Perchè i media egiziani demonizzano i palestinesi?
The Electronic Intifada
23.07.2013
http://electronicintifada.net/content/why-are-egyptian-media-demonizing-palestinians/12632
Perché i media egiziani demonizzano i palestinesi?
Il 6 luglio, su Al-Yawm TV la conduttrice televisiva egiziana Shafki al-Moniri si è scusata con i suoi telespettatori per non essere stata nel paese una settimana prima delle manifestazioni del 30 luglio che hanno fatto da sfondo all’estromissione del presidente Muhammad Morsi da parte dell’esercito. Ma lei non vedeva l’ora di volare a casa il più presto possibile per unirsi ai festeggiamenti.
“L’assistente di bordo ha spiegato che c’è un ordine di far sbarcare questo passeggero”, e dopo che è stato individuato il suo bagaglio non c’è stato ulteriore ritardo.
Durante il suo governo, dal 1956 al 1970, il presidente Gamal Abdel-Nasser aggiornò i diritti dei palestinesi in Egitto, concedendo loro uno status pari a quello degli egiziani. All’inizio, anche dopo la guerra contro Israele del 1973, il suo successore, il Presidente Anwar Sadat, sembrò seguire lo stesso corso.
Ma, nel bel mezzo della crisi economica e con l’incremento della disoccupazione e della povertà, Sadat cercò una via d’uscita facendo perno sugli Stati Uniti, avviando riforme economiche neoliberali e firmando il trattato di pace con Israele del 1979.
Sorse una classe completamente nuova, pronta a trarre profitto da ciò che l’ambasciata egiziana a Washington chiama ancora la piena “partnership” tra i due paesi, alle spese dei poveri. Sadat si rese conto che con il riconoscimento del vicino sionista andava contro il volere del suo popolo. Perciò lui e i suoi sostenitori lanciarono in Egitto una violenta campagna anti-palestinese, spesso ritraendo i palestinesi come traditori ingrati che hanno venduto la loro terra ai sionisti e hanno trascinato l’Egitto in guerre costose. Il suo primo ministro, Mustafa Khalil, notoriamente dichiarò: “Non più Palestina dopo oggi.” (Oroub el-Abed, “The invisibile community: Egypt’s Palestinians,” Al-Shabaka, 8 giugno 2011)
Da allora in poi, contro i palestinesi venne messa in moto un’intera macchina propagandistica.
Nazionalismo sciovinista
Come ha osservato lo studioso palestinese Joseph Massad, questa campagna ha avuto come motivo lo sviluppo di un “nazionalismo egiziano sciovinista in luogo del nazionalismo arabo egiziano”. (“Egypt’s nouveaux riches and the Palestinians,” Al Jazeera English, 9 agosto 2012).
I palestinesi in Egitto cominciarono a soffrire di politiche discriminatorie, considerandoli come una minaccia per la sicurezza nazionale del paese. Le generazioni degli egiziani più giovani erano completamente disinformate a proposito della Palestina e della lotta là.
Il successore di Sadat, Hosni Mubarak, e i suoi agenti nella stampa mobilitarono occasionalmente violente campagne anti-palestinesi per distrarre dai loro misfatti. La propaganda si intensificò dopo che la Fratellanza Musulmana aumentò notevolmente i propri seggi nelle elezioni parlamentari del 2005 in Egitto e, l’anno successivo, Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi.
Dopo che Fatah si rifiutò di cedere il potere ad Hamas, portando a scontri armati e all’espulsione delle forze di Fatah da Gaza nel 2007, il regime di Mubarak dipinse Hamas come un nemico ancora più pericoloso. L’Egitto si mise al lavoro con zelo per rinforzare il blocco di Gaza imposto da Israele. Durante la rivolta del gennaio 2011 che alla fine lo rovesciò, i rappresentanti dei media di Mubarak parteciparono in modo attivo alla diffusione delle voci che i palestinesi ed Hamas erano dietro alle proteste di piazza Tahrir.
Questa presa di posizione ultra-sciovinista a volta è trascesa in odio dichiarato. Al culmine del conflitto tra Hamas e Fatah, il conduttore della Egyptian TV, Amr Adib, un ex propagandista del regime di Mubarak con legami con il Partito Nazionale Democratico, salutò alla televisione Israele e disse che Hamas andrebbe “eliminato”.
