Un momento storico in Medio Oriente di Norman Finkelstein e Jamie Stern Weiner



Un momento storico in Medio Oriente

di Norman Finkelstein e Jamie Stern Weiner – 29 luglio 2013

Dopo mesi di intensa diplomazia della spola, il Segretario di Stato degli USA, John Kerry, ha annunciato una nuova tornata di negoziati israelo-palestinesi.  Per comprendere meglio le prospettive e le implicazioni di un resuscitato processo di pace in Medio Oriente ho parlato con l’attivista e studioso statunitense Norman Finkelstein.  Finkelstein scrive e tiene conferenze da decenni sul conflitto israelo-palestinese ed è autore, tra altri libri di ‘Beyond Chuzpah: On the Misuse of Antisemitism and the Abuse of History’  [Oltre l’impudenza: sul cattivo uso dell’antisemitismo e l’offesa alla storia] e di ‘Knowing Too Much: Why the American Jewish Romance with Israel is Coming to an End’ [Sapere troppo: perché la storia d’amore statunitense-ebraica sta arrivando alla fine]. Attualmente sta lavorando a un libro con Mouin Rabbani, intitolato ‘How to Resolve the Israel-Palestine Conflict’ [Come risolvere il conflitto israelo-palestinese].

Jeremy Ben-Ami, capo di J Street, la principale lobby liberale sionista degli Stati Uniti, accoglie i rinnovati colloqui di pace come una potenziale “opportunità storica” di raggiungere una soluzione a due stati. Tu sei un osservatore attento del processo di pace da più di due decenni. Il rinnovo dei colloqui può produrre un momento “storico” o dovrebbe aspettarci una ripetizione del passato?

Quando persone come Jeremy Ben-Ami parlano della “soluzione a due stati”, parlano di due stati divisi dal confine ante giugno 1967 più, sono sempre attenti ad aggiungere, scambi di terre. Per “scambi di terre” intendono l’annessione israeliana dei principali blocchi di insediamenti, dando in cambio ai palestinesi un qualche territorio. In realtà lo sviluppo del confine da loro proposto è molto chiaro. E’ il percorso del Muro.  Gli israeliani parlano piuttosto apertamente del Muro come del “futuro confine”, per citare l’attuale ministro della giustizia Tzipi Livni.

Quel genere di soluzione a due stati preclude ogni possibilità di uno stato palestinese. La conservazione, da parte di Israele, dei blocchi di insediamenti di Ariel, Karnei Shomron e Ma’ale Adumim dividerebbe la West Bank in tre parti, si approprierebbe di parte delle sue terre e risorse più preziose e taglierebbe fuori Gerusalemme Est. Quando si parla dei termini di una soluzione definitiva, spesso ci si concentra su percentuali – quale percentuale della West Bank resterebbe a Israele e via dicendo – il che fa ignorare il punto affermato dalla delegazione palestinese ai colloqui di Annapolis: non si tratta soltanto di percentuali. Gerusalemme Est comprende appena l’1% della West Bank, ma uno stato palestinese in sua assenza sarebbe impensabile. La Grande Gerusalemme Est – il triangolo che va da Gerusalemme Est a Ramallah e a Betlemme – rappresenta il 40% dell’economia palestinese.

Comunque io concordo con Ben-Ami sul fatto che ci stiamo avvicinando a un momento potenzialmente storico. Perché? Perché i palestinesi sono oggi più deboli di quanto siano mai stati. Ciò è dovuto a quattro fattori principali:

