Alessandro Treves : Israele , Nonne che guardano le guardie
Il
sole di maggio già picchia sulle colline pietrose a Est di
Qalqilya, e fa risaltare il nastro sterrato della barriera di
separazione, che in quel punto si snoda a separare le case del
piccolo villaggio palestinese di Wadi a-Rasha dalle terre degli
abitanti di Wadi a-Rasha. La nostra guida, Pitzy, una volontaria
dell’associazione femminile Machsom Watch, ci parla del costo al
chilometro della barriera, di 12 milioni di shekel se realizzata
in filo spinato e di 14 se a muro in cemento, e del costo umano
per i contadini palestinesi, che per raggiungere i propri campi
sono costretti a lunghi giri attraverso valichi che vengono
aperti due o tre volte al giorno. "Se uno deve andare solo ad
aprire l’acqua per l’irrigazione, difficilmente riesce, anche
quando i soldati sono beseder, a passare dal valico,
andare al proprio campo, aprire l’acqua e tornare indietro nello
stesso turno di apertura, e deve aspettare il turno successivo".
"Ma perché non istallano un sistema di irrigazione automatico? -
protesta uno dei partecipanti al giro, un israeliano grande e
grosso sulla sessantina, in maglietta rossa e calzoncini corti -
e poi, non è affatto vero che la barriera sia impenetrabile come
dicono: se vogliono, passano" "appunto - ribatte Pitzy - la
barriera rende molto difficile la vita dei semplici contadini,
ma non rappresenta un ostacolo insormontabile per
malintenzionati addestrati e informati, che sappiano dove e come
passare. Se gli attentati terroristici si sono ridotti quasi a
zero, lo si deve soprattutto alla cooperazione fra esercito
israeliano, servizi di sicurezza e polizia palestinese, più che
alla barriera".
Pitzy
è una nonna, professoressa di scuola media in pensione, che più
volte la settimana va con un’altra volontaria di Machsom Watch
(sono tutte donne, e vanno sempre in coppia) a monitorare cosa
succede ai posti di blocco e ai valichi nella barriera di
separazione che in parte corre lungo la Linea Verde fra Israele
ed i Territori Palestinesi, in parte come qui si insinua in
profondità nei territori stessi. Lo scopo è sia di documentare
cosa succede, sia di facilitare un comportamento corretto dei
soldati, i quali in effetti, in presenza di quelle che spesso
potrebbero essere le proprie nonne, tendono ad essere più
gentili. Di tanto in tanto le volontarie organizzano un giro in
autobus, per chi vuol vedere la situazione con i propri occhi.
Il giro si svolge esclusivamente nei territori sotto il
controllo dell’esercito israeliano, che del resto fra area
cosiddetta C (sotto completo controllo israeliano, oltre il 60%
del totale) e area B (dove l’amministrazione civile è affidata
all’Autorità Palestinese) consente di arrivare quasi ovunque,
tranne che nei centri delle maggiori città; e la guida è in
contatto telefonico con un’avvocatessa, che si assicura non
insorgano malintesi con le autorità militari israeliane. La
nostra Pitzy ha ancora il piglio e la risposta pronta della
professoressa, ma non convince del tutto alcuni dei partecipanti
al giro, in particolare le tre coppie di sessantenni fra i quali
spicca il signore dalla maglietta rossa: "che ne saprà, quella,
di servizi di sicurezza e di rivelatori elettronici?" borbottano
fra loro; indicandomi così che mi sbagliavo, pensando che ad un
giro come questo partecipassero solo pacifisti o gente di
sinistra, già convinti che l’Occupazione è un male, e venuti
solo a confermarsi nelle proprie idee. Invece, evidentemente, ci
vengono israeliani di vario genere. Questo giro è in ebraico, ma
ne fanno alcuni anche in inglese, e immagino che a quelli ci
vadano soprattutto turisti.
Quando arriviamo al valico agricolo è quasi l’una, ed i
contadini in attesa da entrambe le parti cercano riparo dal sole
sotto gli ulivi. C’è anche una tettoia in lamiera, che viene
presto occupata dal nostro gruppo, una quarantina di persone.
Dopo un quarto d’ora arrivano i soldati, giovani in servizio di
leva, e comincia il passaggio nei due sensi. Le procedure di
controllo sono complesse, ma procedono spedite: i "passatori"
sono pochi, una ventina di uomini a piedi, alcune donne ed un
paio di anziani su carretti tirati da asini, e sembrano tutte
facce note ai soldati, che li lasciano scorrere abbastanza
fluidi. Ad un certo punto sopraggiungono però due poliziotti
israeliani, e quello dei due che appare essere il capo si
innervosisce a vedere i quaranta osservatori inattesi: "che ci
fate voi qui? Sgomberare, sgomberare" "siamo di Machsom Watch -
ribatte Pitzy - e ci veniamo frequentemente; io poi, quasi tutti
i giorni" "beh, qui in così tanti non ci potete stare, è
vietato" "non è vietato, siamo israeliani in territorio sotto
controllo israeliano, e non cerchiamo neanche di attraversare il
valico - dice ancora Pitzy - ecco, c’è qui al telefono la nostra
avvocatessa che glielo può confermare." La tensione crescente
sembra far cambiare atteggiamento anche alle tre coppie
d’israeliani scettici, che ora trovano i modi rudi del
poliziotto molto più indisponenti delle simpatie filopalestinesi
di Pitzy. "Allora, fatemi vedere le carte d’identità! Tutti!"
Adesso i partecipanti al giro sono proprio arrabbiati, ma non si
rifiutano le generalità ad un poliziotto, neanche in Israele.