Il 13 luglio, la Rete Araba per l’Informazione sui Diritti Umani ha pubblicato una dichiarazione della coalizione delle organizzazioni egiziane per i diritti umani con la quale condanna l’ondata di istigazione all’odio e alla violenza contro i siriani e i palestinesi. I gruppi hanno individuato la Egypt’s CBC e la Ontv, come pure i presentatori Amr Adib, Lamis Hadidi, e Ahmad Moussa tra i peggiori erogatori. Questo incitamento, dice la nota, sarebbe divenuto più comune solo dopo “il silenzio su frasi di odio e istigazione che prendono di mira alcuni cittadini egiziani a causa del loro sostrato religioso o politico.”
Preso di mira e umiliato
La Risoluzione 59 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1946, a difesa della libertà di stampa, dichiara che “la libertà di informazione richiede come elemento indispensabile la volontà e la capacità di utilizzare i privilegi senza abusi. Essa comporta, come disciplina di base, l’obbligo morale di ricercare i fatti senza pregiudizi e diffondere la conoscenza senza dolo.” Questi doveri sono incarnati in ogni nozione di etica giornalistica. Eppure, purtroppo, nella frenesia degli attuali mezzi di informazione egiziani di spacciare pettegolezzi, istigazione razziale e demonizzazione, un’etica di tal genere non può essere rinvenuta.
Il frutto di questi anni di odiosa disinformazione si coglie ora , siccome i palestinesi si ritrovano a essere presi di mira e umiliati da discorsi di odio ripetuti da conducenti di taxi, venditori, studenti, funzionari di polizia e perfino da intellettuali che sostengono di essere dei rivoluzionari. Oggi, i palestinesi si sentono intrappolati in un paese arabo amico, temendo false accuse, che induce molti a evitare le strade, a nascondere le loro origini e cambiare il loro accento quando comunicano con gli egiziani.
Eppure, allo stesso tempo, il sostegno alla Palestina, l’antagonismo nei confronti di Israele e il sionismo sono rimasti profondamente radicati nella cultura politica egiziana e nella coscienza nazionale, dimostrati nel corso degli anni dalle ondate di appoggio popolare, durante i massacri di Sabra e Chatila del 1982, la Prima Intifada del 1987, la Seconda Intifada nel 2000 e l’attacco di Gaza nel 2008.
Ma le onde di solidarietà si esauriscono non appena affievolisce l’ultimo conato della violenza israeliana e troppi egiziani soccombono malgrado tutto a un altro assalto in piena regola dei media contro i palestinesi. Nel frattempo, attivisti e intellettuali egiziani di sani principi continuano a respingere incessantemente la retorica anti-palestinese e discutere di solidarietà con i palestinesi, così come della centralità della questione palestinese in Egitto. Ma, nell’attuale discorso nazionale, le loro voci vengono sovrastate.
Hanine Hassan è ricercatrice e dottoranda. Studia gli aspetti della tortura mentale e dell’umiliazione sotto occupazione. La sua famiglia, nel 1948, fuggì da Jaffa, Palestina, ed è in attesa del ritorno.
(tradotto da mariano mingarelli)
23.07.2013
http://electronicintifada.net/content/why-are-egyptian-media-demonizing-palestinians/12632
Perché i media egiziani demonizzano i palestinesi?
Il 6 luglio, su Al-Yawm TV la conduttrice televisiva egiziana Shafki al-Moniri si è scusata con i suoi telespettatori per non essere stata nel paese una settimana prima delle manifestazioni del 30 luglio che hanno fatto da sfondo all’estromissione del presidente Muhammad Morsi da parte dell’esercito. Ma lei non vedeva l’ora di volare a casa il più presto possibile per unirsi ai festeggiamenti.
di Hanine Hassan
Mentre
i suoi compagni di viaggio facevano il check-in per il volo da
Barcellona al Cairo, ha raccontato che uno di questi “era molto nervoso e
non sapeva perché lo fosse. Siamo saliti a bordo e, un po’ dopo,
l’Egypt Air lo ha dovuto far scendere.” Questi si è rivelato essere un
palestinese, ha riferito al-Moniri.“L’assistente di bordo ha spiegato che c’è un ordine di far sbarcare questo passeggero”, e dopo che è stato individuato il suo bagaglio non c’è stato ulteriore ritardo.
Ha
affermato di essere certa non trattarsi di un’iniziativa rivolta contro
tutti i palestinesi, ma che deve esserci un punto interrogativo sullo
specifico palestinese rimosso dal volo.