·         Regionalmente il mondo arabo è completamente a pezzi e pronto a fare qualsiasi cosa gli Stati Uniti pretendano. Kerry dice alla Lega Araba “fate una riunione e appoggiate le mie linee guida”, e dunque essa si riunisce e appoggia le sue linee guida. Kerry dice “cambiate l’Iniziativa di Pace Araba in modo che includa un riferimento agli scambi di terre” ed essa modifica l’Iniziativa di Pace. Non opporrà alcuna resistenza.
·         Hamas, che è stato il principale ostacolo a che l’Autorità Palestinese (PA) imponesse la propria volontà, è stato ridotto a zero. Hamas ha tagliato tutti i suoi legami con la Siria e l’Iran, scegliendo di investire tutto sul regime della Fratellanza Mussulmana in Egitto. Con la scomparsa di quest’ultimo, Hamas è nella condizione più disperata dopo la sua fondazione negli anni ’80.
·         Il popolo palestinese non mai stato più abbattuto e disperato. Nonostante tutte le chiacchiere su Facebook, Twitter e sui blog delle ONG di Ramallah a proposito di una terza intifada, non c’è alcun segno di essa. Ciò potrebbe cambiare, ma oggi i palestinesi sono in uno stato d’animo disfattista.
·         L’Autorità Palestinese è più corrotta di quanto sia mai stata, perché ha toccato il fondo parecchio tempo fa, ma è più dipendente che mai dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno cordoni della borsa che arricchirà uno strato sottile dei noveau riche di Oslo.
Quando si sommano tutti questi fattori è possibile che gli Stati Uniti impongano una sconfitta storica ai palestinesi, costringendoli a una soluzione a condizioni che precludono uno stato palestinese vitale.

Una riserva è che, come segnala il mio coautore Mouin Rabbani, il presidente palestinese Mahmoud Abbas può non avere l’autorità di far ingoiare una soluzione di questo tipo. Non troverà sostegno per firmare la conclusione e non può compiere l’ultimo passo da solo. Mouin pensa che possa invece raggiungere una soluzione provvisoria, che sarebbe una grande notizia per Israele che vuole trascinare il processo sino a quando i fatti sul terreno non saranno irreversibili.

E questa soluzione sarebbe la “soluzione a due stati” delle colombe sioniste che hai appena descritto, con Israele che in sostanza fa del percorso del Muro il proprio confine?

Guarda, se ci fosse un Oscar per Il migliore spettacolo di un paese Israele vincerebbe a mani basse. E’ il posto più teatrale della terra. Prendiamo un caso semplice. Sai di una qualsiasi fazione della politica israeliana che abbia dissentito dal percorso del Muro perché non include gli insediamenti al suo esterno? No; tutti riconoscono che il Muro è il confine, perché non si può costruire un muro di quelle dimensioni e di tale costo e poi reclamare terra all’esterno di esso. Vero, se riuscissero a prendersela, vorrebbero la Valle del Giordano, ma quello è soltanto un bonus. Il loro risultato è il Muro, che incorporerà circa il 9,5% della West Bank e la mappa ufficiosa presentata dall’allora prima ministro Ehud Olmert ad Abbas nel 2008 prevedeva l’8,7%. Una frazione dell’un per cento: è questo l’abisso che separa i poli dell’opinione dell’élite israeliana. Per inciso, il percorso del Muro risolve abilmente il “problema demografico” di Israele. Incorpora soltanto altri 25.000 palestinesi della West Bank sul lato “israeliano”, la maggior parte dei quali Israele probabilmente caccerà amministrativamente col tempo.

Il resto è soltanto teatro, per consentire a Israele di aver fatto concessioni dolorosissime. E sta funzionando. Ho parlato recentemente con una mia buona amica, una professoressa palestinese, e ho detto che Israele vuole tenersi il circa 9% della West Bank annesso tramite il Muro. La sua reazione è stata rivelatrice. Ha detto: “Davvero? E’ tutto quello che vogliono?” E’ esattamente così che la cosa sarà presentata. Ci diranno: “Israele ha rinunciato al 91% e tutto quello che vuole è il 9%”.

Nathan Thrall, sulla New York Review of Books, sostiene che in ogni tornata successiva di negoziati Israele ha offerto sempre di più in termini di territorio, culminando con la proposta Olmert del 2008, che offriva “di gran lunga più” terra che mai prima. Questa tendenza non offre motivi di speranza nei nuovi colloqui?