Rumoreggiando, risaliamo sull’autobus, dove abbiamo lasciato gli
zaini, ci sediamo e irritati porgiamo i nostri documenti. Dopo
averne visto qualcuno, il poliziotto capisce di aver esagerato,
e a mo’ di scusante dice "è una procedura normale, volevo solo
accertarmi che foste tutti ebrei", e scende veloce
dall’autobus dove si era reso conto di trovarsi da solo,
circondato da quaranta. Forse per l’essersi confuso,
probabilmente è stata confusione, fra israeliani ed
ebrei, forse per l’accento, fatto sta che dall’ultima fila
qualcuno si chiede "non è che per caso quel poliziotto fosse
druso?". La domanda si propaga nell’autobus come un incendio in
un bosco d’estate, e passando di bocca in bocca diventa presto
una certezza "ma come lo sapete? - ha un bel chiedersi Pitzy - a
me non sembrava…" "non è una domanda! ze uvdà (è un
fatto) - chiude la questione l’israeliano grande e grosso con la
maglietta rossa - era un druso!" e così, rinfrancati dall’aver
capito che quel poliziotto arrogante non era parte dell’Am
Israel, non era dei nostri, e quindi non abbiamo nulla di cui
rimproverarci, ripartiamo, per vedere dove ci porta nonna Pitzy
la quale, agli occhi di qualcuno di noi, è rapidamente tornata
ad essere un po’ ballista, forse un po’ mitomane, di certo non
molto patriottica.
La
prossima tappa è a pochi chilometri, nel villaggio di Jayus,
anche quello lambito dalla barriera di separazione per quanto
non si trovi a ridosso della Linea Verde. Naim, un palestinese
dall’ebraico perfetto che ci accoglie e ci racconta la sua
storia, ci dice che secondo gli abitanti del villaggio la
barriera passa loro così rasente per separarli dalle loro terre,
sulle quali hanno messo gli occhi i coloni del vicino
insediamento di Tsufin. Secondo una legge turca, dice, le terre
che non vengono coltivate per tre anni di seguito un tempo
passavano al Sultano, e adesso al moderno stato d’Israele (si
tratta in realtà di un complesso di leggi israeliane sulle terre
non coltivate e sui proprietari assenti, promulgate a partire
dal 1949, anche se basate in parte sulla legge ottomana della
registrazione dei suoli, del 1858, e su leggi e regolamenti del
periodo del Mandato britannico). È sufficiente rendere
difficile, costoso o del tutto impossibile l’accesso ai terreni,
e anche singoli funzionari della cosiddetta amministrazione
civile israeliana, secondo l’interpretazione palestinese,
avvalorata da Machsom Watch e da altre organizzazioni
non-governative israeliane, possono far sì che i legittimi
proprietari perdano il possesso di terreni, che possono poi
essere trasferiti in uso a tempo indeterminato ai coloni, senza
doverli né acquistare né espropriare con un atto ad hoc.
Per questo, durante il periodo di costruzione della barriera,
cinque anni fa, racconta Naim che c’erano ogni settimana
manifestazioni e proteste, cui partecipava tutto il villaggio,
con anche lancio di pietre. Per questo la Corte Suprema
d’Israele, cui i palestinesi si sono rivolti, ha ordinato
all’amministrazione civile due correzioni del tracciato della
barriera a favore del villaggio, correzioni che però non sono
state ancora completate: il nuovo tracciato è stato costruito,
ma il vecchio è sempre in piedi, per cui i terreni nel mezzo
sono ora virtualmente inaccessibili da entrambe le direzioni.
Del resto la barriera completa si calcola che si estenda per
oltri 700 km (Naim dice oltre 900), più del doppio
dell’estensione della Linea Verde, ed i lunghi budelli con i
quali si insinua a frammentare i territori dove si possono
spostare i palestinesi non può essere giustificata con il
controllo degli accessi in Israele. Semmai, sostengono i
palestinesi, con l’acquisizione di terre palestinesi per gli
insediamenti israeliani.
Ma
quello che ci vuol davvero raccontare Naim - che ora ha il
permesso per lavorare in Israele (non l’ha avuto per otto anni,
poi gli è stato restituito) ma non per arrivare al suo pezzetto
di terra vicino a casa, e che di Israele, dice, ammira molte
cose - è di suo figlio. Suo figlio aveva 15 anni quando, nel
periodo delle manifestazioni contro la costruzione della
barriera, una notte è stato prelevato dall’esercito con l’accusa
di aver partecipato al lancio di pietre. Legato, bendato e
gettato dentro una jeep, ha condiviso il trattamento con 25 suoi
coetanei del villaggio. Portati dapprima in una scuola, sono
stati interrogati separatamente uno a uno, senza torture
fisiche, ha tenuto a precisare Naim, ma sempre bendati e con
violenze psicologiche, come il dirgli ridendo che la prossima
loro tappa era la "macelleria". Dopodiché, tre mesi di prigione,
senza contatti con la famiglia. Il racconto di Naim si è
mescolato alle lacrime quando è passato a dire del presente: "da
cinque anni mio figlio è uno zombie; odia tutti gli israeliani e
odia noi, la sua famiglia, non fa niente e non vede nessun senso
nella propria vita. A che serve ridurre così un ragazzino di
quindici anni?" ha continuato piangendo. E anche se il nostro
giro è continuato e abbiamo visto molte altre cose, preferisco
fermare qui il resoconto.
Si
può conoscere l’attività di Machsom Watch e iscriversi ai giri,
che costano 50 shekel per l’affitto dell’autobus, su
http://www.machsomwatch.org - Pitzy ci raccomanda di
partecipare anche ai giri organizzati dai coloni, per sentire
un’altra campana.
Alessandro Treves
Trieste e Tel Aviv
Trieste e Tel Aviv
Semplicità al suo meglio (Joel
Itman)
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