Israele mi ha costretto a demolire la mia stessa casa, afferma un padre a Gerusalemme.
The Electronic Intifada27.08.2013
http://electronicintifada.net/content/israel-forced-me-destroy-my-own-house-says-jerusalem-father/12725
Israele mi ha costretto a demolire la mia stessa casa, dice un padre a Gerusalemme.
Ziad
Ameira ha messo un grosso pacco di fogli su un tavolo di plastica.
Queste notifiche e minacce ufficiali hanno costretto il 49 enne
proprietario di un negozio di alimentari e casalinghi a distruggere, il
18 agosto, la propria casa nella zona di Sur Baher, a Gerusalemme est.
di Patrick O. Strickland
“La mia famiglia ed io siamo vissuti in questa casa per 13 anni”, ha detto. “Non ho idea ove andarmene da qui.”Ameira aveva ereditato da suo padre la terra sulla quale è stata costruita la casa. Nel 2000, solo venti giorni dopo che Ameida si era trasferito con la famiglia nella casa, la municipalità di Gerusalemme a governo israeliano ha trasmesso un ordine di demolizione. Nel maggio di quest’anno, “mi hanno offerto la scelta: o demolisco io casa mia o lo fanno loro per me,” ha riferito a The Electronic Intifada. “Mi hanno dato due mesi e mezzo.”
La famiglia, costituita da otto persone, ora vive in due stanzette in casa del fratello. Nonostante le circostanze estreme non potranno rimanerci più a lungo di pochi mesi in quanto il nipote è in procinto di sposarsi e ha bisogno dello spazio. “Io ho tre ragazzi e due figlie, mia moglie e mia madre, “ ha dichiarato Ameira. “Mia madre ha 85 anni e non è in grado di camminare.”
Solo dopo quindici anni da che aveva iniziato a costruire con le proprie mani la casa per la propria famiglia, gli è stata offerta la scelta crudele di pagare Israele per raderla al suolo o di abbattere da sé le sue mura. Ha scelto la seconda opzione.
Quando le forze israeliane distruggono le abitazioni dei palestinesi – nella West Bank, compresa Gerusalemme Est, o all’interno dell’attuale Israele – ai residenti viene detto che devono pagare le spese della demolizione.
La prima intimazione del tribunale che Ameira ha ricevuto nel 2000 lo informava che doveva alla municipalità 35.000 shekel (circa 10.000 dollari). “A quel tempo ho pagato solo circa 500 shekel (104 dollari) al mese, “ ha affermato.
“Ma loro continuavano a multarmi. Dopo altri due anni e mezzo, mi hanno detto che dovevo pagare altri 27.000 shekel (5.600 dollari). Per un permesso edilizio volevano circa 250.000 shekel (52.000 dollari).
Dato che il negozio di alimentari e casalinghi fornisce un magro introito, Ameira ha sostenuto di non aver avuto una reale alternativa. Per pagare l’avvocato, aveva dovuto prendere in prestito il denaro.
“Non ero in grado di pagare loro più di tanto. I figli erano piccoli e, al momento, non avevo nessuno che mi aiutasse. Anche oggi, il negozio percepisce un utile solo per pagare da mangiare alla mia famiglia.
“Quando ci siamo trasferiti a casa nostra, dato che mancava il permesso, abbiamo dovuto comprare l’acqua e l’elettricità dai vicini.”
“Bella col tempo”
Ha aggiunto che per i primi quattro anni la famiglia non è stata in grado di permettersi di piastrellare la casa, cosi hanno dovuto camminare sul piancito sporco.
“Era una casa a buon mercato, ma l’abbiamo abbellita con il tempo. Abbiamo aggiunto un patio e un bellissimo giardino, e abbiamo fatto tutto con le nostre mani.”
Amici di Ameira e familiari erano usi fare visita regolarmente, standosene spesso seduti in giardino e chiacchierare durante il thè fino alle prime ore del mattino.
Ogni volta che arrivava per posta un ordine del tribunale, questo informava Ameira che le autorità israeliane si “riservavano il diritto” di distruggere la casa da un momento all’altro. Nonostante il suo avvocato per diversi anni lo avesse procrastinato, nel maggio 2013 è arrivato un ordine di demolizione.
Ameira ha trascorso mesi preparando i figli alla decisione, e poco dopo la conclusione del Ramadan , ha iniziato il processo di demolizione della casa.
Anche se ha evitato di dover pagare la tassa municipale di demolizione di 20.000 shekel, ha dovuto pagare ancora per la demolizione.Dopo aver affittato un bulldozer e preso a nolo un camion per trasportare via i resti della casa, il costo totale ha superato i 7.000 dollari.
Nuova forma di punizione
Anche se la politica di Israele della demolizione delle case viene di solito portata a termine da soldati o da funzionari di polizia che arrivano con i bulldozer nel cuore della notte, Ameira ha sostenuto che questa è una delle nuove forme di punizione israeliane nei confronti dei palestinesi.
