Jérôme Roos :L’occupante divora se stesso

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La natura ciclica delle guerre di aggressione di Israele a Gaza sta sempre di più iniziando a somigliare a un caso di uroboro collettivo.

Nella mitologia e nella filosofia greca l’ uroboro – un serpente che divora la sua stessa coda – simbolizzava la natura ciclica dell’essere: l’eterno ritorno dei medesimi fenomeni che iniziano daccapo appena sono arrivati alla fine. In biologia, i veri esempi di uroboro si sa che si verificano quando i serpenti piccoli, creatura a sangue freddo che non sono in grado di regolare la temperatura del proprio corpo, vengono tenuti in piccole gabbie e iniziano a surriscaldarsi sotto la loro fonte di calore esterno. Incapaci di raffreddarsi e dato che il loro metabolismo viene accelerato artificialmente, queste creature diventano frastornate e aggressive. Non trovando una preda con cui riempirsi, attaccano le loro stesse code e iniziano a mangiare se stessi.
Per mancanza di una metafora più umana, la natura ciclica delle guerre di aggressione di Israele a Gaza comincia a somigliare a un caso di uroboro collettivo. Surriscaldato dall’odio dentro l’isolamento fisico e mentale della loro stessa occupazione, Israele è diventato così frastornato e aggressivo, così affamato di terra, di sangue e di vendetta, che ora infine sembra essersi rivoltata contro i suoi stessi figli – specialmente contro coloro che hanno ancora il coraggio e la coscienza di pronunciarsi contro le atrocità compiute dal loro governo a Gaza. Il mese scorso dei dimostranti pacifisti sono stati aggrediti in varie città da ultra-nazionalisti con bastoni e pietre. A Tel Aviv, alcuni degli assalitori indossavano magliette con slogan contro la sinistra che sono popolari tra i neo-nazisti europei. E’ difficile immaginare un caso più tragico di auto-cannibalizzazione simbolica.
Naturalmente, protestare contro la guerra non è stato mai gradito nella società israeliana. Un commentatore una volta ha colto l’atteggiamento del pubblico verso una protesta contro la guerra in un semplice slogan: “Tranquilli” Stiamo sparando!”. Tuttavia in anni recenti la società israeliana è sbandata in modo accentuato verso destra. Oggi opporsi alla guerra come israeliani vuol dire invitare all’esclusione sociale, alla derisione pubblica e – se di continua a essere ragionevoli – anche all’aggressione fisica. Chiedete a Gideon Levy, il famoso opinionista che scrive sul quotidiano Haaretz, e che è uno schietto critico dell’occupazione; sa tutto in proposito. Levy è stato aggredito verbalmente in diretta alla televisione e ha ricevuto minacce di morte in reazione alle sue vigorose critiche delle atrocità delle Forze di Difesa israeliane. Non può più camminare per strada senza che lo insultino o che gli sputino addosso, e il suo datore di lavoro si è trovato costretto di recente a fornirgli una guardia del corpo privata.
Lungi dal essere condannato dalla classe dirigente politica, il culto dell’uroboro è attivamente incoraggiato da coloro che sono al potere. Il preminente membro della Knesset, Yariv Levin, ha pubblicamente domandato che Levy venga processato per tradimento – un crimine che è punibile con la morte in tempi di guerra. Eldad Yaniv, un consigliere politico dell’ex premier Ehrud Barack,che sin presume sia moderato, ha scritto un messaggio molto sfacciato su Facebook: “Il defunto Gideon Levy. Abituatevi a questo.” Anche lo stesso Levy, non nuovo alla pubblica derisione e alle minacce di aggressione, è rimasto spiazzato: “Non ho mai avuto reazioni così dure, così violente e così intense,” ha detto di recente alla rivista Foreign Policy. “Ci troveremo davanti a un nuovo Israele dopo questa operazione….nazionalistico, religioso in molto modi, indottrinato, militariso, con pochissima empatia per il sacrificio dell’altra parte. In Israele nessuno si preoccupa affatto.”
E perché dovrebbero? La maggior parte degli israeliani non hanno la minima idea di quello che sta realmente accadendo sull’altro lato della loro recinzione di sicurezza. Da una parte, i media nazionali costantemente impediscono loro di vederlo, dall’altra molti sono così indottrinati che rifiutano perfino di ammettere le atrocità quando avvengono proprio davanti ai loro occhi. E non vogliamo neanche citare quelli – come i radicali dell’estrema destra che si scatenano in tutta Gerusalemme gridando: “morte agli Arabi” e cercando Palestinesi da linciare e che sarebbero contenti di commettere tali atrocità.
Come un piccolo serpente, oggi la maggioranza degli israeliani è intrappolata o nella gabbia intellettualmente istupidente dell’estremismo religioso, o dentro l’odiosa idea di mondo del nazionalismo laico aggressivo. Con la sguaiata propaganda di guerra dei media, la retorica razzista
dell’establishment politico, e la ricerca spietata di profitti del complesso militare-industriale (sovvenzionato da qualcosa come 3 miliardi di dollari di aiuti militari da parte degli Stati Uniti), il metabolismo bellicoso di questa società guerriera come Sparta viene accelerato artificialmente fino al punto di ebollizione. Frastornato e aggressivo, l’occupante prima e molto brutalmente assale il suo vicino – e in breve tempo si rivolta contro se stesso.
