il  Nobel  che ha ricevuto perché la sua attuale opera è in completo contrasto con lo spirito di quel premio.
Ramzy Baroud www.ramzybaroud.net è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, consulente nel campo dei mezzi di informazione, autore di diversi libri e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Attualmente sta completando i suoi studi per il dottorato presso l’Università di Exeter. Il suo libro più recente è:  My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story(Pluto Press, Londa). [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza non raccontata].
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte:  https://zcomm.org/znetarticle/beyon-the-middle-east-the-rohingya-genocide
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

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