In
quel momento, ha dichiarato, si è sentita al sicuro “perché l’esercito e
le forze di polizia sono ben sveglie e agiscono in modo corretto.”
Dopo
il racconto di questa storia, al-Moniri, sopraffatta dall’emozione e
dalla gioia, è scoppiata in lacrime sullo schermo, mentre ripeteva: “Io
amo l’Egitto, amo l’Egitto,” e ha dovuto essere confortata dal
conduttore televisivo suo collega.
Non
è chiaro se lei era a conoscenza che in realtà una delle prime
disposizioni, adottate dal regime militare che il 3 luglio ha rovesciato
Morsi, è stata quella di vietare ai palestinesi l’ingresso in Egitto
attraverso l’aeroporto del Cairo , lasciandone a migliaia bloccati in
tutto il mondo, impedendo loro di fare ritorno a casa a Gaza attraverso
il valico di Rafah – l’unico punto di ingresso e uscita per la
stragrande maggioranza dei residenti di Gaza. I palestinesi si sono
visti negare l’imbarco su voli per il Cairo in tutto il mondo e
dall’aeroporto del Cairo sono stati deportati a decine.
Queste
azioni contro i palestinesi sono state ampiamente giustificate con
voci, costantemente ripetute - ma non suffragate da prove – che i
palestinesi interferiscono negli affari dell’Egitto, creando confusione,
e sono pure responsabili degli attacchi di gruppi di militanti alle
forze di sicurezza egiziane nella penisola del Sinai.
Le accuse sono state mosse contro i palestinesi in generale e contro Hamas in particolare.
Per aumentare ulteriormente la paranoia, l’8 luglio su Al Kahera Wal Nas TV
uno speaker ha affermato che il Presidente rovesciato Morsi è “di
origine palestinese”, un’asserzione provocatrice e bigotta data
l’attuale atmosfera. Dopo che l’ospite ha fatto la presunta rivelazione,
il conduttore, invece di chiederne una prova, si è rivolto allo schermo
e ha detto, “dobbiamo ripeterlo, il Presidente Morsi e di origini
palestinesi.”
E’
ormai abituale sentire membri o sostenitori della Fratellanza Musulmana
venire denunciati come “palestinesi”, o udire affermazioni che la
maggior parte di coloro che prendono parte all’attuale sit-in dei
sostenitori di Morsi nella piazza Rabia al-Adawiya del Cairo sono essi
stessi palestinesi, o in alcuni casi siriani
Accuse infondate
Il 6 luglio, su Tahrir TV,
il conduttore Ahmad Moussa ha accusato direttamente Hamas per
l’uccisione delle 16 guardie di frontiera egiziane nel Sinai nel mese di
agosto del 2012 e ha sostenuto che la prova sarebbe stata rivelata nel
giro di pochi giorni in una conferenza stampa internazionale. Dopo più
di due settimane, tale prova non è stata ancora mostrata, ma l’accusa
che Morsi ha aiutato Hamas a coprire il suo presunto ruolo continua a
venire utilizzata per giustificare il suo rovesciamento.
Il
9 luglio, sullo stesso canale, i conduttori Mohamed al-Ghaity e Samir
Ghatas hanno discusso su quello che pretendevano fosse un memorandum
ufficiale di Hamas definito “top secret” che rivelerebbe che “500
militanti terroristi delle brigate al-Qassam, l’ala militare di Hamas,
sono pronti a distruggere l’Egitto allo scopo di fiancheggiare i loro
Fratelli Musulmani.” Hanno sostenuto tranquillamente che Hamas agiva
agli ordini del primo ministro del Qatar, un sostenitore della
Fratellanza Musulmana.
Al-Ghaity
ha ostentato un documento che dava d’intendere provenisse dalla
Fratellanza Musulmana per i “terroristi di Hamas”. Questi documenti sono
impossibili da verificare e sono quasi certamente falsi, ma usati in
questo modo hanno alimentato la schizofrenia anti-palestinese.
Nel
frattempo, l’8 giugno, Mahmoud Wagdi, ex-ministro degli interni
egiziano ha dichiarato alla Corte d’Appello di Ismailia che “elementi
delle brigate al-Qassam affiliate al movimento islamista di Hamas, in
collaborazione con la Jihad [Islamica] e gruppi dell’Esercito Islamico
di Gaza e il partito sciita libanese degli Hezbollah, hanno collaborato
durante i primi giorni della rivolta del 25 gennaio 2011, che ha
rovesciato Mubarak, per attaccare carceri egiziane e liberare i detenuti
islamici.” (“Exposing’ Hamas and Hizbullah’s roles,” Al-Ahram Weekly, 12 giugno).