Il vero obiettivo di Israele, rispetto a quello teatrale, è stato assolutamente coerente. Non ci sono stati cambiamenti tra i colloqui di Taba del 2001 e i cosiddetti negoziati di Annapolis del 2008. Israele ha costantemente cercato di annettere circa il 9% della West Bank, incorporando i maggiori blocchi di insediamenti.

Thrall si riferisce casualmente alla trascrizioni fatte trapelare dei negoziati israelo-palestinesi, che sono divenute note come i Quaderni Palestinesi. Si tratta di una documentazione voluminosa ed estremamente illuminante. Il problema è che la gente è pigra. Non li ha letti. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha un gruppo che offre consulenza legale ai negoziatori palestinesi, l’Unità di Supporto ai Negoziati (NSU). La NSU, che si sia d’accordo o non con le sue politiche (sfortunatamente Saeb Erekat ha licenziato tutti quelli che avevano un’oncia di materia grigia, come Michael Tarazi e Diana Buttu, quando hanno minacciato di metterlo in ombra) era tecnicamente competente e ben informata. Ha composto matrici ogni pochi mesi, delineando in minuti dettagli dove si trovavano le rispettive parti quanto alle condizioni di una soluzione.

Leggendo questa documentazione possiamo vedere in che cosa sia consistita la generosa offerta di Olmert. La migliore offerta ufficiale avanzata da Olmert nel corso dei negoziati di Annapolis, proponeva un’annessione israeliana del 9,2% della West Bank. Successivamente, nel 2008, Olmert ha mostrato una mappa ad Abbas, ma non gli ha consentito di portarne una copia fuori dalla stanza. Abbas l’ha memorizzata in qualsiasi cosa abbia nel cranio e ne ha trasmesso i dettagli alla NSU, che ha composto una mappa. La mappa presentava un’annessione proposta dagli israeliani del 6,8% della West Bank. Israele esclude molte briciole di territorio palestinese occupato quando calcola queste cifre, così la NSU ha tradotto la percentuale del 6,8% in quella reale: un’annessione israeliana dell’8,7% della West Bank. Olmert afferma di aver offerto un 6,3% anziché un 6,8%, ed è effettivamente possibile che Abbas abbia ricordale, ma fa poca differenza. Il punto importante – che Thrall non cita – è che fondamentalmente Israele presenta sempre la stessa mappa. Tutti sono d’accordo sul fatto che in base alla proposta di Olmert, Israele conserverebbe i maggiori blocchi di insediamenti. Ma una volta che ci si accorda su ciò, è finita. Il problema sono i blocchi di insediamenti. Tutto il resto è teatro, perché Israele ha già dichiarato il suo confine definitivo: il Muro.

E’ impressionante che nessuno si sia dedicato a leggere la documentazione reale. Thrall elogia il recente libro di Elliott Abrams sulla diplomazia mediorientale dell’amministrazione Bush come “un resoconto dettagliato, franco e perspicace”. Abrams è un mentitore pregiudicato! Un politico deve spingersi molto in là per essere condannato per falso negli Stati Uniti. Il “franco” resoconto di Abrams, che io ho letto, non cita mai i Quaderni Palestinesi. Nemmeno una parola. Tuttavia nei Quaderni Palestinesi noi abbiamo una riproduzione scritta di ciò che è avvenuto. Prendiamo un altro esempio. Nel corso del ridispiegamento israeliano da Gaza nel 2005, sotto l’allora primo ministro Ariel Sharon, il consigliere più vicino a Sharon, Dov Weisglass, ha concesso una famosa intervista a Ha’aretz.  Era un’intervista molto lunga, ma i commentatori esperti ne citano un particolare passaggio, in cui Weisglass dice che lo scopo del ridispiegamento era di mettere in “formaldeide” il processo di pace. In altre parole, Israele poteva affermare: “Abbiamo fatto questo grande gesto a Gaza, perciò lasciateci in pace mentre edifichiamo gli insediamenti nella West Bank”. Quello era lo scopo. Il libro di Abrams, che è un resoconto di quegli anni (era un dirigente chiave dell’amministrazione Bush), cita ogni parte dell’intervista a Ha’aretz, salvo questo brano cruciale. Questo è il suo resoconto “franco”. Quel che è peggio, lo stesso Thrall cita, in due occasioni, le spiegazioni propagandistiche di Abrams del perché Sharon ha ordinato il ridispiegamento da Gaza, e tralascia l’ammissione di Weisglass. E’ difficile crederlo, ma Thrall trasforma Abrams, un fanatico di estrema destra, in un filopalestinese!