“La legge di solito comportava che dovevano essere le autorità israeliane a demolire le case, ma negli ultimi anni è cambiata…in tal modo Israele non avrebbe avuto difficoltà con i mezzi di informazione,” ha dichiarato.
L’”auto-demolizione” è divenuta una prassi frequente nella West Bank.
Secondo il Comitato Israeliano Contro la Demolizione delle Case, quest’anno sono state finora demolite 380 strutture palestinesi, causando il trasferimento di 630 persone.
Dei circa 270.000 palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana a Gerusalemme Est, uno studio del Palestinian Counseling Center ha scoperto che più di 93.000 sono vissuti “a rischio di essere spostati a seguito della demolizione delle loro case” (“With our own hands”, gennaio 2012 pdf).
Il rapporto aggiunge che “il numero dei casi in cui i palestinesi hanno demolito le proprie case per evitare multe o l’azione penale viene ritenuto essere leggermente al di sotto del numero delle case demolite dalle autorità israeliane.”
Una serie di interviste fatte con famiglie costrette a demolire le proprie abitazioni hanno messo in luce che “una vota che era stato emesso un ordine di demolizione….tutte le famiglie, senza eccezione, hanno considerato la distruzione definitiva delle case come ineluttabile, senza altra possibile soluzione.”
La politica israeliana mira ad aumentare il numero dei coloni a Gerusalemme Est – già circa 200.000 – per far mettere ulteriormente radici alle istituzioni dell’occupazione. Parte integrante di questo progetto consiste nell’esercitare pressione sui palestinesi residenti indigeni della città perché se ne vadano, con l’imposizione di un complesso regime di permessi, la demolizione delle abitazioni e l’applicazione di un sistema giuridico discriminatorio nei confronti dei palestinesi.
“La più grande forma di razzismo”
“Noi tutti siamo nati a Gerusalemme, tutta la mia famiglia è originaria di Gerusalemme,” ha affermato Ameira.
“Non sono mai stato interessato alla politica, ma è chiaro che Israele vuole cacciare tutti noi fuori di Gerusalemme,” ha detto Ameira. “Loro ci dicono, proprio così, dimentica Gerusalemme, dimentica Al-Aqsa [moschea], scorda ogni cosa qui.”
I residenti di Sur Baher lottano per conservare le strutture di base in quanto vi sono ingabbiati da una strada che collega Gerusalemme con le colonie israeliane nella West Bank. Fin dagli anni ’70 hanno perso terreni a favore di due di queste colonie: Har Homa e East Talpiot
Il figlio 21 enne di Ameira, Mustafa, che si era sposato di recente e che al momento della demolizione si era trasferito, ha fatto eco ai sentimenti di suo padre: “Vogliono semplicemente buttarci fuori dalla nostra patria. Dove si trovano nel mondo persone che sono costrette a demolire le proprie case?”
Rivolgendosi a suo padre, Mustafa ha aggiunto: “E’ la più grande forma di razzismo al mondo. Non ho mai sentito di un israeliano cha abbia demolito la propria casa.”
L’anziano Ameira ha espresso il suo pessimismo riguardo alle trattative di “pace” in corso tra Israele e l’Autorità Palestinese. Sebbene Sur Baher rientri nella parte di Gerusalemme che potrebbe andare a uno stato palestinese nel caso improbabile di una soluzione contrattata a due stati sulla base dei confini precedenti alla guerra del 1967, egli paventa un futuro di maggiori demolizioni e di furto di terre
“Se Israele fosse in procinto di darci i confini del ’67, allora perché distruggerci le case?, “ ha chiesto. “Hanno cambiato tanto la gente e la geografia di Gerusalemme da renderlo impossibile.Vogliono la nostra terra senza le persone.”
Benché Ziad Ameira abbia accusato l’Autorità Palestinese di infrangere le sue promesse di sostenere le famiglie di Gerusalemme in lotta per rimanere nelle loro case e sulle loro terre, si è impegnato a restare in città “fino alla fine”, aggiungendo: “Potrei andare a prendere una tenda e montarla sulla mia terra o sul lato della strada, ma probabilmente il comune avrebbe distrutto anche quella.
“Chiedo alla gente del mondo, che ne ha la possibilità, di aiutarci – non solo me, ma tutta Gerusalemme. Noi vogliamo restare sulla nostra terra, ma non possiamo farlo per sempre. E’ una tragedia troppo grande.
“Abbiamo paura del futuro. Il nostro futuro è nero e non sappiamo cosa ci sarà alla fine. Non c’è luce alla fine del tunnel.”
Patrick O. Strickland è in reporter investigativo per Mint Press News
(tradotto da mariano mingarelli)
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