Le misure per la costituzione dello stato non porteranno a niente, fintantochè la Palestina resterà una colonia
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Le misure per la costituzione dello stato non porteranno a niente, fintantoché la Palestina resterà una colonia
Porre fine all'occupazione - la migliore e unica misura degna di fiducia
Rapporto sugli insediamenti
di Geoffrey Aronson, Fondazione per la pace in Medio Oriente (FMEP) |
Vol. 23 No. 6m Novembre-Dicembre 2013
MAPPA: COLONI ISRAELIANI IN CISGIORDANIA, modelli di crescita 2013, FMEP
In
una serie di relazioni scritte nell'ultimo decennio, le istituzioni
internazionali, guidate da Banca Mondiale e Fondo Monetario
Internazionale (FMI) hanno evidenziato il contributo fondamentale delle
istituzioni forti nella costruzione di uno Stato nei territori
palestinesi.
Questo
interesse e il sostegno straordinario offerto all'Autorità palestinese
(AP) ha un contesto politico più ampio. In un'epoca in cui la comunità
internazionale, guidata dagli Stati Uniti, si è ritenuta soddisfatta
della leadership di Yasser Arafat e si è incentrata sulla realizzazione
delle "ulteriori riassegnazioni" stabilite dagli accordi di Oslo II, la
preoccupazione internazionale è stata del tutto assente riguardo la
coerenza, la trasparenza e la governance delle istituzioni palestinesi
create come conseguenza dell’accordo tra Israele e l'Organizzazione per
la Liberazione della Palestina (OLP).
Il
cambiamento di questa politica inizialmente è stato il prodotto della
decisione politica dell'amministrazione del presidente George W. Bush di
"potenziare" Mahmoud Abbas nella nuova posizione di premier della AP a
scapito del presidente della AP Arafat, che era in conflitto con Stati
Uniti e Israele sulla scia dei falliti colloqui di Camp David, a metà
del 2002 e della successiva seconda intifada.
In
quello che è diventato noto come il "discorso della visione," Bush, due
mesi dopo l'Operazione Scudo Difensivo di Israele che aveva portato
alla rioccupazione della zona A da parte dei militari israeliani
nell'aprile del 2002, dichiarò: "E quando il popolo palestinese avrà
nuovi leader, nuove istituzioni e nuovi accordi di sicurezza con i
propri vicini, gli Stati Uniti d'America sosterranno la creazione di uno
Stato palestinese i cui confini e certi aspetti della sovranità saranno
provvisori fino alla determinazione conclusiva, come parte di una
soluzione definitiva in Medio Oriente ".
Sotto
la guida di Abbas, come successore del presidente Arafat alla guida
della AP e dell’OLP e con il supporto critico e la credibilità prestata
dall’ ex funzionario del FMI, Salaam Fayyad, come primo ministro, la AP
si accinse ad attuare il programma di riforme richiesto dalla comunità
internazionale.
Salam Fayyad (a destra), con il rappresentante del Quartetto Tony Blair nel 2009. Foto di Mustafa Abu Dayeh / immagini APA
"Palestina-fine
dell'occupazione, istituzione di uno Stato", un piano biennale per la
creazione dell'infrastruttura amministrativa di uno Stato palestinese,
fu presentato da Fayyad nell'agosto 2009. Nel mese di aprile 2011, il
FMI riferì che l'Autorità palestinese "è ora in grado di condurre le
sane politiche economiche che ci si aspettano da un futuro Stato
palestinese ben funzionante, data la sua comprovata esperienza in
materia di riforme e di sviluppo istituzionale nella finanza pubblica e
in ambito finanziario."
Istituzioni
forti, trasparenti e ben gestite sono certamente auspicabili, ma tali
istituzioni e tali pratiche, mentre sono vitali per un'effettiva
elaborazione di buone politiche e per la loro esecuzione, non sono mai
state un prerequisito per la sovranità e statualità.
Il controllo sovrano e autonomo sul territorio resta la conditio sine qua non, verificata nel tempo,
per la liberazione nazionale, ed è proprio su questo punto critico, la
capacità di controllare il proprio territorio, che i palestinesi vivono
un deliberato e doloroso svantaggio.
Più
di tre decenni fa, molto prima dell'era di Oslo, urbanisti e politici
israeliani mapparono una divisione territoriale della Cisgiordania,
compresa Gerusalemme Est, che rifletteva due obiettivi israeliani
correlati: stabilire la base politica e amministrativa per la diffusa
colonizzazione israeliana della Cisgiordania e, così facendo, negare ai
palestinesi la base territoriale su cui si potesse costruire un’entità
nazionale veramente sovrana. A quel tempo, il Primo Ministro Menachem
Begin descrisse questo obiettivo a somma zero come "autonomia per il
popolo, non per la terra."