La situazione che descrivi, in cui gli Stati Uniti e Israele cercano di capitalizzare la debolezza palestinese e di imporre una soluzione, ricorda il vertice di Camp David del 2000. Ma a quei colloqui, di fronte all’ostacolo finale, quando gli era stata presentata l’offerta israeliana, l’allora presidente palestinese Yasser Arafat aveva detto no. Ora Arafat non era certo immune da corruzione. Perciò che condizioni nuove esistono oggi che possano indurre Abbas a spingersi oltre Arafat e a mettere la sua firma in calce a un accordo statunitense-israeliano?

Non dirò nemmeno una parola in lode di Arafat. Ho ricordi troppo vividi dello spettacolo dell’orrore di quando lui era in carica. Ma ha mantenuto sino alla morte un residuo di convinzione nazionalista e di dedizione alla causa della Palestina. Era in essenza un narcisista, perché riteneva di incarnare la Palestina, e tuttavia era autentico. Quelli che gli sono succeduti sono solo una banda di truffatori non molto intelligenti. La pallacanestro di Magic Johnson impiega un quoziente d’intelligenza più elevato di quelli di Mahmoud Abbas e Saeb Ereket messi insieme. E la corruzione e il cinismo della dirigenza attuale non sono diluiti dal sentimento nazionalista conservato da Arafat.

In secondo luogo, i palestinesi oggi sono molto più deboli. Karma Nabulsi ha scritto, e io sono d’accordo, che il movimento palestinese è a un “nadir”, il punto più basso della sua storia. Ricorda che Arafat doveva vedersela con Hamas nel 2000; oggi Hamas è un fattore nullo.

E’ una mossa astuta da parte degli Stati Uniti e di Israele sfruttare questa opportunità di imporre una soluzione. Ed è questa la reale traduzione di ciò che sta dicendo Ben-Ami: i palestinesi e il mondo arabo sono nel momento di massima debolezza, e dobbiamo imporre loro la nostra volontà, il momento è adesso.

Il rinnovo dei negoziati è anche una reazione all’accresciuta pressione internazionale su Israele riguardo all’occupazione, ad esempio le recenti linee guida pubblicate dalla UE che limiteranno i coinvolgimenti economici europei negli insediamenti? L’obiettivo principale di USA e Israele con questi colloqui consiste nell’imporre una soluzione nel modo che hai appena descritto o per dirottare la pressione internazionale e ridurre così i costi del mantenimento dello status quo?

Ho già elencato i relativi sviluppi negativi, ma, come dici tu, ci sono stati anche sviluppi positivi, o almeno non regressioni. Quando la UE ha pubblicato le sue linee guida ho temuto che le avrebbe applicate con chiarezza alla West Bank ma che sarebbe stato molto più circospetta sulla questione di Gerusalemme Est (che Israele ha annesso de facto nel 1967).  Al riguardo le linee guida sono molto chiare; la UE “non riconosce la sovranità israeliana” su “le Alture del Golan, la Striscia di Gaza e la West Bank, compresa Gerusalemme Est”, che costituiscono tutte territori “occupati”. Nonostante siano trascorsi 45 anni e si sia determinata un’enorme quantità di fatti sul terreno, Israele non ha fatto nemmeno un passo avanti nel cercare di ottenere la legittimazione dei suoi nuovi confini. E’ esattamente al punto in cui si trovava 45 anni fa.

Penso tu abbia ragione sul fatto che l’obiettivo di Israele in questi negoziati consista nel mitigare la minaccia posta dalle nuove linee guida e, cosa più importante, dallo spirito che sta loro dietro. I dirigenti israeliani lo hanno detto apertamente: le linee guida della UE sono una conseguenza del fatto che Netanyahu non fa finta di negoziare, perciò torniamo ai negoziati.

