Gaza: intervista al direttore di Ha’aretz
Ha’aretz è il quotidiano israeliano più letto
all’estero, gli articoli della sua edizione online, in particolare
quelli di opinionisti come Gideon Levy o Amira Hass, sono stati postati e
diffusi nei social network in tutto il mondo durante l’operazione
“Protective Edge” a Gaza sollevando molte critiche e polemiche. Di
questo e dei negoziati in corso al Cairo tra palestinesi e israeliani
abbiamo parlato con il direttore Aluf Benn, nella redazione del giornale
a Tel Aviv. Ha’aretz, ci ha detto Aluf Benn, ha contribuito a sollevare
“una discussione cruciale sulla libertà di stampa in tempo di guerra”.
di Federica Ramacci
I negoziati tra palestinesi e israeliani al Cairo sono ancora in corso. Siamo alla fine dell’operazione militare?I
E’ quello che sembra
ma è troppo presto per dirlo. Il problema è nei negoziati, che sono il
riflesso di un gap impossibile da superare. Come è già successo in
passato nei negoziati tra israeliani e palestinesi su questioni come
Gerusalemme o i rifugiati. E’ complicato perché tutte e due le parti
parlano solo con il mediatore, cioè l’Egitto che però è coinvolto in
prima persona, ha i suoi interessi. Non è come se le due parti stessero
parlando con un mediatore terzo, come che so l’Italia. E’ ancora troppo
presto per dire come andrà a finire.
Quali erano gli obiettivi di questa operazione militare per il governo israeliano? Sono stati raggiunti?
Gli obiettivi dichiarati erano molto limitati. Quello
principale era “dare una lezione ad Hamas”. Poi la questione dei tunnel
è venuta fuori e Netanyahu ne ha fatto il suo obiettivo principale.
Andando contro ciò che chiedevano invece i politici dell’ala destra
della coalizione, cioè l’occupazione di Gaza, rovesciare il governo di
Hamas ed eliminare le sue armi. Questo non è successo ma queste
questioni sono ancora nell’aria in Israele. In realtà non c’è un vero
vincitore di questa operazione militare, perché se Hamas riuscirà ad
ottenere un alleggerimento rilevante del blocco su Gaza, in modo
particolare per quello che riguarda il porto e se riuscirà ad ottenere
fondi per pagare i salari e migliori condizioni economiche allora avrà
ottenuto una vittoria. E se Israele sarà in grado di ottenere un confine
sicuro nel lungo periodo sarà una conquista anche per lui. E d’altra
parte anche se Hamas otterrà dei risultati in questi negoziati dovrà
comunque gestire enormi danni e perdite di vite umane. Israele da parte
sua dovrà pagare il conto per questa operazione militare, magari alzando
le tasse. Questo conflitto non è come la seconda guerra mondiale, non
c’è un vincitore o un vinto. Ci sono conquiste e perdite da entrambe le
parti.
Perché è stata lanciata questa operazione militare?
Io credo che Netanyahu sia stato trascinato in questa
guerra. Io non credo che avesse pianificato questo attacco o avesse un
reale interesse in una guerra a Gaza. Io credo che Netanyahu sia stato
messo sotto pressione dalla destra della colazione che voleva ad esempio
l’arresto dei prigionieri che erano stati liberati con l’accordo su
Shalit (il soldato israeliano catturato nel 2006 e liberato nel
2011 ndr). E’ un problema per Netanyahu che ha costruito la sua carriera
opponendosi a qualunque negoziazione o dialogo con i terroristi e che
poi ha liberato più prigionieri palestinesi di qualunque altro primo
ministro, circa 1.027. Non era mai successo prima. Io credo che sia
stato messo all’angolo dalla destra, stava perdendo il supporto del
partito. E’ stato costretto ad usare la forza a Gaza. E’ stata una
questione di politica interna israeliana.
L’opinione pubblica israeliana cosa pensa di questa operazione militare?
