Jonathan Cook :Come Israele sta trasformando Gaza in una prigione di massima sicurezza

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29 ottobre 2014
E’ sorprendente che la ricostruzione di Gaza, bombardata nell’Età della pietra, secondo gli scopi espliciti di una dottrina militare israeliana nota come “Dahiya”, è proprio  cominciata con esitazione soltanto due mesi dopo la fine dei combattimenti.
Secondo le Nazioni Unite, 10.000 case sono state distrutte o danneggiate, lasciando 600.000 palestinesi – quasi un terzo della popolazione di Gaza – senza tetto o con la necessità urgente di aiuto umanitario.
Strade, scuole, e la centrale elettrica per  fornire l’acqua, e i sistemi fognari sono ridotti in rovine. Il freddo e l’umidità dell’inverno si avvicinano. L’organizzazione umanitaria Oxfam avverte che con l’attuale  ritmo di svolgimento dei lavori ci potrebbero volere 50 anni per ricostruire Gaza.
In quale altro luogo del mondo a parte i territori palestinesi la comunità internazionale starebbe in disparte mentre così tante persone soffrono – e non per un azione divine  casuale, ma voluta da altre persone?
Il motivo del ritardo è, come sempre, “la necessità della sicurezza” di Israele. Gaza può essere ricostruita, ma soltanto in base ai capitolati definiti dai funzionari israeliani.
Siamo stati qui prima. Dodici anni fa le ruspe di Israele sono entrati nel campo di Jenin in Cisgiordania proprio durante la seconda Intifada. Israele aveva appena perso il  maggior numero di soldati in una sola battaglia mentre l’esercito avanzava a fatica attraverso un labirinto di stretti vicoli. Con delle scene che hanno sconvolto il mondo, Israele ha trasformato in macerie centinaia di case.
Mentre i residenti vivevano nelle tende, Israele ha insistito sui termini del recupero del campo di Jenin. I vicoli che avevano aiutato la resistenza palestinese nei suoi agguati dovevano sparire. Al loro posto sono state costruite strade sufficientemente larghe per permettere ai carri armati israeliani di fare i loro pattugliamenti.
In breve, sia le necessità umanitarie dei palestinesi che il loro diritto secondo la legge internazionale di opporsi al loro oppressore, sono stati sacrificati per soddisfare il desiderio di Israele di rendere più efficace attuare l’occupazione.
E’ difficile non considerare l’accordo raggiunto al Cairo in questo mese per la ricostruzione di Gaza in termini analoghi.
I donatori hanno promesso 5,4 miliardi di dollari, sebbene,  in base all’esperienza passata, gran parte di questa somma non si concretizzerà. Inoltre, la metà verrà immediatamente dirottata alla lontana Cisgiordania per saldare i debiti sempre crescenti dell’Autorità Palestinese. Nessuno nella comunità internazionale sembra aver suggerito che Israele, che ha spogliato dei loro beni sia la Cisgiordania che Gaza in modi diversi, ora paghi il conto.
L’accordo del Cairo è stato ampiamente ben accolto, sebbene i termini in base ai quali Gaza sarà ricostruita, sono stati diffusi solo vagamente. Tuttavia, notizie trapelate da persone bene informate preoccupate, hanno dato un’idea  dei dettagli.
Un analista israeliano ha paragonato la soluzione proposta alla trasformazione di una prigione da terzo mondo in una moderna struttura carceraria americana di massima sicurezza. L’esterno più civile nasconderà semplicemente il suo vero scopo: non rendere la vita migliore ai detenuti palestinesi, ma offrire maggiore sicurezza alle guardie israeliane.
Si sta sfruttando la preoccupazione per i problemi umanitari per permettere a Israele di ottimizzare un blocco di otto anni che ha vietato l’ingresso di molti articoli essenziali, compresi quelli necessari per ricostruire Gaza dopo i precedenti attacchi.
L’accordo affida il controllo nominale oltre confini di Gaza e il trasferimento dei materiali per la ricostruzione all’Autorità Palestinese e all’ONU, per scavalcare e indebolire Hamas. Ma il supervisore – e chi prenderà realmente le decisioni – sarà Israele. Per esempio, otterrà il veto su chi fornisce le massicce quantità di cemento necessarie. Questo vuol dire che il denaro dei donatori finirà nelle tasche dei produttori di cemento israeliani e degli intermediari.
Il problema, però, è più grave di questo. Il sistema deve soddisfare il desiderio di Israele di sapere dove ogni sacco di cemento o barra di acciaio va a finire, per impedire che Hamas ricostruisca i suoi missili “artigianali” e la sua rete di tunnel.
I tunnel e l’elemento di sorpresa che hanno offerto, sono stati il motivo per cui Israele ha perduto così tanti soldati. Senza questi, Israele avrà maggiore libertà la prossima volta che vorrà “falciare l’erba”, come i comandanti israeliani chiamano la ripetuta distruzione di Gaza.
La settimana scorsa il Ministro della Difesa di Israele Moshe Yaloon ha avvertito che la ricostruzione di Gaza sarebbe condizionata dal buon comportamento di Hamas. Israele voleva essere sicuro che “i fondi e l’equipaggiamento non siano usati per scopi di terrorismo, e perciò stiamo monitorando attentamente tutti gli sviluppi.”
L’Autorità Palestinese e l’ONU dovranno sottomettere a un database esaminato da Israele, i dettagli di ogni casa che ha bisogno di essere ricostruita. Le indicazioni sono che i droni osserveranno ogni mossa sul terreno.
Israele dovrà essere in grado di rifiutare categoricamente chiunque consideri un militante – cioè chiunque abbia collegamenti con Hamas o con la Jihad islamica. Presumibilmente, Israele spera che questo dissuaderà la maggior parte dei palestinesi dall’associarsi con i movimenti di opposizione.
Inoltre, è difficile non supporre che il sistema di supervisione fornirà a Israele le coordinate GPS di ogni casa di Gaza, e i dettagli di ogni famiglia, consolidando così il suo controllo quando poi decide di attaccare. E Israele può tenere in scacco tutta la situazione staccando la spina in ogni momento.
Sfortunatamente, l’ONU che vuole disperatamente vedere che c’è sollievo per le famiglie  di Gaza –   ha accettato di mettersi d’accordo su questa nuova versione del blocco, nonostante violi la legge internazionale e i diritti dei palestinesi.
Sembra che Washington e i suoi alleati siano fin troppo contenti di vedere Hamas e la Jihad islamica private dei materiali necessari per opporsi al prossimo violento attacco di Israele.
Il New York Times ha riassunto così l’impresa: “Che senso ha raccogliere e spendere molti milioni di dollari …per ricostruire la Striscia di Gaza proprio  perché così che  possa essere distrutta nella prossima guerra?”
Per alcuni donatori esasperati da anni di denaro buttato in un buco senza fondo, “promuovere” Gaza a una prigione di massima sicurezza sembra un profitto migliore del loro investimento.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il pianoper rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata la prima volta su The National, di Abu Dhabi.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/how-israel-is-turning-gaza-into-a-super-maxi-prison
Originale : non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

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