Davide Grossman: 'Così finalmente hanno capito la nostra tragedia'

 

di Vanna Vannuccini  
 
David Grossman, che effetto le hanno fatto le parole di Abu Mazen? «Credo che la sua dichiarazione sia un passo molto positivo di comprensione per quello che gli ebrei hanno subito nella Shoah. I palestinesi non sono stati in grado di esprimerlo in passato, anche perché si sentivano loro stessi vittime delle vittime. Ed è necessario aver presente che non è possibile paragonare ciò che Israele compie nei Territori occupati con l’orrore della Shoah. Sono due dimensioni di malvagità totalmente differenti ed il paragone fra loro è sbagliato. Spero che questo consenta anche agli israeliani di capire l’essenza della tragedia dei palestinesi, anche se probabilmente questo è ancora più difficile, poiché si aggiungono sensi di colpa inevitabili, dovuti a ciò che noi abbiamo fatto loro».
Si parla sempre di due narrative inconciliabili, è stato fatto ora il primo passo?
«Riconoscere le sofferenze del popolo ebraico durante la Shoah è un passo molto importante nella comprensione della narrativa ebraica e israeliana. La prima fase di ogni processo di pace secondo me è che le due parti riescano identificarsi vicendevolmente con la sofferenza dell’altra parte, con quella di cui loro stessi sono responsabili e con quella che altri hanno inflitto all’altra parte. Solo se smetteremo di difenderci, a volte selvaggiamente, contro la sofferenza del nostro avversario saremo in grado di capire la narrativa dell’altro. Questa può non essere sempre in accordo con i fatti storici, ma ha una forza enorme nel fissare l’identità di un popolo e va rispettata».
Perciò la dichiarazione di Abu Mazen è un buon segno?
«La cosa più deprimente per me è vedere il livello di sfiducia, di sospetto e di odio esistenti fra Israele ed i palestinesi. Sembra che ogni volta che le parti arrivano a un bivio, entrambe prendano la direzione più distruttiva e più aggressiva possibile. Anche quando usano espressioni apparentemente moderate, è percepibile l’odio che le pervade. Per questo è molto preoccupante che Israele abbia deciso di interrompere i colloqui di pace. E per questo è bene che il presidente dell’Anp, nel giorno della Memoria della Shoah, abbia riconosciuto la dolore degli ebrei».
Che cosa pensa dell’accordo di Fatah con Hamas?«Anche se Hamas viene considerata un’organizzazione terroristica, e di fatto spesso agisce come tale, penso che sia stato fatto un passo molto importante: la riunificazione di due parti di un popolo che le circostanze hanno separato. Se siamo interessati ad avere un giorno una pace stabile, essa deve includere il milione e mezzo di palestinesi che vivono nella striscia di Gaza. Per anni in Israele molti si opponevano alle trattative con Abu Mazen con il pretesto che non rappresenta tutto il popolo palestinese. Può darsi che ora vi sia una opportunità: molto piccola forse, ma che non possiamo tralasciare».
Non teme che Hamas sia un pericolo?
«Ieri ho sentito Abu Mazen dichiarare che il nuovo governo unitario sotto la sua guida riconoscerà Israele, si opporrà alla violenza e si impegnerà a rispettare tutti gli accordi internazionali firmati in passato da Al Fatah. Se sarà effettivamente così, può darsi che si crei davvero una situazione nuova. La reazione del governo israeliano è ancora una volta di paura e di rifiuto. Io vedo nella riunificazione palestinese piuttosto la possibilità di dare una spinta al processo politico fra i due popoli. È una sfida per Hamas, che dovrebbe dichiarare esplicitamente che cambia direzione e che rinuncia alla parte del proprio statuto in cui è invocata la distruzione di Israele. Però non nascondo di essere scettico sulla possibilità che l’accordo regga, e che Hamas e Al Fatah riescano veramente a mettersi d’accordo: perché Hamas dovrebbe cessare di essere Hamas. E non è facile credere che ciò possa succedere».
Che ruolo dovrebbero avere gli Stati Uniti e l’Europa?
«Vedo con dispiacere che anche a Washington hanno cominciato ad arrendersi. Quando Obama dice che forse gli israeliani ed i palestinesi non sono ancora pronti alla pace, vuol dire che gli Stati Uniti stanno convincendosi che non gli conviene investire sforzi e prestigio nella risoluzione di un problema così complesso da non far intravedere vie d’uscita. Ma nella realtà il vuoto non esiste: senza un accordo fra Israele ed i palestinesi tra poco la terra qui comincerà a bruciare. Sarà difficile impedire ai palestinesi di intraprendere azioni anche violente. E in un clima di violenza e frustrazione la voce che prenderà il sopravvento sarà quella bellicosa ed estremista di Hamas».

 da REPUBBLICA,

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