Abbas boicotta Israele e vola in Svezia per offuscare il fantasma di Dahlan
di Chiara Cruciati
L’Anp ordina ai negozianti palestinesi di rimuovere dagli scaffali i prodotti di sei compagnie israeliane. Riparte il processo per corruzione contro l’ex leader di Fatah, che dispensa denaro a Gaza per risalire la china.
Era successo nel 2010 e di nuovo nel 2012, sotto la guida dell’allora premier Salam Fayyad: il boicottaggio istituzionale palestinese dei prodotti israeliani in risposta alle violazioni compiute da Tel Aviv. All’epoca l’Anp sponsorizzò un boicottaggio dei beni prodotti nelle colonie israeliane, insediamenti costruiti nei Territori occupati e illegali secondo il diritto internazionale, come reazione al blocco israeliano del trasferimento delle tasse palestinesi nelle casse di Ramallah.
Oggi l’Autorità Palestinese ci riprova: da domani sarà vietato per i negozianti palestinesi avere sugli scaffali i prodotti di sei compagni israeliane, Strauss Group (bevande), Tnuva (prodotti caseari), Osem (pasta, salse e zuppe), Elite (cioccolata e caramelle), Prigat (bevande) e Jafora-Tabori (bevande). Ai negozianti saranno concesse due settimane di tempo per rimuovere i beni in questione, mentre ispettori dell’Anp controlleranno che la decisione sia rispettata.
“Reagiamo ai tentativi israeliani di esercitare pressione sul popolo palestinese che chiede libertà e diritti e viene punito dopo essersi rivolto alle Nazioni Unite”: ad annunciarlo è stato ieri da Mahmoud al-Aloul, membro dell’ufficio politico di Fatah e capo della commissione dell’Anp che monitora le violazioni israeliane, in risposta alle continue trasgressione dell’occupante, in primis la confisca di terre approvata nei giorni scorsi dal governo Netanyahu e il congelamento del trasferimento delle tasse palestinesi (deciso due mesi fa da Israele come punizione politica per l’adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale). Una forma di pressione spesso attuata da Tel Aviv per costringere l’Anp a piegarsi ai propri voleri: con le tasse in questione, oltre 120 milioni di dollari al mese che coprono il 60% delle spese che l’Anp sostiene per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici.
In passato il boicottaggio palestinese dei prodotti israeliani (in particolare quello lanciato dai movimenti di base e dalla società civile) ha causato non pochi danni all’economia israeliana che ha nel mercato della Cisgiordania la sua principale fonte di entrata: un mercato prigioniero, oltre 4 milioni di consumatori, con poche alternative se non i prodotti israeliani visto il controllo esercitato da Tel Aviv su confini, dogane, esportazioni e importazioni. Tanto importante che in passato alcune compagnie israeliane – a fronte delle consistenti perdite dovute al boicottaggio palestinese – rischiarono la chiusura e in molti casi camuffarono le etichette.
L’Anp, in netto calo di consensi tra la popolazione, che ogni giorno di più la reputa asservita agli interessi israeliani, tenta così di risalire la china e prosegue sulla via tracciata dal diritto internazionale. Il presidente Abbas ieri è volato in Svezia in visita ufficiale dopo il riconoscimento da parte del governo di Stoccolma della Palestina come Stato, lo scorso ottobre. Una decisione che Israele ha fatto pagare agli svedesi, impendendo lo scorso mese al ministro degli Esteri Margot Wallstroem di entrare nel paese.
La Svezia non ha nascosto l’intenzione di guidare un eventuale rinnovato processo di pace, attraverso la pressione internazionale, un tentativo distante da quello prospettato dai principali attori globali, Ue e Usa, che vedono nel negoziato l’unico strumento per giungere alla pace. Eppure i tentativi degli ultimi anni hanno dimostrato chiaramente che il dialogo fine a se stesso serve a ben poco: i palestinesi lo ripetono, non ci sarà pace fino a quando non ci sarà giustizia. Ipocrita è pensare che il negoziato possa ripartire se Israele insisterà nel non riconoscere il diritto palestinese all’autodeterminazione e interromperà una volta per tutte l’espansione coloniale nei Territori occupati.
Ognuno tira acqua al suo mulino: Netanyahu in costante campagna elettorale punta alla gestione dello status quo che gli garantisce l’impunità necessaria a proseguire nell’annessione di lembi di terra palestinese; Abbas teme l’avanzata di soggetti più vicini alle aspirazioni palestinesi. E se Hamas vive la sua personale crisi (economica e di consenso) e vede erodere il controllo esercitato sulla Striscia di Gaza, il vero nemico torna ad essere il vecchio avversario dentro Fatah, l’esiliato Mohammed Dahlan.
Per bloccare l’offensiva di Dahlan (ex capo della sicurezza a Gaza, espulso dal partito nel 2011 e oggi residente negli Emirati Arabi) uno degli strumenti messi in campo è un’aula di tribunale a Ramallah: domenica uno dei più stretti consiglieri del presidente Abbas ha testimoniato al processo in contumacia contro l’avversario, accusato di corruzione. Hussein al-Araj, capo dell’ufficio del presidente, ha parlato dei 17 milioni di dollari che Dahlan avrebbe fatturato come spese e affermato di non aver mai visto alcun documento che provi in che modo tanto denaro sia stato utilizzato.
Il fantasma di Dahlan aleggia da anni su Fatah: noto per la sua strenua opposizione ad Hamas, considerato da molti un protetto di Washington, dopo la guerra civile del 2007 nella Striscia e la salita al potere del movimento islamista è stato costretto all’esilio. Per riapparire poco dopo, nelle vesti del principale avversario politico di Abbas e dell’attuale leadership dell’Anp, che più di una volta lo ha accusato di aver preso parte al presunto omicidio dell’ex presidente Arafat.
A Dahlan non mancano sostenitori: a dicembre migliaia di manifestanti scese per le strade di Gaza cantando slogan a favore del leader esiliato e contro Abbas. Dietro, la ricca campagna messa in piedi dall’ex capo della sicurezza il cui denaro (che molti ritengono arrivare dalle casse degli Emirati) è servito e serve a finanziare progetti filantropici e di beneficienza, i migliori per accattivarsi il favore di parte della popolazione. Soprattutto dopo l’immensa distruzione provocata dalla violenta offensiva israeliana della scorsa estate: parte del denaro girato alla Striscia da Dahlan è stato consegnato alle vittime di Margine Protettivo. Una mossa astuta, vista la totale assenza di ricostruzione per lo stallo delle donazioni promesse dalla comunità internazionale e l’incapacità del governo di Hamas (in grave crisi economica dopo l’isolamento impostogli dai governi arabi) di provvedere al pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, in particolare del settore della sicurezza.
( Fonte: NenaNews )
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