Nel
1981, nella sua indagine su tredici anni di occupazione, il Ministero
della Difesa di Israele era in grado di parlare positivamente della
"scomparsa della Linea Verde, de facto se non de jure", come bene per
gli abitanti di entrambe le aree, vale a dire i palestinesi e gli
israeliani.
Nulla
di ciò che è accaduto nei decenni successivi, tra cui più di venti anni
di negoziati dopo la firma degli accordi di Oslo II e la comparsa di
permanenti e diffuse restrizioni alla circolazione, in particolare la
barriera di separazione, ha modificato questo obiettivo israeliano.
Infatti, il principale evento diplomatico dell’ultima generazione è
l'accordo di Oslo II e la sua divisione della Cisgiordania in zone A, B,
e C, con uno status separato, sotto il controllo israeliano, di
Gerusalemme est. Questo accordo ha segnato il riconoscimento da parte
dell'OLP di una divisione territoriale della Cisgiordania che ha messo
il 60 per cento di esso al di fuori di ogni giurisdizione palestinese.
Per l'OLP il processo di Oslo e la mappa che aveva disegnato erano visti
come una stazione temporanea sulla strada per giungere alla fine
dell'occupazione, l’evacuazione degli insediamenti e l’indipendenza che
rimangono totalmente inevasi, dopo più di due decenni.
Uomini
palestinesi esausti, dopo aver attraversato la Cisgiordania passando da
Qalqilya prima dell'alba, in attesa del bus per soli palestinesi che li
porterà ad una giornata di lavoro in Israele. Un'economia indipendente
può essere costruita così? Foto di Uriel Sinai / Getty Images
Negli
ultimi anni, la comunità internazionale ha raggiunto importanti
conclusioni sul valore della sua attenzione sulla riforma delle
istituzioni amministrative ed economiche palestinesi. In primo luogo, si
riconosce che delle istituzioni ben gestite non sono sufficienti.
Infatti, le istituzioni di governo riformate hanno provato tutto, ma si
sono dimostrate irrilevanti nella battaglia palestinese per la
sovranità, non riuscendo a impressionare Israele fino a convincerlo ad
interrompere il suo programma di colonizzazione o a persuadere la
comunità internazionale a insistere sulla fine dell'occupazione.
È
l'occupazione, piuttosto che le carenze del governo della AP, che
soffoca le prospettive economiche della Palestina, imponendo limiti
strutturali insormontabili al modello di sviluppo economico perseguito
sotto la guida internazionale nel corso degli ultimi due decenni. La
Banca Mondiale, nel suo rapporto del 2011, "Sostenere lo sviluppo delle
istituzioni e la crescita economica in Palestina ", ha riconosciuto che "
la crescita [economica palestinese] è insostenibile, trainata
principalmente dagli aiuti dei donatori, piuttosto che da uno sviluppo
del settore privato, che rimane soffocato dalle restrizioni israeliane
in materia di accesso alle risorse naturali e ai mercati."
Nonostante
il fallimento dei suoi sforzi passati, la comunità internazionale,
guidata dall'amministrazione di Barack Obama, continua a perseguire una
strategia di sviluppo che presuppone la creazione di una fondazione
sostenibile per la crescita economica palestinese in condizioni di
continua occupazione. Ma la comunità internazionale ha iniziato a vedere
più chiaramente che perché questo abbia successo, i poteri di Israele
devono essere ridotti e la base territoriale di accesso dei palestinesi
ed il suo controllo devono essere estesi su oltre il 40 per cento della
Cisgiordania, incluse le aree A e B. Come la Banca Mondiale ha rilevato
nel suo rapporto economico del 18 Settembre 2011, al Comitato Ad Hoc
Liaison "Infine, affinché l'Autorità palestinese possa sostenere lo
slancio delle riforme e le sue conquiste al fine della costruzione delle
istituzioni, le rimanenti restrizioni israeliane devono essere
eliminate". La relazione della banca del 2013 al Comitato ad Hoc Liaison
ripete questo punto in termini ancora più forti, specificando l'impatto
ampio e completo che avrebbe il permanere dell'esercizio del controllo
da parte di Israele sui territori
occupati.
occupati.
L'ostacolo
più significativo alla redditività economica nei Territori Palestinesi è
il sistema multi-livello delle restrizioni imposte dal governo di
Israele. Il sistema di restrizioni vincola gli investimenti, aumenta i
costi per fare affari e ostacola la coesione economica. Anche le
restrizioni in materia di accesso e di circolazione influenzano
negativamente la capacità della AP di fornire servizi pubblici. Mentre
alcune azioni sono state recentemente adottate dal governo israeliano
per allentare alcune restrizioni, vengono garantite misure più incisive
per alleviare significativamente i rimanenti ostacoli che attualmente
impediscono la crescita economica guidata dal settore privato.