E’ così penosamente prevedibile che un bambino di cinque anni che osservi la situazione potrebbe predire con esattezza cosa succederà. Arriveremo a gennaio, quando è prevista l’entrata in vigore delle linee guida della UE, e gli Stati Uniti e Israele diranno “stiamo rinegoziando, perciò non è questo il momento di attuare le linee guida; tenetele in sospeso fino a quando vedremo a cosa porteranno questi colloqui”. Poi trascineranno i negoziati per un paio d’anni. La mia ipotesi è che Obama farà esattamente quello che ha fatto Bill Clinton. Quella di Obama è una presidenza fallita, e Obama lo sa. Nel suo ultimo anno Clinton ha cercato di redimersi dallo scandalo Lewinsky e perciò, all’ultimo minuto, ha spinto per un accordo a Camp David. In modo analogo, all’ultimo minuto Obama eserciterà una pressione reale per cercare di redimere otto anni di disastri. Perciò nei prossimi due anni, al minimo, non deriverà nulla dalle linee guida della UE.

Nello schieramento palestinese, nelle settimane recenti i grandi problemi entrati nei nuovi”negoziati” sono stati se i confini ante giugno 1967 saranno o no il punto di riferimento e se Israele rilascerà o non una certa categoria di prigionieri politici. Che cosa ne è stato, dunque, della rivendicazione originale di Abbas di un congelamento degli insediamenti? Oggi si dice che Israele ridurrà ufficiosamente l’edificazione di insediamenti dovunque, salvo che nei principali blocchi di insediamenti, dove costruirà 1.000 nuove unità. Ha’aretz riferisce: “Non c’è stato quasi mai un anno in cui siano state costruite più di mille unità abitative negli insediamenti sotto gli auspici del governo”. E’ esattamente questo il punto, vero? Israele si preoccupa davvero soltanto di conservare tali blocchi di insediamenti e perciò si è assicurato l’acquiescenza palestinese al riguardo. Per inciso, Ha’aretz riferisce anche che persino i membri più “falchi” del Likud hanno accettato questo “congelamento” degli insediamenti, perché naturalmente vogliono soltanto i blocchi di insediamenti e non importa loro molto di un congelamento altrove.

I negoziatori dell’Autorità Palestinese insistono che i confini del ’67 costituiscano il termine di riferimento, il che è in un certo modo buffo, perché, come ricorda nelle sue memorie Condoleeza Rice, quello era già il riferimento de facto nei colloqui del 2008 ad Annapolis, che non hanno portato da nessuna parte. Il problema non è mai stato se quelli sono i termini di riferimento; il problema è stato la frase critica “scambi di terre mutuamente concordati”, il che conferisce a Israele un diritto di veto sul confine finale. Una volta che dici “scambi di terre mutuamente concordati” è finita. Israele concorderà mai sulla rinuncia a Ma’ale Adumim?

Hai detto che l’Autorità Palestinese è così dipendente dal sostegno statunitense che fondamentalmente esegue gli ordini. Ma allora come è stata in grado di opporsi  così a lungo alla pressione statunitense-israeliana per la ripresa dei colloqui? Cosa è cambiato nelle poche settimane recenti?

Sono lungi dall’essere un esperto di politica palestinese. Ma parlo con analisti che capiscono la situazione, come Rabbani. Lui aveva sempre detto che Abbas sarebbe tornato ai negoziati. Era totalmente prevedibile. A un certo livello non aveva altra scelta: Obama lo chiama e gli dice che è in gioco il pacchetto di aiuti; cosa potrà rispondere a questo? Così abbiamo assistito a parecchio teatro anche sul versante palestinese, inteso a ricavare il massimo possibile, che in questo caso è sembrato essere una ruota panoramica e delle montagne russe per il parco a tema delle ONG a Ramallah.

E’ questo il contenuto del pacchetto economico di pace di Tony Blair?