L’opinione pubblica israeliana ha supportato
completamente il governo in questa operazione. Quello che è stato
differente questa volta è che di solito tu hai all’inizio l’appoggio
dell’opinione pubblica ma poi i soldati cominciano a morire, le cose non
vanno secondo i piani e l’appoggio dell’opinione pubblica comincia a
mancare. E’ successo nella guerra in Libano, quando Olmert aveva il
supporto popolare ma lo ha perso durante il conflitto e anche se è
rimasto al potere non aveva più l’appoggio necessario per fare quello
che era nei suoi piani. Nel caso dell’operazione militare a Gaza invece
l’appoggio popolare è cresciuto durante la guerra, soprattutto a causa
della questione dei tunnel. Le informazioni sui tunnel c’erano già ma
non erano state diffuse. Quando la gente ha realizzato che Hamas poteva
entrare in Israele e che non c’era una reale protezione contro questo
tipo di attacco, ha cominciato a chiedere che il governo facesse tutto
quello che era necessario fare. E questa sensazione è ancora presente
negli israeliani. Il problema politico di Netanyahu rimane dunque lo
stesso, perché l’obiettivo di rioccupare Gaza è ancora predominante
nelle idee della destra della coalizione.
L’occupazione di Gaza è ancora una opzione per il governo israeliano?
Certamente. E’ nelle capacità dell’esercito
israeliano occupare Gaza? Sì. E’ una operazione che avrebbe costi
altissimi in termini di vite umane? Sì. E’ utile? Dipende. Se tu non
vuoi occupare Gaza hai bisogno di una forza forte che se ne prenda
carico. Ovviamente vuoi che sia una forza “amica” ma in alternativa è
meglio una forza meno “amichevole” ma che possa essere responsabile e
riuscire a mantenere il confine calmo. Hamas voleva avere questo ruolo
ma ha fallito. In Libano è stato differente perché Hezbollah ha un modo
più efficace di controllare tutti i gruppi rispetto ad Hamas a Gaza.
Anche se questo sembra essere cambiato. Questa guerra potrebbe
consolidare il potere di Hamas a Gaza e certamente ha mostrato una
organizzazione militare molto disciplinata. Quando la leadership di
Hamas ha acconsentito al cessate il fuoco, questo è stato rispettato e
durante la guerra l’Israeli defence force non è stato capace di trovare e
neutralizzare i centri operativi di Hamas o di distruggere il sistema
di controllo dei commandos. Uno dei più grandi fallimenti dell’esercito
israeliano è stato quello di non essere riuscito a distruggere il cuore
di Hamas. Ed è l’accusa che gli viene mossa dall’opinione pubblica.
Cosa pensano oggi gli israeliani della situazione?
In Israele, sempre ma soprattutto durante le
operazioni militari, tu hai due differenti opinioni pubbliche da
gestire. Quella degli ebrei che in Israele sono la maggioranza, e quelli
degli arabi che sono la minoranza ma che hanno sempre dei legami molto
forti con famiglie di Gaza. Chiaramente una delle maggiori conseguenze
di questa guerra è stata la polarizzazione delle relazioni tra ebrei e
arabi in Israele. E’ una conseguenza di lungo periodo con cui bisogna
fare i conti. Se parliamo dell’opinione pubblica ebraica essa è molto
unita intorno al sostegno dell’esercito che è l’organo più importante
della società israeliana, così come lo aveva pensato Ben Gurion. La
maggior parte della gente lo ama e pensa che sia parte della propria
vita, di fatto senza chiedersi perché, senza farsi alcuna domanda.
Ha’aretz ha avuto posizioni molto critiche sull’operazione militare a Gaza. Avete perso lettori per questo?