Questa
analisi fornisce un importante contributo alla comprensione dei costi
dell’occupazione e il ruolo fondamentale che l'assenza di controllo
sovrano palestinese sul territorio gioca nella marcia verso la
statualità e l’indipendenza.
Ma
queste raccomandazioni sono indebolite da un grave difetto concettuale.
Il sistema di occupazione, con la perdita di controllo dei palestinesi
sulla terra che è al suo interno, non si è evoluto naturalmente o
accidentalmente. E la conseguente incapacità dei palestinesi a
comportarsi come nazione sovrana e vitale non è visto da Israele, che ha
progettato questo accordo, come una lacuna bisognosa di una soluzione,
ma come una caratteristica critica di un sistema progettato
intenzionalmente e che funziona esattamente come previsto,
salvaguardando l’espansione degli insediamenti e l’agenda della
sicurezza israeliani e, così facendo, precludere la creazione di una
sovranità nazionale palestinese.
Così,
per esempio, la creazione di un’Area C sotto il controllo esclusivo di
Israele, che comprende il 60 per cento della Cisgiordania, non è la
conseguenza di un qualche capriccio burocratico o di una svista, ma
riflette invece l'intenzione israeliana di stabilirsi e posizionarsi
oltre la possibilità palestinese di ottenere il territorio necessario
alle attività vitali per garantirsi la capacità di costruire
un'esistenza nazionale indipendente.
[Enfasi nostra]
La
creazione dell'Area C- iniziata con Ariel Sharon e con i piani
dell'Organizzazione Mondiale Sionista alla fine del 1970, e formalizzata
negli accordi di Oslo II nel settembre 1995, fu ideata proprio per
prevenire la creazione di una effettiva richiesta palestinese per una
reale sovranità e indipendenza. Questo è il motivo per cui Israele resta
irremovibile nella tutela dei suoi insediamenti, nello sviluppo e nella
visione della sicurezza in questo settore nonostante le obiezioni
palestinesi e gli sforzi lamentosi della comunità internazionale.
Gli
sforzi internazionali per sostenere lo sviluppo palestinese entro la
morsa territoriale istituita dalla divisione della Cisgiordania in zone
A, B, e C e per contenere le restrizioni draconiane imposte alla
Striscia di Gaza sono stati accolti da Israele, nel complesso, come
elementi chiave quella che alcuni chiamano un "occupazione di lusso."
Non dovrebbe destare nessuna sorpresa che la leadership israeliana,
indipendentemente dal colore politico, non abbia alcun interesse a
sostenere la crescita economica palestinese, che potrebbe rafforzare le
efficaci richieste per una sovranità politica e territoriale nelle aree
occupate da Israele nel mese di giugno 1967.
La
conclusione fondamentale che l'occupazione preclude lo sviluppo
economico palestinese e mina il buon governo è al di là del limitato
mandato della Banca mondiale e di analoghi donatori internazionali, tra
cui lo sforzo guidato dall'ex primo ministro britannico Tony Blair. È
comunque indispensabile per mobilitare gli sforzi internazionali per
sfidare l'attuale assetto territoriale creato da Israele per impedire il
vero obiettivo che la comunità internazionale dichiara di sostenere:
l'indipendenza, la sicurezza economica e la sovranità per i palestinesi.
Produzione economica palestinese persa a causa del controllo israeliano dell’Area C
FMEP
Novembre-Dicembre 2013
Avamposto
di Amona, illegalmente costruito su terra palestinese di proprietà
privata vicino a Ofra in Cisgiordania. Ancora in piedi nonostante i
molti ordini di demolizione. Foto di Baz Ratner / Reuters
CITAZIONI
FMEP Novembre-Dicembre 2013
Nel
1997 fu emesso il primo ordine di demolizione contro l'avamposto di
Amona in Cisgiordania. Nel 2003, fu emesso un altro ordine di
demolizione. Nel 2006, lo Stato si è degnato di radere al suolo solo
nove edifici. Nel 2008, lo Stato ha ammesso che la costruzione del sito
era illegale e ha annunciato che l'intero avamposto sarebbe stato raso
al suolo. Nel 2011, lo Stato ha annunciato che l'avamposto sarebbe stato
evacuato entro la fine del 2012. Entro la fine del 2012, non è successo
niente.
Ora,
a metà ottobre 2013, 16 anni dopo che era stato emesso il primo ordine
di demolizione, lo Stato ha chiesto al giudice un rinvio, ancora una
volta. Ecco la spiegazione di questa volta: "Secondo il punto di vista
del governo, un’evacuazione di tale portata in un momento come questo
rischia di ledere gli interessi diplomatici di Israele. . . . Quando ci
sono considerazioni pesanti da un lato, e della persone che protestano
contro il cemento dall'altro. . . le considerazioni diplomatiche hanno
la precedenza. ». . .
