Israele. Che fine ha fatto il piano Prawer? di Stefano Nanni
Nonostante
l’annuncio della settimana scorsa, l’iter legislativo del progetto non
risulta modificato né bloccato. E il governo guidato da Benyamin
Netanyahu, rimane in silenzio e non sembra intenzionato a fare passi
indietro, nonostante le proteste interne ed internazionali.
di Stefano Nanni
“Destra e sinistra, ebrei e arabi si sono messi insieme, a
discapito di migliaia di beduini, per agitare le acque con l’unico
scopo di ottenere dei benefici politici. Abbiamo fatto del nostro
meglio, ma ora è il tempo di guardare in faccia alla realtà”.
Con queste parole di sconforto lo scorso giovedì 12
dicembre il parlamentare del Likud Benny Begin annunciava la decisione
del governo israeliano di rinunciare al piano Prawer, il progetto di
sviluppo di un’area del deserto del Negev che consiste nell’espulsione
di circa 70mila cittadini di origine beduina dalle proprie terre.
E’ importante sottolineare che Begin, scelto dal primo
ministro Benjamin Netanyahu nel corso della passata legislatura proprio
per apportare modifiche al progetto in modo da innescarne il processo
legislativo, pronunciava il suo discorso dal ministero della Difesa
nell’ambito di una conferenza stampa appositamente convocata. In
quell’occasione affermava anche che Netanyahu aveva già accettato le sue
raccomandazioni sulla cessazione del piano.
La notizia così presentata è stata accolta in un
mix di stupore e favore dagli oppositori del progetto, ribattezzato da
molti come la nuova “Nakba” .
Soltanto due settimane prima la moltitudine di realtà
anti-Prawer – cittadini arabi-israeliani, beduini, palestinesi,
attivisti israeliani e internazionali – avevano concentrato le loro
proteste nella “giornata della rabbia” svoltasi non solo in Israele e
nei Territori Occupati ma anche in diverse capitali europee e
nord-americane.
Terminata, in Israele, in duri scontri con la
polizia e in decine di arresti – 13 di questi sono ancora in corso –,
tuttavia la giornata non sembrava aver provocato alcuna reazione
significativa da parte del governo. Che anzi, qualche giorno dopo,
annunciava addirittura un piano analogo al Prawer da sviluppare in Galilea.
Per questo la soddisfazione mostrata da alcuni dei leader
della campagna contro il piano Prawer, come l’organizzazione per la
tutela dei diritti della minoranza araba in Israele, Adalah, che ha
definito comunque l’annuncio di Begin un “importante successo” è
stata espressa con timido entusiasmo. Soprattutto perché la notizia non
chiariva diversi punti: il piano sarà cancellato definitivamente?
Oppure sarà soltanto modificato nella sua versione corrente? E con quali
tempi?
Innanzitutto, occorre ricordare che l’iter legislativo del
progetto si trova in uno stadio avanzato, avendo già superato lo scorso
giugno la prima lettura nella Knesset (parlamento israeliano), con la
seconda e la terza che si terranno a distanza ravvicinata il prossimo
gennaio.
E soprattutto con una maggioranza di governo che
si è mostrata abbastanza compatta in questi mesi, e ancora di più lo è
stata recentemente nonostante le massicce proteste.
Questa osservazione basterebbe già per far sorgere più di
un dubbio sulla reale efficacia dell’annuncio della settimana scorsa. Se
a questa si aggiunge il fatto che alle parole di Begin non c’è stato
alcun cambiamento sostanziale in seno alla Commissione Affari Interni
della Knesset, dove giace il piano, allora i dubbi sono più che
giustificati. Prendendo in considerazione, inoltre, due recenti
dichiarazioni il quadro che ne risulta sembrerebbe mostrare una
situazione in cui il piano Prawer si presenterà regolarmente in
Parlamento a gennaio.
La prima è attribuita all’ex-generale delle IDF (Israeli
Defence Forces), Doron Almog, che tra l’altro siede a capo dell’unità
responsabile di “trasferire” i beduini del Negev.
Questi, lo scorso 16 dicembre, ha detto ai cronisti di Haaretz
di non aver ricevuto alcuna nuova istruzione riguardo il piano Prawer e
che il lavoro della sua unità continua regolarmente come da agenda.
Almog ha ignorato inoltre l’annuncio di Begin, dichiarando che
quest’ultimo “può affermare quello che vuole ma tanto il progetto non
sarà eliminato”.
All’interno dello stesso articolo, nella sua versione in ebraico, riportata in inglese dal sito di informazione indipendente +972mag ,
ci sono altre parole che in pratica avvalorano quanto detto
dall’ex-generale e smentiscono una volta di più Benny Begin. La
parlamentare del Likud, partito del premier Netanyahu, e presidente
della Commissione Affari Interni Miri Regev ha affermato che “non c’è
stata nessuna richiesta da parte del governo di alterare il piano”.
L’unico vero cambiamento a questo punto sembra consistere,
come conferma la stessa Regev, nel relatore del progetto governativo,
con Begin che sarà quasi sicuramente sostituito dal ministro
dell’Agricoltura Yair Shamir (figlio dell’ex-premier Yitzhak Shamir) e
deputato del partito del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, Ysrael
Beiteinu. Avvicendamento di cui si sarebbe discusso lunedì scorso in
Commissione, riunitasi nonostante la chiusura ufficiale degli uffici
pubblici dovuta ai disagi provocati dalla neve.
Cosa succederà ora? Quali saranno le prossime mosse del
governo? Molto probabilmente, dunque, il governo non cancellerà il
piano, anche se da parte dell’esecutivo non c’è stata ancora alcuna
dichiarazione ufficiale.
L’annuncio della settimana scorsa è forse servito
per guadagnare un po’ di tempo in modo da arrivare a ridosso della
seconda lettura parlamentare con meno clamore mediatico.
E’ altrettanto probabile però che qualche modifica ci
potrebbe essere, seppur non nel senso di un coinvolgimento reale dei
diretti interessati del piano, ovvero i beduini, che significherebbe
un’ammissione di sconfitta dal punto di vista del governo.
E che, alla luce del suo generale atteggiamento risoluto e deciso, difficilmente potrà avere luogo.
20 Dicembre 2013
di:
Stefano Nanni
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