Queste sono mazzette economiche in cambio del mantenimento della “sicurezza”, mentre Israele prosegue con la seria faccenda dell’annessione. Quelli, tra parentesi, sono stati i due cappelli indossati dall’ex primo ministro dell’Autorità Palestinese, Salam Fayyad: era responsabile dello sviluppo economico ed era a capo della sicurezza. Se i leader palestinesi vogliono la munificenza, devono operare un giro di vite duro. Fayyad era responsabile della repressione di Hamas; quello era il quid pro quo.

Abbas risulterebbe aver promesso di sottoporre a un referendum popolare qualsiasi accordo risultante dai colloqui. Forse la minaccia dell’incombente capitolazione provocherà la resistenza palestinese. 

Chiunque preveda queste cose con un qualche grado di certezza è un ciarlatano. Il boicottaggio degli autobus a Montgomery fu del tutto spontaneo, così come lo furono i sit-in originali degli studenti a Greensboro. Quando Rosa Parks si rifiutò di cedere il suo posto a sedere, il piano della NAACP era di seguire le vie legali per ottenere una sentenza favorevole da un tribunale. Quello che successe – un boicottaggio popolare di masse – fu spontaneo. Immagina questi lavoratori, che per un anno improvvisano condivisioni di auto per andare al lavoro. Un anno, alzandosi alle ore piccole del mattino. Chi avrebbe pensato che avrebbero trovato le risorse morali interiori per fare un tale sacrificio?

Dunque queste cose non si possono mai prevedere. Ma dovremmo anche stare attenti a non fare previsioni nell’altra direzione. Quando parlavo dei cambiamenti in Medio Oriente negli ultimi due anni, ho sempre descritto gli sviluppi in Egitto e in Turchia come irreversibile salvo nel caso di un colpo di stato militare in Egitto, che – aggiungevo sempre – consideravo molto improbabile. Perché improbabile? Perché chi avrebbe mai pensato che ci sarebbe stato un colpo di stato dell’esercito su mandato del popolo in Egitto? Io non potevo, nemmeno con l’immaginazione più sfrenata, prevedere che la sinistra laica liberale in Egitto avrebbe appoggiato un colpo di stato militare. E’ stata una cosa orrenda. L’atto inaugurale dei putschisti in Egitto è consistito nell’uccidere a colpi d’arma da fuoco dozzine di fedeli alle tre e trenta del mattino durante le preghiere mattutine. La sinistra laica liberale non ha detto una parola. Chi lo avrebbe immaginato un anno fa?

Dunque la storia è piena di sorprese, in entrambe le direzioni. I palestinesi possono essere arrivati al punto di guardarsi attorno e dire “questo è il meglio che possiamo ottenere” e, anche in un referendum, aderirvi. Non si può predire che non lo faranno. E’ possibile.

Se la situazione è sinistra come la descrivi, al punto che siamo a rischio di una sconfitta imposta attraverso questi negoziati, non è ora di ripensare radicalmente la nostra strategia?

So che sembra una contraddizione, ma resto ottimista. Penso che siano in posizione tutti i pezzi per raggiungere una soluzione. Innanzitutto l’opinione pubblica internazionale è più ostile che mai nei confronti di Israele; molti commentatori hanno segnalato che uno dei motivi per cui la UE ha assunto la sua recente iniziativa contro gli insediamenti è l’ostilità dell’opinione pubblica europea all’occupazione israeliana. In secondo luogo, la legge internazionale resta un’arma molto potente; nonostante 45 anni di disperati tentativi di Israele di creare fatti irreversibili sul terreno, l’unanimità internazionale resta notevolmente solida. La UE non si è ritirata di un centimetro sulla questione dello status di Gerusalemme Est. E’ una sconfitta sbalorditiva per Israele, il che è il motivo per cui si è indignato così tanto.

Così abbiamo l’ostilità pubblica internazionale all’occupazione israeliana, sostenuta dall’unanimità legale internazionale. Che cosa manca? Un movimento popolare tra i palestinesi che pretenda che la legge sia fatta rispettare. Dobbiamo essere sobri al riguardo e dunque, in spirito di sobrietà, fammi tornare al movimento statunitense per i diritti civili.

