Alberi, piante e fiori della Palestina : Il pistacchio tenace lega la Palestina alla Sicilia




Arrivato in Italia con gli arabi, il pistacchio è stato testimone delle vessazione sia dal popolo di Sicilia che di quello di Palestina.
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Arrivato in Italia con le conquiste arabe, è diventato fulcro dell’economia del Bronte e poi testimone delle vessazioni subite sia dal popolo siciliano che da quello palestinese. Ma, ostinato, il pistacchio cresce in ogni condizione. Articolo

di Patrizia Cecconi
Roma, 27 marzo 2015, Nena News – Cugino “nobile” di lentisco e terebinto, appartenente alla stessa famiglia delle anacardiacee e al genere Pistacia, il pistacchio è uno dei più antichi alberi coltivati dall’uomo. E’ originario della Persia dove, secondo il trattato del sofista greco Ateneo di Naucrati, pare venisse coltivato già in età preistorica.
Del suo uso in Palestina e in tutto il Medio Oriente si parla nella Bibbia, circa i pistacchi che Giacobbe offrì come dono; si racconta poi che la regina di Saba ne avesse una piantagione ad uso suo e della sua corte e che Nabucodonosor lo facesse coltivare nei giardini pensili di Babilonia.
I pistacchi mediorientali, presenti nella maggior parte dei dolci che si trovano in ogni suq e che ormai sono conosciuti in tutto il mondo, arrivarono in Grecia nel IV a.C. con Alessandro Magno. Successivamente, sotto l’imperatore Tiberio, varcarono il Mediterraneo e approdarono in Italia e in Spagna. Ma fu solo a metà 800, quando gli arabi conquistarono la Sicilia, che il pistacchio trovò il suo angolo particolare alle falde dell’Etna, nel territorio di Bronte, rappresentando a tutt’oggi il fulcro dell’economia dell’intera area.
Questa pianta cresce in zone collinari e sopporta quasi tutto, dalla siccità estiva al gelo invernale, ma non regge le gelate in tarda primavera, quelle che rappresentano il tradimento della natura, quando ormai i fiori sono usciti rispondendo al richiamo della luce.
Il suo frutto è una drupa, di cui si consuma il seme, chiamato appunto pistacchio come l’albero che lo produce e che arriva a vivere anche 300 anni. E’ una specie dioca ad impollinazione anemofila, vale a dire che il passaggio del polline dal fiore maschile a quello femminile è affidato al vento. Fruttifica ogni due anni, e l’anno che gli agronomi chiamano di “scarica” serve a dare più vigore all’esplosione vitale di fiori e frutti nella stagione successiva.
Ha una strana caratteristica il pistacchio, infatti il fiore femminile accetta l’impollinazione anche dal terebinto ed i frutti che ne derivano sono uguali. Il legame col terebinto è realmente consociativo, non solo per il suo polline, ma perché la straordinaria forza delle sue radici, capaci di fendere e di aggirare le rocce riuscendo a nutrirsi anche di pochi grani di terra arsa, è messa a disposizione del suo più raffinato cugino e le piantagioni che fruttificano splendidamente su rocce aride godono sempre del terebinto come portainnesto di ogni rigoglioso pistacchio.
Tra gli alberi che crescono a Bronte e quelli che crescono in Palestina ho notato qualche particolare consonanza. In entrambi i luoghi non si concimano né si irrigano: l’acqua non c’è, ma loro ne fanno a meno. Il pistacchio, che sostenuto dal suo rustico cugino, cresce bene dove poche altre piante riuscirebbero a vivere, diventa quindi un simbolo di resistenza alle condizioni avverse.
Ma c’è qualcos’altro che accomuna il pistacchio di Bronte a quello palestinese. Qualcosa che cozza con la bontà del suo seme e che ha a che fare con la storia. Anche quella che non è facile raccontare. Tanto a Bronte che in Palestina, infatti, nei due secoli scorsi la presenza e gli interessi inglesi, in modo diverso, sono stati responsabili di ingiustizie e di massacri. Alla causa di interminabile durata che i brontesi, civilmente e ingenuamente rispettosi del diritto, hanno portato avanti contro l’esproprio delle proprie terre, prima a favore di un’istituzione religiosa e poi di Horatio Nelson e suoi eredi, fa da specchio, oltre il mare, una “causa” tuttora in corso che vede i palestinesi chiedere, al vento, il riconoscimento dei propri diritti sulla propria terra!
Se nella seconda metà del 1800 Garibaldi e Bixio, proteggendo gli inglesi usurpatori di terre di Bronte, hanno macchiato di vergogna e di sangue il Risorgimento italiano, di cui pure erano eroi, nella prima metà del 1900 gli inglesi, con la dichiarazione di Balfour, hanno aperto la strada al tentato annientamento dei palestinesi tuttora in atto. Anche gli inglesi di Bronte avevano chiuso le strade ai contadini, esattamente come oggi Israele, figlio anche di quella dichiarazione di Balfour, chiude le strade ai palestinesi. Allora come ora, farseschi tribunali decretavano colpe agli incolpevoli e assolvevano gli aguzzini. Allora fu a Bronte, a eterna vergogna dell’eroica spedizione dei Mille che in Sicilia pagava il favore – e gli interessi – degli inglesi, e ora è in Palestina, a eterna vergogna delle istituzioni internazionali, in primis l’ONU, che si vedono surclassare dal potere fuori legge di Israele.
Lasciando Bronte dove i contadini, costretti a coltivare l’arida sciara, hanno fatto dell’unico albero che potesse resistere il gioiello di questo territorio, viene spontanea una metafora che sa di speranza e che affido alla fantasia di chi mi legge e passo alle proprietà del pistacchio.
Il filosofo islamico Avicenna nel suo “Canone della medicina” lo definiva ottimo rimedio contro le malattie del fegato. Ricco di vitamine A, B ed E, di ferro e di fosforo, è utile contro il colesterolo e quindi è un cardioprotettore; è capace di accrescere la tolleranza al glucosio e quindi utile a prevenire il diabete di tipo 2; per la presenza di due particolari carotenoidi protegge la vista dalla degenerazione maculare. Inoltre alcuni studi recenti tendono a dimostrare che il consumo di 20 semi al giorno ridurrebbe il rischio di tumore al polmone. Ha solo un difetto questo meraviglioso seme: troppo calorico per chi ha problemi di linea. Ma la perfezione non è di questo mondo! Nena News

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