Una colata di cemento attende la Cisgiordania e Gerusalemme Est
IL governo israeliano, se riconfermato dal voto del 17 marzo, conta di costruire in Cisgiordania 48 mila dei 279 mila appartamenti previsti dai progetti che tiene pronti nei cassetti. Altre 15 mila unità abitative saranno edificate nella zona araba (Est) di Gerusalemme, non certo per gli abitanti palestinesi. E’ un immensa colata di cemento in un territorio occupato, in continuità con il 2014, l’anno-record in cui il governo israeliano ha lanciato più gare d’appalto, nell’ultimo decennio, per espandere le colonie. Con in tasca questo regalo del ministro dell’edilizia Uri Ariel, uno dei superfalchi del governo, il 3 marzo Benyamin Netanyahu pronuncerà il suo contraverso discorso davanti al Congresso Usa. Il premier israeliano a Washington non punta solo condannare la linea del dialogo con Tehran portata avanti da Barack Obama. L’appuntamento di cui si parla da settimane e che rischia di far precipitare al punto più basso le già difficili relazioni tra il presidente americano e il primo ministro israeliano (quelle strategiche tra Usa e Israele restano ben salde), servirà a Netanyahu per rivolgersi anche all’opinione pubblica israeliana. Anche a scopo elettorale, drammatizzerà la “minaccia iraniana” (che due anni fa lo stesso servizio segreto israeliano Mossad aveva fortemente ridimensionato, secondo gli “Spycables”) per presentarsi come l’unico garante della sicurezza di Israele.
Per Netanyahu è fondamentale tornare a casa da “vincitore”, come quello che le ha cantate ad Obama a casa sua, il leader dal pugno di ferro pronto ad attaccare militarmente l’Iran sfidando anche Washington. Il premier crede di ottenere, in questo modo, i voti di quel 20% di israeliani ancora indecisi che potrebbero dargli la vittoria alle legislative del 17 marzo. I sondaggi indicano sempore un testa a testa tra il Likud, il partito di Netanyahu, e “Blocco sionista”, lo schieramento centrista guidato dal leader laburista Isaac Herzog. Il premier è convinto di farcela ma sulla sua strada è apparsa l’emergenza-casa sulla quale ora batte il suo principale rivale. Un rapporto presentato qualche giorno fa dal Controllore dello Stato (una sorta di Corte dei Conti), afferma che da quando è al potere, sei anni fa, Netanyahu e i suoi ministri hanno fatto poco per soddisfare la richiesta di case, provocando così il forte aumento del costo delle abitazioni. È emerso quello che in verità era chiaro a tutti: Netanyahu ha costruito tanto per motivi ideologici, migliaia e migliaia di case per coloni nei Territori occupati e ben poco per i cittadini che vivono in Israele.
«Netanyahu parla solo dell’Iran, tutti i giorni, mentre dovrebbe spiegare cosa intende fare per dare più case agli israeliani e far scendere il costo delle abitazioni. Se diventerò premier, per prima cosa mi occuperò del problema-casa», ha promesso ieri Herzog inserendo definitivamente questo tema nella campagna elettorale. Tuttavia il leader di “Blocco Sionista” non ha detto che le case per decine di migliaia di famiglie lui le costruirà tutte in Israele. E non ha mai annunciato di voler sospendere la colonizzazione. Qualche giorno fa ha spiegato che darà altre case solo ai coloni che vivono nelle maggiori concentrazioni di insediamenti israeliani in Cisgiordania, ossia in quella “Area C” del territorio palestinese che qualsiasi governo, di centrodestra o di centrosinistra, pensa di annettere tutta o in parte a Israele. Per ora procede la colonizzazione “ordinaria”, comunque da record. Secondo uno studio dell’associazione Peace Now, i bandi per le nuove costruzioni sono triplicati dal 2013 rispetto al precedente governo, sempre guidato da Netanyahu. Sono state fatte 4.485 gare d’appalto nel 2014 e 3.710 nel 2013 (2007 erano state meno di 900). L’incremento demografico annuale dei coloni è di circa il 5,5%, contro l’1,7% degli altri israeliani.
A nulla sono servite le condanne statunitensi degli ultimi progetti israeliani di colonizzazione. Hanno soltanto confermato la tensione quasi esplosiva che c’è tra Obama e il premier israeliano. Il discorso al Congresso – non pochi parlamentari democratici, snobbati da Netanyahu che non li incontrerà, hanno annunciato che non saranno presenti in aula – ha avvelenato il clima, al punto da spingere una convinta sostenitrice di Israele, il Consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice, a definire, in un’intervista, l’arrivo negli States del primo ministro una mossa «infelice» e «distruttiva per il tessuto delle relazioni» tra Usa e Israele. Una stoccata al premier è arrivata anche dal Segretario di stato John Kerry che ha condannato le tante dichiarazioni, a suo dire poco informate, di Netanyahu sul contenuto dei colloqui con l’Iran. Obama ha già fatto sapere che non riceverà Netanyahu e si comporterà allo stesso modo il suo vice Joe Biden. Kerry invece il giorno del discorso sarà all’estero.
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