Desmond Tutu: ringraziamo Dio per Madiba

Il presidente sudafricano Nelson Mandela consegna la coppa al capitano degli Springboks Francois Pienaar dopo la vittoria della squadra sudafricana nella finale della Coppa del Mondo del 1995. Foto AFP
Il presidente sudafricano Nelson Mandela consegna la coppa al capitano degli Springboks Francois Pienaar dopo la vittoria della squadra sudafricana nella finale della Coppa del Mondo del 1995. Foto AFP

di Desmond Tutu – 6 dicembre 2013
Non riesco a crederci ma, sì, è vero. Madiba, che ha benedetto così generosamente noi e il mondo, non c’è più.
Sembrava che fosse con noi da sempre. Anche se in realtà se ha fatto il suo ingresso nel mondo da colosso morale solo nel 1994, quando divenne presidente del Sudafrica, la sua statura aveva cominciato a crescere mentre era a Robben Island, quando era diventato il prigioniero politico più famoso del suo tempo e aveva ispirato molti a sostenere la campagna ‘Mandela libero’.
Era già descritto in termini che lo facevano apparire un gigante. C’erano voci che alcuni dell’ANC temevano che si sarebbe scoperto che aveva piedi d’argilla e così lo volevano “eliminato” prima che il mondo fosse deluso. Non avevano motivo di temere. Incredibilmente egli superò le aspettative popolari.
In gioventù egli galvanizzò la Lega Giovanile dell’ANC a mollare i leader nazionali dell’ANC che erano ritenuti troppo moderati, come il dottor AB Xuma. Si sottrasse ripetutamente alla dirigenza della polizia dell’apartheid da nera Primula Rossa, mostrando il dito medio al regime e dando alla sua comunità qualcosa che illuminasse le tenebre della sua esistenza.
Ho incontrato Madiba una volta, di sfuggita, nei primi anni ’50. Studiavo da insegnante presso il Bantu Normal College vicino a Pretoria, che per scherzo chiamavamo il “College bantù normale per i bantù normali” e lui era l’arbitro del nostro dibattito contro la Scuola Jan Hofmeyr di Lavoro Sociale. Era alto, affabile e dalla figura elegante.
Incredibilmente la volta successiva che l’ho incontrato è stata quarant’anni dopo, nel febbraio del 1990, quando lui e Winnie hanno trascorso la prima notte di libertà sotto il nostro tetto nel quartiere Bishopscourt di Città del Capo.
La campagna della resistenza passiva
Eventi epocali sono accaduti in quei quarant’anni: la campagna della resistenza passiva, l’adozione della Carta della Libertà e il massacro di Sharpeville del 21 marzo 1960 impresso a fuoco nella nostra coscienza. Ci ha detto che anche se protestavamo pacificamente saremmo stati distrutti come parassiti e che la vita dei neri era di scarsa importanza.
Il Sudafrica è stato una terra in cui avvisi pubblici annunciavano senza vergogna: “Nativi e cani non ammessi”. Le nostre organizzazioni politiche erano messe al bando; molti dei loro membri erano dichiarati fuorilegge, arrestati o andati in esilio. Tali organizzazioni non avrebbero più operato in modo non violento; non avevano altra scelta che passare alla lotta armata. Fu così che l’ANC creò l’Umkhonto we Sizwe, con Nelson come comandante in capo. Era arrivato alla conclusione che gli oppressi non avrebbero mai ottenuto la loro libertà come una manna dal cielo e che gli oppressori non avrebbero rinunciato volontariamente al loro potere e ai loro privilegi.
A quel punto sarebbe stato un reato sovversivo essere associati a tali organizzazioni bandite, il che introdusse il capitolo successivo del dramma della nostra liberazione: il processo Rivonia.
Insieme al mondo libero tememmo che Mandela e gli altri imputati sarebbero stati condannati a morte, come chiedeva il pubblico ministero Percy Yutar.