Come nel caso dell’uroboro, la logica dell’occupazione di Israele è circolare. Le sue atrocità devono essere riprodotte permanentemente affinché l’ordine coloniale venga sostenuto. Gira intorno, ripetendo il medesimo ripugnante ciclo aggressione più e più volte. Tuttavia, ogni giorno che persiste l’occupazione, Israele perde un poco di più della sua stessa umanità. L’occupazione ci ha reso persone crudeli,” ha ammesso di recente un ex capo dei servizi di sicurezza Shin Bet. “Ciò che è diverso questa volta, è lo spirito anti-democratico,” dice Gideon Levy al quotidiano The Guardian. “Tolleranza zero per qualsiasi tipo di critica, opposizione a qualsiasi genere di indulgenza per i Palestinesi. Non ci si dovrebbe sorprendere che il 95% [sia a favore della guerra], ci si dovrebbe meravigliare del 5%. Questo è quasi un miracolo. I media hanno un ruolo enorme. Considerati i decenni di demonizzazione dei Palestinesi, l’istigazione e l’odio, non siate sorpresi se gli israeliani sono dove sono.”
Naturalmente, nessuna di queste cose vale solo per Israele. La guerra e l’occupazione hanno sempre portato alla luce la bestialità interna dell’umanità – da Auschwitz ad Abu Ghraib, da Hiroshima al Vietnam. (E, no, osservare quel semplice fatto storico non è la stessa cosa che equiparare le azioni di Israele a Gaza all’Olocausto nazista). La stessa bestialità umana di base è stata una caratteristica di tutti i massacri e di tutti i regimi coloniali. Non troppo tempo fa, grandi pensatori come Paulo Freire, Aimé Césaire e Frantz Fanon hanno osservato con grande lucidità in che modo il colonizzatore europeo, trattando in modo brutale i colonizzati, finiva per trattare brutalmente se stesso. Gestire un regime coloniale, hanno osservato, richiedeva non soltanto la disumanizzazione degli oppressi, ma – cosa che conta molto di più – la disumanizzazione attiva dell’oppressore. Gli affetti umani come l’empatia devono essere repressi in modo effettivo per mantenere intatto l’ordine coloniale; non soltanto per giustificare la brutalità dal punto di vista ideologico, ma semplicemente per far fronte alle proprie atrocità in modo emotivo.
Alla lunga, questo ciclo infinito di aggressioni finirà danneggiando Israele più di quanto possa mai restituire in termini di “sicurezza” o di “quiete”. In effetti le centinaia di bambini morti a Gaza pongono una minaccia più esistenziale al futuro del paese di quanto potrebbe qualsiasi razzo artigianale di Hamas. Ci sono già segnali che Israele questa volta abbia superato davvero un limite. I suoi rapporti con l’amministrazione Obama non sono mai stati così gelidi, e il sostegno pubblico a Israele negli Stati Uniti – storicamente inconfutabile – ha raggiunto il livello più obbligata alle sensibilità che circondano la vittimizzazione degli ebrei e che ha assistito al massacro di Gaza che si svolgeva in tempo reale grazie al flusso di informazioni.
A livello internazionale, il movimento Boicotaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) sta guadagnando forza, e molto governi in America Latina e anche alcuni in Europa, stanno perseguendo sanzioni economiche e politiche.Sarebbe tuttavia un errore aspettarsi che il culto dell’uroboro inghiotta se stesso nella sua interezza. Forse Israele si sta rivoltando contro se stessa, ma attendere che questo orribile processo di reciproca disumanizzazione e di auto-cannibalizzazione collettiva completi il suo corso, sarebbe un approccio pericolosamente ingenuo. E non sarebbe saggio aspettare che il responsabile di Israele – cioè il governo degli Stati Uniti – accorra in qualche modo in suo soccorso, come ora finge di fare con gli Yazidi in Iraq. Quando tutto è detto e fatto, e la comunità internazionale ha infine tolto i denti al pitone e isolato completamente il culto dell’uroboro nell’ambito della gabbia della sua occupazione, gli unici in grado di rompere il ciclo della violenza e di redimere l’umanità sia dell’oppressore che degli oppressi, sono quelli che stanno attualmente sopportando la totale brutalità del colonialismo sulla loro pelle e nelle loro ossa. Come ha scritto in modo così potente Frantz Fanon: “
“Sebbene l’oppressione disumanizzi entrambe le parti e soffochi la loro umanità, gli oppressi devono guidare la lotta perché entrambi abbiano un’umanità più piena. Quando gli oppressi cercano di riguadagnare e di rinforzare la loro umanità, non devono a loro volta opprimere gli oppressori, ma invece aiutare a recuperare l’umanità di entrambi. La contraddizione tra le due classi si risolve con di un nuovo tipo di essere umano, un tipo nl processo di liberazione. Non è possibile eliminare l’oppressione soltanto con un cambiamento di ruoli in cui l’oppressore diventa l’oppresso e vice-versa. In tale cambiamento non possiamo dire che una persona libera se stessa, o un’altra, ma che la gente insieme di intenti si libera reciprocamente.
Jérôme Roos è Dottore di ricerca in Economia Politica Internazionale all’Istituto Universitario Europeo ed è direttore e fondatore della rivista on line ROAR Magazine. (ROAR sta per Reflections on a revolution – Riflessioni su una rivoluzione,n.d.t.).  ArticoloDa: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/the-occupier-devours-itself
Originale: teleSur English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0


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