Il movimento per i diritti civili affrontava un dilemma famigliare. I neri del sud lottavano per i loro diritti contro una popolazione meridionale bianca recalcitrante in misura omicida. Il movimento per i diritti civili ha provato con diverse strategie gandhiane. Quando Martin Luther King ha iniziato, ha assunto un approccio gandhiano convenzionale: cercare di “intenerire i cuori” degli oppressori. Poi King, essendosi reso conto che non c’era modo di intenerire i cuori dei razzisti bianchi del sud, ha adottato una strategia gandhiana diversa. Ha mandato gli attivisti dei diritti civili alla ricerca della repressione sudista, rischiando le loro vite ed esponendosi a percosse nel farlo, al fine di mostrare alla comunità nazionale più vasta semplicemente quanto repressivo e brutale fosse il sud bianco nella sua  determinazione a negare ai neri i loro diritti.

C’era uno sceriffo ad Albany, Georgia, di nome Laurie Pritchett. Pritchett era un tipo astuto: quando gli afroamericani protestavano lui li arrestava alla chetichella. Non c’erano titoli sui giornali, e il movimento per i diritti civili era considerato un fallimento nella località. Allora i dirigenti del movimento dei diritti civili hanno individuato sceriffi con la reputazione di essere molto brutali: Eugene “Toro” Connor, a Birmingham, Alabama, e Jim Clark a Selma, Alabama. Sapevano che questi tizi avrebbero aperto le manichette, avrebbero fatto intervenire i cavalli e i cani. Ci sarebbero state scene di manifestanti innocenti che rivendicavano i loro diritti fondamentali in base alla Costituzione statunitense malvagiamente repressi da bianchi omicidi, e ciò avrebbe ottenuto titoli sui giornali che avrebbero indotto le persone altrove nel paese a indignarsi, e anche a imbarazzare gli Stati Uniti all’estero.

Lo stesso principio si applica al caso dei territori palestinesi occupati. Con gli israeliani non occorre faticare per trovare un Eugene “Toro” Connor. E’ la natura di essere una potenza occupante. Se i palestinesi, in modo non violento ed en masse – le dimostrazioni devono essere massicce e organizzate su scala nazionale – si oppongono all’occupazione, avremo immagini e titoli equivalenti: le percosse, gli arresti, le torture e le uccisioni. Se si ottiene ciò alla luce del sole nel contesto di un’opinione pubblica internazionale già ostile, la comunità internazionale sarà galvanizzata all’azione, proprio come successe negli Stati Uniti: nel 1965 fu approvata la Legge sul Diritto di Voto e gli afroamericani conquistarono, concretamente piuttosto che soltanto in teoria, il diritto di voto.

La grande variabile sono i palestinesi stessi. Oggi sono depressi e scoraggiati, ma ciò può cambiare. Perciò resto fiducioso.

Come sottolinea Rabbani, oggi è possibile risolvere il conflitto, ma deve essere oggi. C’è bisogno di urgenza. Perché con lui indica, la legge internazionale è dinamica e fluida; cambia per accogliere realtà politiche. E’ per questo che la risoluzione 242 dell’ONU del 1967 si è basata sui confini dell’armistizio del 1949 anziché su quelli proposti nella risoluzione 181. Ha recepito una realtà cambiata. Lo stesso è successo con la questione di rifugiati palestinesi: l’unanimità legale era la risoluzione 194 mentre oggi è “una soluzione giusta basata sulla risoluzione dell’ONU 194”. Finora la UE e la comunità internazionale sono rimaste ferma sui confini del ’67. Ma possono cambiare idea. Possono recepire la nuova realtà. Dunque il momento è oggi: o lo facciamo o, per la prossima tornata, la legge potrà essere diluita.

Jamie Stern-Weinerè codirettore del New Left Project

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  http://www.zcommunications.org/a-historic-moment-in-the-middle-east-by-norman-finkelstein

Originale: New Left Project

Traduzione di Giuseppe VolpeTraduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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