Pax Christi a Gaza. : VIDEO E COMUNICATI
Comunicato stampa: Pax Christi a Gaza. UN CRIMINE IMPUNITO
Comunicato stampa
Pax Christi a Gaza. UN CRIMINE IMPUNITO
Neppure Mahmoud, giovane gazawo, è stato prima di oggi nel quartiere di Sajaya, dove si cammina su strade aperte fra cumuli di macerie e il quarto piano delle case è sceso a livello strada, dove i corpi delle vittime spesso non sono stati recuperati perchè consumati dal calore delle armi. Si passa ammutoliti accanto ai frammenti dei giochi d’una scuola d’infanzia . Mahmoud sussurra: “quali razzi potevano partire da qui?” Siamo noi a dirgli che ogni punizione collettiva è crimine contro l’umanità. E queste macerie non hanno alcuna giustificazione.
La delegazione di Pax Christi Italia, guidata dal proprio presidente mons. Giovanni Ricchiuti è entrata in Gaza il 3 marzo 2015 e da lì ha inviato una videointervista e alcuni comunicati già diffusi dalla stampa. La gravità della situazione ha spinto i membri della Delegazione ad accompagnare questa visita con una più ampia riflessione.
Ad accogliere Pax Christi Italia al valico di Eretz è stato Massimo Annibale Rossi, presidente della ONG italiana “Vento di terra”, accompagnato dai suoi collaboratori che a Gaza stanno coordinando il progetto “La Terra dei Bambini vive”. Il progetto si propone di ricostruire la scuola d’infanzia che era stata portata a termine e avviata grazie ai fondi della cooperazione italiana e di lì a poco demolita dai bulldozer blindati israeliani e successivamente polverizzata da due bombe lanciate da un F16 per completare la distruzione della cisterna sotterranea, che in modo innovativo filtrava l’acqua piovana e la rendeva disponibile per la scuola. Una mozione in Parlamento a Roma per richiedere ad Israele l’indennizzo per danni di guerra , non è stata neppure messa in discussione.
I Bambini del villaggio di Um al Nasser, dove sorgeva la scuola, sono ora provvisoriamente ospitati in altra sede, dove la delegazione di Pax Christi li ha incontrati fra canti di benvenuto e tanti scambi di carezze e di sorrisi: una serenità che sembrava aver sconfitto l’angoscia della scorsa estate di terrore e di morte.
Dopo l’incontro con il sindaco del villaggio, che ha rinnovato la stima per gli italiani operanti in Gaza, la delegazione si è mossa verso Khan Younis, dove si sono visti i primi quartieri interamente collassati, sbriciolati, polverizzati, a seconda del tipo di arma usata: fra tanta rovina si riorganizzano piccole attività umane di quanti continuano a vivere fra le macerie, sotto precarie coperture pericolanti o su mozziconi di pavimento e due pareti con povere cose recuperate utili per un giaciglio o per scaldare un tè. I bambini s’inerpicano su soffitti inclinati trovando divertente lo scivolo, altri saltellano sulle lamiere contorte ma ondeggianti di un ‘auto distrutta. Li attende tutti una notte che sarà di pioggia e di freddo, di buio e di acqua salata da bere.
Ci accompagna Mahmoud, giovane gazawo, laureatosi ad Udine in tecnologia informatiche, tornato a Gaza per sposarsi ed insegnare all’Università: ora attende il suo primo figlio, ma anche la via d’uscita dalla prigione più grande al mondo, dove non vuole che suo figlio respiri l’aria avvelenata di quella che fu la terra dei suoi padri.
Nella piccola parrocchia dei pochi cristiani che stanno accanto al milione e mezzo di musulmani della Striscia, si discute sulle ragioni economiche di un’ aggressione che ha portato alla conquista di un milione e mezzo di consumatori di merci fornite da Israele, dopo la distruzione dei tunnel verso l’Egitto; sulle ragioni economico-militari che rendono molto apprezzate alla fiera delle armi di Amman gli strumenti di morte testati sulla popolazione di Gaza; sulle ragioni tecniche e logistiche che rendono auspicabile per l’armata israeliana una vera esercitazione periodica dei propri uomini ad evitare che diventino deboli e frustrati.
La notte in parrocchia è rischiarata dal generatore , ma altrove c’è il buio di un coprifuoco inevitabile.