Esiste una posizione pubblica molto forte contro ogni
tipo di critica a questo intervento militare e noi di Ha’aretz abbiamo
dovuto affrontarla soprattutto per alcuni articoli dei nostri
opinionisti come Gideon Levy che hanno sollevato interrogativi molto
forti sulla moralità di questa guerra, sulla sua utilità. La risposta è
stata una grande rabbia nei confronti del giornale da parte della
leadership israeliana e dell’opinione pubblica. In realtà la linea
editoriale del giornale non era contraria o favorevole all’operazione
militare contro i tunnel. Abbiamo certamente criticato l’uso eccessivo
della forza e lanciato appelli per tutelare la vita dei civili a Gaza ma
sono state soprattutto le opinioni di alcuni dei nostri autori ad
essere amplificate su facebook. Questa è stata davvero “una guerra su
facebook” e i social network hanno polarizzato l’opinione pubblica.
Abbiamo perso molti abbonamenti a causa di queste critiche, ma ne
abbiamo conquistati altri e soprattutto abbiamo sollevato una
discussione molto importante intorno ad Ha’aretz e alla libertà di
espressione in Israele in tempo di guerra.
Ha’retz e’ stato l’unico giornale israeliano ad essere criticato?
Noi siamo stati l’unico giornale a pubblicare alcune
notizie sull’operazione militare. Ad esempio nessun altro giornale ha
pubblicato il numero dei morti palestinesi a Gaza in prima pagina. Noi
lo abbiamo fatto ogni giorno e siamo stati molto criticati dai lettori
che ci scrivevano cose come “io non voglio sapere che succede a Gaza,
Hamas si nasconde dietro i civili, è un loro problema non è un nostro
problema”. Di solito rispondiamo alle critiche cercando di far capire
che noi non addossiamo colpe a nessuno solo cerchiamo di informare da
tutti i punti di vista. Sono convinto che il ruolo di un giornale sia
quello di criticare, e credo non ci sia un momento più importante di
criticare come quando si è in guerra, perché ci sono in ballo le vite
dei civili. Il ruolo dei media è quello di fare domande e questo, come
accade sempre in America, succede troppo spesso solo quando la guerra è
già finita. Ha’aretz ad esempio ha avviato in questi giorni una
inchiesta sulla airforce israeliana, vogliamo sapere perché i piloti
hanno acconsentito ad attaccare target civili senza fare alcuna domanda,
perché nessuno si è rifiutato, chi ha dato gli ordini, chi era a capo
delle operazioni. Questo tipo di dibattito è cruciale è un test per la
democrazia in tempo di guerra e tutti gli altri giornali israeliani non
hanno sollevato questioni simili. Abbiamo speso molto tempo e sforzi a
coprire la guerra non solo dal punto di vista delle opinioni ma
dell’analisi militare. Ad esempio sulla terribile battaglia di Rafah,
abbiamo investigato sull’uso di armi pesanti contro i civili, chi l’ha
autorizzato, perché è successo e chi è coinvolto. E’ una inchiesta che
stiamo ancora portando avanti. Non e’ sempre facile io passo ore ogni
giorno a rispondere a lettori arrabbiati. Ma la capacita’ di far
arrabbiare un lettore o un politico e’ la differenza che passa tra una
democrazia e una dittatura.
Ha mai deciso di non pubblicare una notizia per tutelare la sicurezza nazionale di Israele?