Amona
non è solo un avamposto costruito con l'inganno in terra palestinese di
proprietà privata, è il simbolo di uno Stato che ipoteca il futuro dei
suoi cittadini ad un messianico sogno anti-sionista dettato da una gang
aggressiva e violenta che ha messo le mani sulla politica e sui centri
istituzionali di potere.
Il
fatto che anche l'accusa stia collaborando con questi delinquenti e che
il procuratore generale Yehuda Weinstein stia sostenendo questa
acquisizione illegale di terreni privati, dovrebbe preoccupare ogni
israeliano che vuole vivere in un paese sano di mente.
"Il Complesso Amona," Ha'aretz, 16 ottobre 2013
Negli
ultimi anni, alcune parti internazionali hanno cercato di convincere il
mondo che la soluzione inizi con il rimuovere un blocco stradale o
consentendo a ketchup e maionese di entrare a Gaza. Il governo
israeliano sostiene che dare alcuni permessi di lavoro ai palestinesi e
consentire ad alcuni camion di entrare a Gaza sono "misure di fiducia."
Ma ciò di cui ha bisogno la Palestina è porre fine all'occupazione
israeliana, e questo è l'unico modo per la Palestina per raggiungere il
suo pieno potenziale economico. Nessuna "misura di fiducia" farà cessare
il furto delle risorse palestinesi, né le catastrofiche conseguenze
sociali delle politiche di occupazione israeliane.
Negoziatore dell’OLP Muhammed Shtayyeh, "Il costo reale della occupazione," Ha'aretz, 22 ottobre 2013
La
comunità dei donatori negli ultimi mesi ha messo in evidenza i costi
per la Palestina del continuo controllo israeliano delle risorse
naturali nella zona C, che comprende il 60 per cento della
Cisgiordania.
"In
sintesi, il potenziale valore aggiunto totale è (diretto e indiretto, a
seguito della riduzione delle odierne restrizioni in materia di accesso
e l'attività e la produzione in Area C), ammonta a circa 3,4 miliardi
di dollari o al 35 per cento del Pil palestinese del 2011."
Banca Mondiale, "West Bank e Gaza: l’Area C e il futuro dell'economia palestinese", 2 ottobre 2013
Note e collegamenti
Fondazione per la pace in Medio Oriente (FMEP)
Panoramica
Fondata
nel 1979 dal compianto Merle Thorpe Jr., la Fondazione si dedica alla
promozione, attraverso varie attività, di una giusta soluzione del
conflitto israelo-palestinese che porti la pace e la sicurezza per
entrambi i popoli.
Data
l'importanza degli insediamenti israeliani come fattore nel conflitto
israelo-palestinese, la Fondazione dal 1992 pubblica una relazione
bimestrale sugli insediamenti israeliani nei Territori occupati, a cura
di Geoffrey Aronson. Il rapporto contiene dettagliate, autorevoli
analisi, dati e mappe degli insediamenti e il loro rapporto con il
processo di pace. Le edizioni precedenti e attuali del Rapporto sono
disponibili su questo sito (vedi FMEP Reports). È anche possibile
iscriversi per ricevere la relazione via e-mail o scriveteci per avere
una copia cartacea.
Altre
questioni relative alla pace e alla sicurezza in Medio Oriente sono
affrontate in periodiche edizioni speciali del Rapporto.
La Fondazione ha anche pubblicato o supportato pubblicazioni di libri, tra cui:
Prescription for Conflict: la politica degli insediamenti di Israele in Cisgiordania
,
di Merle Thorpe, Jr. (1984). (Alcune copie di Prescription for Conflict
sono ancora disponibili. Sebbene questo libro sugli insediamenti sia
stato pubblicato nel 1984, contiene analisi, fotografie e documenti che
sono ancora attuali. Scrivici per una copia gratuita.)
Errore e tradimento in Libano
, di George W. Ball (1984)
Affrontare le richieste dell'OLP
,
di Philip Klutznick, ex presidente della B'nai B'rith International e
del World Jewish Congress, Meir Merhav del Jerusalem Post, e Hermann
Eilts, ex ambasciatore americano in Egitto (1985)
Una politica per il momento della verità
, del Maggiore Generale (in pensione) Yehoshafat Harkabi (1988)
Né trombe, né tamburi
,
di Mark Heller e Sari Nusseibeh (New York: Hill and Wang, 1991), un
libro sostenuto dalla Fondazione che analizza la "soluzione dei due
Stati"
I colloqui di pace israelo-siriani: 1991-1996 e oltre
, Helena Cobban, Istituto per la Pace 2000.
La Fondazione è un'organizzazione caritatevole ed educativa no-profit registrata ai sensi della Sezione 501 (c) (3) del Internal Revenue Code, marzo 1994
(tradotto da barbara gagliardi
per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus)
per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus)
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