Eppure il giorno dopo alle 8 le scuole riaprono, i bambini entrano con i loro zainetti colorati accolti dalle maestre della scuola del patriarcato latino. Per i bambini rimasti orfani o portatori di handicap ci sono sorridenti e serene le suore di Madre Teresa.
La vita continua nonostante tutto anche in questa immensa prigione a cielo aperto; si cerca di “restare umani “, come invitava a fare l’indimenticato Vittorio Arrigoni, ma è difficile riuscirci finché Gaza rimane quella che è, una zattera della storia abbandonata alla deriva che in tanti vorrebbero affondasse, trascinando sul fondo le prove di colpe dalle quali non ci possiamo sentire assolti, finché un crimine di tali proporzioni rimane senza sanzione.
La Delegazione di Pax Christi Italia nella Striscia di Gaza, 6 marzo 2015
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PAX CHRISTI: RICOSTRUIRE DALLA SPERANZA (dalla Palestina)
Marzo 5, 2015 – 8:12 STRISCIA DI GAZA
“Dalla Striscia di Gaza siamo usciti ieri pomeriggio con un grande vuoto nel cuore e con una domanda: PERCHE’?
“Sono senza parole; non avevo mai visto ciò che ho visto adesso, né mai ascoltato ciò che ho ascoltato ora”: comincia così il racconto alla MISNA di monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia, tre giorni appena trascorsi nella Striscia di Gaza. Una visita per sostenere le attività dell’associazione Vento di terra, nel quadro della campagna Ponti non muri di Pax Christi International. Un viaggio nel dolore, ma anche in una regione dove nonostante tutto “la speranza non è stata sepolta”.
Monsignore, l’organizzazione non governativa Oxfam calcola che, con il blocco imposto da Israele, per ricostruire Gaza dopo l’offensiva di luglio e agosto ci vorrà più di un secolo. È davvero così?
“Non so se cento anni basteranno. Il panorama nella Striscia è desolante. Sono stati rasi al suolo interi quartieri, bombe dalla potenza inaudita hanno buttato giù palazzi, le pareti delle case sono state crivellate dai colpi di mitragliatrice esplosi durante l’invasione di terra dei soldati israeliani. Mi sono tornate alla mente le foto in bianco e nero delle città distrutte in Europa durante la Seconda guerra mondiale”.
Quali sono state le tappe della sua visita?
“Siamo entrati a Gaza lunedì 2 marzo, all’indomani del decimo anniversario della costruzione del Muro in Cisgiordania. Dopo aver lasciato alle spalle il valico di Eretz abbiamo visitato Beit Hanoun e diversi villaggi. Siamo arrivati a Gaza City e abbiamo pernottato nella parrocchia della Sacra Famiglia. Abbiamo visitato i quartieri distrutti, poi il porto. Abbiamo incontrato i pescatori e gli abbiamo chiesto cosa provassero per la guerra e i bombardamenti, se covassero un desiderio di vendetta verso Israele. Ci hanno risposto: ‘Non possiamo dimenticare, ma vogliamo ricostruire le nostre città, per i nostri figli’. Ebbene, ora bisogna aiutare questo desiderio, porre fine all’embargo e far sì che Gaza non sia mai più una prigione a cielo aperto”.
L’Agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) ha sospeso i programmi di ricostruzione, denunciando il mancato rispetto delle promesse di finanziamento fatte a ottobre nel corso di un vertice internazionale al Cairo…
“Sono accuse del tutto fondate. Fonti autorevoli, come la Caritas di Gerusalemme, hanno confermato che dei circa sei miliardi di dollari promessi a Gaza non ne è arrivato neanche uno. Rispetto a sei mesi fa le strade sono state liberate dalle macerie, ma il cemento costa oro e con il blocco la ricostruzione è quasi impossibile. Però c’è la speranza, che non è stata sepolta”.
[VG]
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un nuovo SMS di don Giovanni Ricchiuti, Vescovo Presidente di Pax Christi, dai territori occupati
“Dalla Striscia di Gaza siamo usciti ieri pomeriggio con un grande vuoto nel cuore e con una domanda: PERCHE’?
Oggi tra i beduini e in un piccolo villaggio palestinese chiamato
AT-TUWANI, non lontano da Hebron.
Storie di umiliazione e di povertà ma anche di “resistenza” pacifica e non violenta
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