Alberi, piante e fiori della Palestina :le carrube

L’albero, le carrube e la poesia palestinese

Si dice che con il passare dei secoli non invecchi. Che diventi invece più frondoso, robusto e imponente. D’altra parte, a cent’anni il carrubo è davvero ancora giovane, tanto che produce in media ben 200 chili di frutti. Originario della Palestina, dov’era conosciuto già quattromila anni fa e dov’è stato amato dai migliori poeti contemporanei, arriva in Italia con i Greci ma è solo nel Medioevo, con gli Arabi – che lo chiamano kharrub – che il suo uso si afferma pienamente in Occidente. Da buon Palestinese, il carrubo è uno degli alberi più attaccati alla terra in cui cresce. Le sue radici sono capaci di penetrare a fondo, inserirsi nelle fessure, spaccare le rocce calcaree e inglobarle. Estirparlo significa il più delle volte ucciderlo. Fino a pochi decenni fa, i suoi frutti, le carrube, hanno salvato dalla morte per fame migliaia di persone. Oggi è diventato difficile reperirle, così, spesso, negli scaffali dedicati ai frutti esotici, le carrube un tempo cibo per maiali e cavalli hanno assunto prezzi proibitivi
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E’ ceratonia siliqua il nome scientifico del carrubo
di Patrizia Cecconi
“O caro amico, ci è sufficiente dipingere con l’inchiostro dell’anima … una chiara freccia … che indichi la direzione giusta verso il nostro carrubo”.
Era il giugno del 1986 e così scriveva Samih al Qasim al suo amico Mahmoud Darwish alla vigilia della prima intifada. I due grandi poeti palestinesi esprimevano la loro speranza prendendo come riferimento simbolico il “loro” carrubo.
Il carrubo, kharrub in arabo, nome scientifico Ceratonia siliqua, famiglia delle fabaceae o leguminose, è un albero che cresce lentamente, a 100 anni si considera giovane e produce circa 2 quintali di frutti, le carrube, e a 500 ne produce ancora circa 30 chili. Un albero che ha origine proprio qui, in Palestina, dove era conosciuto e usato oltre 4000 anni fa. Chioma sempreverde, lucida e folta che può superare i 10 metri di diametro fornendo un’apprezzatissima isola d’ombra quando il sole brucia la terra. Ha foglie composte, formate da coppie di foglioline di forma  ellittica a  margine intero e di colore verde scuro e brillante nella parte superiore.  E’ pianta generalmente dioica, cioè i fiori maschili e femminili sono portati su due diversi individui per cui la fruttificazione è possibile solo se entrambi i generi sono presenti. Il frutto inizia a formarsi in primavera subito dopo la fecondazione e matura completamente dopo un anno, prendendo la forma di lungo baccello, botanicamente detto “siliqua”, dapprima verde e poi marrone lucido e coriaceo. La polpa è dolce e fibrosa e i semi, durissimi, tutti di peso pari a 0,20 grammi e detti in arabo “qerat”, venivano utilizzati per pesare oro e pietre preziose dando nome a quell’unità di misura che ancora oggi si chiama “carato”.
Qualche migliaio di anni fa il carrubo attraversò il Mediterraneo con navi fenice e greche, anzi furono proprio i greci a farne conoscere la coltivazione nell’Italia meridionale, ma fu solo nel Medioevo con gli arabi - che ne furono i massimi esportatori e utilizzatori – che il suo uso si affermò in Occidente sia a livello alimentare, sia a livello farmacologico, sia per usi artigianali ricavati dal legno e dalle foglie.
Fino a pochi decenni fa i suoi frutti hanno salvato dalla morte per fame migliaia di persone e la sua importanza nel passato è testimoniata  dal Museo del Carrubo che si trova nell’isola di Cipro e che racchiude  un antico mulino per macinare le carrube e ottenere la farina di polpa e di semi con la quale si preparavano dolci e paste alimentari.
Questi baccelli che una volta erano cibo per poveri e per cavalli, oggi sono un frutto difficile da reperire nei normali negozi e quindi si trovano a prezzi proibitivi negli scaffali dedicati ai cibi esotici. E pensare che nel vangelo di Luca si legge che il “figliol prodigo”, divenuto povero e affamato, “Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci…”. Si legge pure che san Giovanni Battista, cioè il profeta Yahya per la religione islamica, visse anni nel deserto nutrendosi solo di carrube, perché queste possono essere essiccate e conservarsi per mesi e mesi e forniscono zuccheri, vitamine, proteine e sali minerali.
In effetti 100 grammi di carrube forniscono circa 220 calorie, 90 gr. di carboidrati, 40 gr. di fibre, 1 gr. di proteine, vitamine B,C,E e sali minerali; non hanno glutine e quindi sono adatte anche ai celiaci.
Nell’industria conserviera la farina di carrube viene usata come addensante (E410) in quanto ha la capacità di assorbire acqua per più di 50 volte il suo peso. Proprio questa caratteristica, insieme ad altri principi attivi, ne fa un valido regolatore intestinale, ottimo per riequilibrare la flora batterica, eliminare gonfiori e proteggere le pareti gastriche. Inoltre accelera il metabolismo, inibendo l’assorbimento dei grassi e favorendo la produzione di HDL, il “colesterolo buono” . Nonostante la sua ricchezza in carboidrati  la farina di carruba è un utile coadiuvante nel controllo del diabete mellito perché contiene zuccheri riduttori che non alterano il picco glicemico.
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In erboristeria cosmetica viene usata la farina di semi mescolata a burro di cacao o cera vergine per ottenere una maschera per il viso emolliente e antiossidante.
L’infuso di carrube, come rimedio officinale, viene usato per calmare la tosse, contro il mal di gola e per schiarire la voce, uso che ne facevano i cantanti lirici fino al secolo scorso.
Ma l’infuso di carrube è anche una bevanda tipica del Ramadan. E’ estremamente semplice da ottenere, basta lasciare in acqua fredda le carrube spezzate per un paio d’ore. Ne viene fuori una bevanda dolcissima che si beve dopo il tramonto e che reintegra zuccheri, liquidi e sali perduti durante il digiuno rituale.
Il carrubo ama il caldo e il sole, non chiede acqua, sopporta le condizioni più dure ma non il gelo prolungato. Spunta da un seme caduto dal frutto e ama restare laddove è nato. E’ uno degli individui arborei più attaccati alla terra in cui cresce. Le sue radici sono capaci di penetrare a fondo, inserirsi nelle fessure, spaccare anche le rocce calcaree e inglobarle. Estirparlo significa il più delle volte ucciderlo.
Si dice che il carrubo non invecchia col passare dei secoli ma diventa più robusto, più frondoso, più imponente. Insomma, è un albero palestinese per origine e per vocazione e oltre ad essere bello sia d’estate che d’inverno, potrebbe essere ancora una fonte di reddito e di salute utilizzandone le numerose proprietà offerte dai suoi frutti.

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