All’epoca la mia famiglia ed io vivevamo a Londra, dove io studiavo. Si tennero veglie di preghiera nella Cattedrale di San Paolo e in altre località in un tentativo di prevenire la condanna definitiva.
La difesa di Mandela cercò di convincerlo a moderare la sua famosa dichiarazione dal banco degli imputati, temendo che potesse risultare provocatoria per il  giudice. Me egli insistette nel voler parlare degli ideali che aveva sposato, per i quali si era battuto, per i quali aveva vissuto e per i quali, se necessario, era pronto a morire.
Abbiamo tirato un monumentale respiro di sollievo quando gli imputati furono condannati ai lavori forzati a vita, anche se significava spezzarsi la schiena nella cava di calcare di Robben Island.
Puro inferno
Il periodo a Robben Island è stato a volte romanzato. In realtà fu puro inferno, specialmente per i condannati neri. I detenuti bianchi, meticci e indiani indossavano calzoni lunghi, scarpe e calzini e magliette, mentre i loro omologhi neri portavano calzoncini corti e sandali quale che fosse il tempo e dormivano su materassi sottili sul pavimento di cemento. Avevano anche la dieta peggiore.
Le autorità assolutamente decise a spezzare lo spirito di quegli orribili “terroristi”. C’è una fotografia che mostra Mandela in piedi accanto a Walter Sisulu che, assieme a numerosi condannati neri, svolgevano l’istupidente lavoro di cucire sacchi postali. Il nostro futuro presidente faceva ciò! Molti dei miglioramenti, come letti e possibilità di studiare, furono dovuti alle pressioni di Helen Suzman e della Croce Rossa Internazionale.
Alcuni hanno affermato che i ventisette anni in carcere di Mandela sono stati uno spreco, suggerendo che se fosse stato rilasciato prima avrebbe avuto più tempo per tessere il suo fascino di perdono e riconciliazione. Mi permetto di dissentire.
Egli entrò in carcere da giovane arrabbiato, furioso per l’errore giudiziario sotto la maschera del processo Rivonia. Non era un pacificatore. Dopotutto era stato comandante del MK e intendeva rovesciare l’apartheid usando la forza.
I ventisette anni sono stati assolutamente cruciali nel suo sviluppo spirituale. La sofferenza è stata il crogiolo che ha rimosso considerevoli scorie, dandogli empatia nei confronti dei suoi avversari. Ha contribuito a nobilitarlo, pervadendolo di una magnanimità difficile da conquistare in altri modi. Gli ha dato un’autorità e una credibilità che altrimenti sarebbero state difficili da conseguire. Nessuno poteva contestare le sue credenziali. Aveva provato la sua dedizione e il suo altruismo mediante ciò che aveva attraversato. Aveva l’autorità e l’attrattiva che accompagnano la sofferenza subita per il bene altrui, come il Mahatma Gandhi, Madre Teresa e il Dalai Lama.
Siamo rimasti incantati, domenica 11 febbraio 1990 quando il mondo si è fermato in attesa che uscisse di prigione. Quando uscì con Winnie al suo fianco eravamo uniti nella nostra ammirazione. Che felicità essere vivi per assistere a quel momento! Ci siamo sentiti orgogliosi di essere umani grazie a quest’uomo straordinario. Per un momento abbiamo creduto tutti che fosse possibile essere buoni. Abbiamo pensato che i nemici potessero diventare amici, nel seguire Madiba nel suo percorso di perdono e riconciliazione esemplificato dalla commissione sulla verità e da un inno nazionale poliglotta, undici lingue ufficiali, e da un governo di unità nazionale in cui l’ultimo presidente dell’apartheid poteva essere vicepresidente e un “terrorista” capo del governo.
Era incredibile
Madiba ha vissuto ciò che ha predicato. Non è invitato il suo ex secondino bianco come ospite VIP al suo insediamento alla presidenza? Non ha pranzato con Percy Yutar, il pubblico accusatore al processo Rivonia? Non è volato a Orania, l’ultimo avamposto afrikaner, per prendere il tè con Betsy Verwoerd, la vedova del gran sacerdote dell’ideologia dell’apartheid?
