Richard Falk : Contro l’attacco alla Siria
di Richard Falk – 30 agosto 2013
I pareri informati concordano sul fatto che la reazione alla presunta responsabilità del regime di Assad per l’uso di armi chimiche il 21 agosto a Ghuta, un quartiere della periferia orientale di Damasco, intende essere punitiva. Questo è un modo per segnalare che è una punizione per l’uso delle armi chimiche che non ha l’ambizione di modificare il corso della lotta interna per il potere in Siria o di cercare di decapitare Bashar al-Assad. Naturalmente, se inaspettatamente conseguisse qualche obiettivo più vasto esso sarebbe probabilmente benvenuto, anche se non necessariamente, a centri di interesse convergenti sulla politica siriana quali Washington, Ankara, Riyadh e Tel Aviv.
Perché non necessariamente? Perché c’è una crescente convinzione nei circoli occidentali influenti, evidenziata da un articolo cinico di Edward Luttwak pubblicato alcuni giorni fa sul New York Times, [“In Siria gli Stati Uniti perdono se vince uno degli schieramenti”, 24 agosto 2013], che è meglio per gli Stati Uniti e per Israele se la guerra civile continua a lungo e non ci sono vincitori. Secondo questo ragionamento contorto, se Assad vince, ciò determinerebbe significativi vantaggi regionali per Iran, Russia e Hezbollah; se vincono l’Esercito Libero Siriano e il suo Fronte Nusra e gli alleati di al-Qaeda, si teme che consegnerebbe a forze estremiste violente una base di operazioni che probabilmente opererebbe con forza contro gli interessi occidentali. Solo la Turchia, l’avversario in prima linea del regime di Assad, e l’Arabia Saudita, il campione del settarismo sunnita, hanno da guadagnare dalla risoluzione del conflitto a favore delle forze di opposizione guidate dai sunniti perché essa contribuirebbe, nell’interpretazione di Ankara e di Riyadh, a una maggior stabilità regionale, a un aumento dell’allineamento settario favorito e a infliggere una grossa battuta d’arresto a Iran e Russia.
La Turchia e l’Arabia Saudita sono divise sul fatto che sia importante che, con la caduta di Assad, sia sconfitto un regime che ha ripetutamente commesso crimini contro l’umanità scatenando una guerra contro il suo stesso popolo. Le loro reazioni contraddittorie al colpo di strato di el-Sisi e ai massacri in Egitto sono illuminanti al riguardo: la Turchia ha aderito ai principi, nonostante un sacrificio dei suoi interessi materiali e politici a breve termine in Medio Oriente, mentre l’Arabia Saudita è corsa a fornire al Cairo grande assistenza economica e una dimostrazione di forte sostegno diplomatico a una presa del potere dell’esercito che sta reprimendo la principale organizzazione politica mussulmana del paese.
Un altro modo di considerare la strategia generale degli Stati Uniti in Medio Oriente dopo che il polverone della Primavera Araba ha cominciato a diradarsi nella regione è suggerito dal famoso attivista pacifista ed ex membro della Knesset israeliano, Uri Avnery [“Povero Obama”, 30 agosto 2013] : il governo degli Stati Uniti è freneticamente al lavoro dietro le quinte per ripristinare la funzione del governo nelle mani di dittatori militari, con l’Egitto come “ragazzo immagine”. Avnery attribuisce queste macchinazioni machiavelliche a ‘menti superiori’ che nuotano in acque torbide e che intrappolano Obama prevalendo sul suo forte sostegno retorico alla democrazia nel mondo arabo, espresso nel suo discorso del Cairo nel 2009.
La logica di un attacco alla Siria guidato dagli Stati Uniti è prevalentemente espressa come segue:
- · è in gioco la credibilità degli Stati Uniti dopo che è stata superata la “linea rossa” con il lancio di un attacco letale su vasta scala con armi chimiche; non are nulla in risposta minerebbe la leadership globale degli Stati Uniti;
- · la credibilità degli Stati Uniti offre contributi indispensabili e insostituibili all’ordine mondiale, è non dovrebbe essere messa a repentaglio da una continua passività in relazione alla condotta criminale del regime di Assad; l’inazione è stata tentata negli ultimi due anni ed è fallita miseramente (non proprio tentata; Hillary Clinton si era dichiarata una precoce sostenitrice della causa dei ribelli e anche a favore della fornitura di armi; articoli recenti indicano che sono condotte ‘operazioni di forze speciali’ guidate dagli Stati Uniti per rafforzare la lotta contro Assad);
- · un attacco punitivo costituirà un deterrente contro futuri usi di armi chimiche da parte della Siria e di altri, insegnando a Assad e ad altri leader che non prestare ascolto agli ammonimenti formulati dal presidente degli Stati Uniti sotto forma di ‘linee rosse’ comporta gravi conseguenze negative;
- · anche se l’attacco non riporterà gli equilibri in Siria a favore delle forze degli insorti, ripristinerà la loro volontà di persistere nella lotta per una vittoria politica finale su Assad e opererà per controbilanciare la loro posizione recentemente indebolita;
- · è possibile che l’attacco rafforzi inaspettatamente le prospettive di un compromesso diplomatico, consentendo di riconvocare la conferenza diplomatica di Ginevra, presieduta da USA e URSS, che è la sede preferita per promuovere la transizione a una Siria post Assad.