In Israele abbiamo la censura. Coinvolge tutto quello
che abbia a che fare con questioni legate alla sicurezza, al nucleare,
all’intelligence e a questioni di politica estera legate a paesi con cui
Israele non intrattiene relazioni diplomatiche. Ogni volta che
intendiamo pubblicare qualcosa su questioni di questo tipo è necessario
che venga approvato dall’ufficio militare per la censura. Solitamente è
un procedimento veloce ed efficiente, ma rappresenta una rottura molto
forte per la libertà di stampa. L’unico dato positivo è che solleva
l’editore dal dilemma “metterò a rischio la sicurezza nazionale
pubblicando questo o quello?”. Perché se segui le regole non hai nessuna
responsabilità, qualcun altro è responsabile per aver deciso. Per
esempio quando i miei colleghi del New York Time, del Guardian o Deir
Spiegel hanno pubblicato i documenti di Snowden giudicando da soli cosa
poteva nuocere alla sicurezza nazionale e cosa no, sono sicuro che hanno
utilizzato grande cura nello scegliere cosa pubblicare per non
danneggiare la sicurezza nazionale. Mi piacerebbe vivere in una
situazione dove non esiste questo tipo di censura, ma fin tanto che
esiste…
In questi giorni gli israeliani stanno
scendendo in piazza per protestare contro la guerra a Gaza. Cosa pensa
di queste manifestazioni?
Ma in realtà le proteste non sono molte. L’esempio
più importante resta quello del 1982 dopo il massacro di Sabra e
Chatila, le strade a Tel Aviv erano ovunque piene di persone che
chiedevano una commissione di inchiesta sui fatti, le dimissioni
immediate del governo e del ministro della difesa. Ma sai questo accade
molto raramente. Ci sono state proteste più massicce da parte
dell’estrema destra per il ritiro da Gaza nel 2005. Il problema di
queste proteste secondo me, di quelle ad esempio del 2011 (il movimento
degli indignados israeliani ndr) è che volevano essere apolitiche, non
parlavano dell’occupazione o delle colonie o della politica estera. Lo
slogan era del tipo “bisogna tassare i ricchi”, ma se tu non cambi
realmente le priorità del governo non serve. Se le proprietà del governo
è la questione militare e la costruzione delle colonie nella West Bank
non stai spingendo il governo a cambiare realmente la sua politica e
quindi non risolve di certo il problema. E credo che non molte persone
scenderebbero in piazza per chiedere la fine dell’occupazione e della
costruzione delle colonie. Quelli che lo fanno sono molto determinati ma
sono pochi. Credono che l’occupazione, le colonie, la negazione dei
diritti umani e civili dei palestinesi nella West Bank e a Gaza sia
sbagliato. C’è una parte dell’opinione pubblica israeliana più centrista
che vorrebbe anche lei cambiare le cose ma che non è disposta a fare
barricate per questo.
Sono state molte le critiche da parte della
comunità internazionale sull’operazione militare, soprattutto riguardo
le vittime civili. Pensa che possa incidere sulle scelte del governo
israeliano?
La proteste della comunita’ internazionale in questo
momento non e’ abbastanza forte da cambiare la politica di israele.
Questo tipo di critiche vengono pubblicizzate e diffuse ma non hanno la
forza di cambiare realmente la politica israeliana. E lascia che
aggiunga un’altra cosa. Si parla di un ritorno dell’antisetismo in
Europa, ma anche questo non cambia la politica israeliana. C’è una
differente percezione tra gli israeliani della diaspora e persone come
me che sono nate qui. L’antisemitismo è qualcosa che non abbiamo mai
sperimentato direttamente. La reazione della media degli israeliani è
“ok perché restate lì, venite qui in Israele e vivete liberamente”.
Quindi gli israeliani, in particolare gli israeliani nati qui, non
vedono l’antisemitismo come qualcosa legato ai comportamenti o alle
scelte del governo israeliano, ma qualcosa di radicato in Europa che va
avanti da millenni e che ha solo bisogno di una scusa.
Qual è la posizione di Israele rispetto a quanto sta accadendo in Iraq?
Penso sia troppo presto per dire se l’Isis può
davvero cambiare le dinamiche nella regione e questo mi riporta alla tua
prima domanda. Ci stavo pensando in questi giorni, Israele potrebbe
anche giustificare un accordo con Hamas sull’apertura dei valichi per
calmare il fronte occidentale visto che c’è un problema molto più grande
con quanto sta accadendo nel fronte orientale. E’ una situazione
complicata, a volte in politica i tuoi nemici possono diventare alleati.
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