Era incredibile. Chi dimenticherà il suo sostegno al mantenimento dell’emblema dello Springbok [antilope] per il rugby anche se era tanto odiato dai neri? E quel gesto mozzafiato quando è sceso sul prato di Ellis Park indossando una maglia della Springbok per consegnare a Francois Pienaar il trofeo per aver battuto gli All Blacks nella finale della Coppa del Mondo di rugby del 1995, con l’enorme folla di spettatori prevalentemente afrikaner che urlava lo slogan “Nelson, Nelson …” E chi avrebbe potuto credere che saremmo vissuti per vedere il giorno in cui i neri di Soweto avrebbero festeggiato una vittoria della Springbok, come hanno fatto nel 1995?  
Madiba è stato un incredibile dono a noi e al mondo. Credeva ferventemente che una guida esiste per i guidati, non per la grandeur personale. Era uno spendaccione prodigo mentre lavorava instancabilmente per raccogliere fondi per scuole e cliniche delle aree rurali. In carica ha usato parte del suo stipendio per creare il Fondo Nelson Mandela per l’Infanzia e in seguito ha creato la sua fondazione per le opere di beneficienza.
Era famoso in tutto il mondo come indiscussa icona di perdono e riconciliazione e tutti volevano un pezzo di lui. Noi sudafricani ci siamo riscaldati della sua gloria riflessa. Abbiamo esultato nel sentirci bene con noi stessi. Gli dobbiamo anche l’averci aiutato a vincere la gara per ospitare la Coppa del Mondo della Fifa nel 2010.
Ha pagato un prezzo pesante per tutto questo. Dopo ventisette anni di carcere è arrivata la perdita di Winnie. Subito dopo il suo rilascio Lea ed io li abbiamo invitati a un pranzo Xhosa nella nostra casa di Soweto. Come adorava sua moglie! Per tutto il tempo in cui furono con noi lui la seguì ogni istante come un cagnolino affettuoso. Fu estremamente sconvolto dal loro divorzio. Grazie a Dio per Graça Machel, che dono di Dio!
Madiba si prendeva davvero cura delle persone. Un giorno pranzai con lui nella sua casa di Houghton. Quando finimmo di mangiare, mi accompagnò alla porta e chiamò: “Autista!” Gli dissi che ero venuto da solo in auto da Sowet. Non disse nulla, ma alcuni giorni dopo mi telefonò per dirmi: “Mpilo, mi preoccupava che guidassi da solo e ho chiesto ad alcuni miei amici imprenditori. Uno di loro si è offerto di mandarti 5.000 rand al mese [oggi circa 350 euro – n.d.t.] per assumere un autista!”
Spesso sapeva essere divertente. Per rimbeccarmi per la mia critica al suo gusto per le camicie pacchiane diceva: “E’ piuttosto discutibile da un uomo che veste da donna in pubblico.”
Mostrò una notevole umiltà quando lo criticai pubblicamente perché viveva con Graça senza essersi sposato e dando un cattivo esempio. Alcuni capi di stato mi avrebbero incenerito. Poco tempo dopo ricevetti un invito al suo matrimonio.
Il nostro mondo è un luogo migliore per aver avuto un Nelson Mandela e noi in Sudafrica siamo un altrettanto migliori. Quando sarebbe bello se i suoi successori lo emulassero e se valorizzassimo il grande dono della libertà che egli ha conquistato per noi al prezzo di così tanta sofferenza!
Ringraziamo Dio per te, Madiba. Possa tu riposare in pace e crescere nella gloria.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/tutu-we-thank-god-for-madiba-by-desmond-tutu.html
Originale: http://mg.co.za/article/2013-12-06-00-tutu-we-thank-god-for-madiba
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
  

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