- · non tiene conto del fatto che un attacco punitivo del genere evidentemente pianificato da Washington manca di basi nella legge internazionale in quanto non è intrapreso né per autodifesa, né su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, né in modo tale da poter essere giustificato come intervento umanitario (in realtà, incombe lo spettro di un gran numero di civili siriani tra le vittime);
- · presuppone che il governo degli Stati Uniti eserciti legittimamente poteri di polizia sulla scena mondiale e che per decisione unilaterale (o di una ‘coalizione dei volenterosi’) possa dare legittimità a un’altra impresa illegale; può essere che gli Stati Uniti restino la potenza politica forte protagonista dominante nella regione e nel mondo, ma la sua bellicosità, dopo il Vietnam, è incoerente con il bene pubblico globale, causando enormi sofferenze e diffuse devastazioni; la legge internazionale e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono fonti preferibili di polizia generale rispetto all’affidarsi alla discrezionalità e alla guida degli Stati Uniti in questa fase della storia del mondo, anche se ciò si traduce in occasionali paralisi, come dimostrato dal fallimento dell’ONU nel raggiungere un consenso su come por fine alla guerra in Siria;
- · la politica estera statunitense sotto il presidente Barack Obama mostra similarità con quella di George W. Bush per quel che riguarda la legge internazionale, nonostante differenze di retorica e di stile: Obama elude i vincoli della legge internazionale praticando ‘interpretazioni rispettose’, mentre Bush li eludeva come questione di autoaffermazione nazionale e di meta norme di strategia generale; in conseguenza Obama ne esce da ipocrita, mentre Bush da fuorilegge o cowboy; in una forma ideale di legge globale, entrambi sarebbe chiamati a rispondere delle loro violazioni della legge penale internazionale;
- · gli impatti di un attacco punitivo potrebbero generare conseguenze nocive: indebolendo le prospettive diplomatiche; accrescendo le ripercussioni su Libano e Turchia e altrove; complicando le relazioni con Iran e Russia; determinando reazioni di rappresaglia che amplierebbero la zona dei combattimenti; causando un’ascesa mondiale dell’antiamericanismo.
Nessuno di questi elementi del Kosovo sono presenti in relazione alla Siria: è manifestamente illegale e anche illegittimo (l’attacco colpirà siriani innocenti senza conseguire finalità politiche proporzionate che rafforzino il loro benessere; le principali giustificazioni per l’uso della forza riguardano interessi geopolitici quali la ‘credibilità’, la ‘deterrenza’ e la ‘leadership USA’. [Per una contro-tesi intelligente che afferma che un attacco alla Siria oggi sarebbe ‘illegale ma legittimo’, vedere Ian Hurd, “Bomb Syria, even if it is Illegal” [Bombardiamo la Siria, anche se è illegale], New York Times, 27 agosto 2013; anche “Saving Syria, International Law is not the Answer” [Per salvare la Siria la risposta non è la legge internazionale], Aljazeera, 27 agosto 2013].
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/contra-syria-attack-by-richard-falk.html
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
Siria: perchè agire ora e non nel 2011? O nel 2012?
Siria: perchè agire ora e non nel 2011? O nel 2012?di Robert Fisk – 30 agosto 2013
Prima che inizi la più stupida guerra occidentale della storia moderna – mi riferisco, naturalmente, all’attacco contro la Siria che tutti ora dovremo digerire – andrebbe detto che i missili Cruiser che ci aspettiamo fiduciosamente spazzino via una delle città più antiche del mondo, non hanno assolutamente nulla a che vedere con la Siria.
Sono mirati a colpire l’Iran. Sono mirati ad attaccare la Repubblica Islamica ora che ha un nuovo e vivace presidente – al contrario dello svitato Mahmoud Ahmadinejad – e proprio quando potrebbe essere un po’ più stabile. L’Iran è il nemico di Israele. L’Iran è pertanto, naturalmente, il nemico degli Stati Uniti. Dunque, non c’è nulla di gradevole nel regime di Damasco. Né questi commenti scagionano il regime per quanto riguardo le gassazioni di massa. Ma sono vecchio abbastanza da ricordare che quando l’Iraq – alleato degli Stati Uniti – usò il gas contro il curdi nel 1988, non assaltammo Baghdad. In effetti quell’attacco dovette attendere sino al 2003, quando Saddam non aveva più né gas né alcuna delle altre armi che costituivano il nostro incubo. E mi capita anche di ricordare che la CIA affermò, intorno al 1988, che l’Iran era responsabile del gas usati ad Hallabjah, una palese menzogna che concentrava l’attenzione sul nemico degli Stati Uniti che Saddam stava allora combattendo per conto nostro. E migliaia – non centinaia – morirono ad Hallabjah. Ma eccoci qua! Giorni diversi, metri diversi.
E suppongo valga la pena di segnalare che quando Israele uccise sino a 17.000 uomini, donne e bambini in Libano nel 1982 in un’invasione apparentemente provocato da un tentato omicidio dell’ambasciatore israeliano a Londra da parte dell’OLP – fu il socio di Saddam, Abu Nidal, ad organizzare l’omicidio, non l’OLP, ma questo non conta oggi – gli Stati Uniti si limitarono a sollecitare entrambi gli schieramenti a usare “moderazione”. E quando, pochi mesi dopo quell’invasione, Hafez al-Assad – padre di Bashar – mandò suo fratello a Hama a spazzar via migliaia di ribelli della Fratellanza Mussulmana, nessuno biascicò una parola di condanna. “E’ la legge di Hama”, è il modo cinico in cui il mio vecchio collega Tom Friedman ha caratterizzato questo bagno di sangue. Tuttavia in questi giorni c’è in giro una Fratellanza diversa, e Obama non è stato capace di spingersi neppure a dire “bù” quando il suo presidente eletto è stato deposto.
Dunque, in nome del cielo, che cosa stiamo facendo? Dopo innumerevoli morti nell’orribile tragedia della Siria, adesso, dopo mesi e anni di prevaricazioni, ci lasciamo sconvolgere da poche centinaia di morti. Il trauma di questa guerra avrebbe dovuto spingerci ad agire nel 2011. E nel 2012. Ma adesso? Perché? Beh, sospetto di conoscerne il motivo. Penso che il feroce esercito di Bashar al-Assad potrebbe semplicemente vincere contro i ribelli che noi armiamo in segreto. Con l’aiuto dell’Hezbollah libanese – l’alleato dell’Iran in Libano – il regime di Damasco ha battuto i ribelli a Qusayr e potrebbe star per batterli a nord di Homs. L’Iran è sempre più impegnato a proteggere il governo siriano. Così una vittoria di Bashar è una vittoria dell’Iran. E le vittorie dell’Iran non possono essere tollerate dall’occidente.
E, visto che parliamo di guerra, che fine hanno fatto quegli splendidi negoziati israelo-palestinesi che John Kerry vantava tanto? Mentre esprimiamo la nostra angoscia per gli esecrabili attacchi con il gas in Siria, la terra palestinese continua a essere divorata. La politica israeliana del Likud – negoziare la pace fino a quando non resti nulla del territorio palestinese – prosegue di buon passo, ed è questo il motivo per cui si accresce l’incubo del re Abdullah di Giordania (un incubo molto più potente di quello delle “armi di distruzione di massa” che ci siamo sognate nel 2003): l’incubo che la Palestina sarà in Giordania, e non in Palestina.
Ma se dobbiamo credere alle stupidaggini che escono da Washington, Londra, Parigi e dal resto del mondo “civilizzato”, è solo questione di tempo prima che la nostra spada rapida e vendicatrice si abbatta sui damasceni. Vedere la dirigenza del resto del mondo arabo applaudire questa distruzione è forse l’esperienza storica più dolorosa che la regione deve sopportare. E la più vergognosa. Eccetto il fatto che attaccheremo mussulmani sciiti e loro alleati in mezzo agli applausi dei mussulmani sunniti. E’ di questo che è fatta la guerra civile.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/we-should-have-been-traumatised-into-action-by-this-war-in-2011-and-2012-but-now-by-robert-fisk.html
Fonte: The Independent
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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