Quindi,
l’11 luglio, funzionari egiziani hanno affermato che sarebbe stata
promossa un’inchiesta relativa alle accuse che Morsi, che durante la
rivolta del 2011 era stato incarcerato dalle autorità, sarebbe lui
stesso evaso dal carcere grazie ad Hamas, e che la prova di un
intervento straniero sul suolo egiziano potrebbe portare ad accuse di
tradimento.
Demonizzazione
Mentre
le teste parlanti della TV satellitare non fanno altro tutto il giorno
che demonizzare i palestinesi, i social media sono stati ricoperti da
voci tra le quali quella che i palestinesi vogliono occupare la penisola
del Sinai. Molte sono tanto diffuse quanto assurde: che i circa 1,7
milioni di palestinesi di Gaza causano per la popolazione egiziana un
ammanco di 83 milioni per la sottrazione di cibo, carburante e medicine.
Senza dubbio le voci sono state alimentate se, il 17 giugno, settimane prima della cacciata di Morsi, il canale televisivo ONtv trasmetteva notizie di stampa non confermate che Hamas aveva inviato il Egitto 3.000 soldati per sostenere Morsi.
Affermazioni
infondate di tal genere sono state utilizzate per giustificare gli
sforzi dell’Egitto nel distruggere i tunnel tra Gaza e l’Egitto,
un’ancora di salvezza per i palestinesi di Gaza nel bel mezzo del
drastico assedio israeliano.
Resoconti falsi piazzati sulla stampa si diffondono in fretta, come quando, per esempio, il The Times of Israel ha raccolto un articolo del quotidiano arabo, finanziato dall’Arabia saudita e pubblicato a Londra, Al-Hayat,
che citava un “funzionario di sicurezza” egiziano che aveva affermato
che l’esercito israeliano aveva ucciso nel Sinai circa 200 armati,
compresi 32 di Hamas.
In questo caso, almeno, c’è stata una vibrata smentita da parte di funzionari israeliani, egiziani e palestinesi (“Officials on all sides deny report that Egypt killed 32 Hamas fighters in Sinai”, 11 luglio).
Sovente,
tuttavia, tali affermazioni sono rimaste prive di contestazione, come
quando il 18 luglio, il Magg. Gen. Osama Askar, comandante della terza
armata dell’esercito egiziano, ha affermato che, sull’autostrada
Caito-Suez, le sue forze avevano catturato 19 missili Grad appartenenti
all’ala militare di Hamas. Questi, ha sostenuto, erano destinati al
Cairo “per aiutare la Fratellanza Musulmana”.
I
“razzi catturati”, ha affermato Askar, “sono in grado di distruggere un
intero quartiere , il che indica che stavano per essere utilizzati in
attacchi terroristici contro il popolo egiziano” (Third Army Commander: Hamas racket captured in Suez capable of destroying entire neighborhood”, al-Dustour (Cairo), 17 luglio [in arabo])
A
tali racconti sensazionali su Hamas viene dato credito perché, anche se
organizzativamente separato, dal punto di vista ideologico Hamas è una
derivazione della Fratellanza Musulmana. E’ stato, perciò, presentato
come naturale che Hamas sarebbe venuto in soccorso della sua
organizzazione madre.
I
propagandisti disegnano anche un parallelo con l’ascesa al potere di
Hamas. Sebbene abbia vinto la maggioranza dei seggi nelle elezioni
legislative palestinesi del 2006, è stato con la forza delle armi che ,
nel 2007, si è assicurato la sua posizione a Gaza contro le forze
avversarie di Fatah, non disposte a cedere il potere. I media egiziani
raccontano al pubblico che questo è il modello che i “terroristi” della
Fratellanza Musulmana hanno intenzione di seguire.
Questi
stessi propagandisti si scordano costantemente di dire che le politiche
di Morsi nei confronti di Hamas e dei palestinesi di Gaza non
differiscono nella sostanza da quelle di Hosni Mubarak.
Piena collaborazione con gli Stati Uniti
Con una storia dell’Egitto come avanguardia del nazionalismo arabo e della lotta degli arabi contro Israele, può apparire scoccante che un tale disprezzo per i palestinesi – e ultimamente i siriani che sono divenuti oggetto di forme similari di istigazione – potesse divenire così forte e pervasivo.Durante il suo governo, dal 1956 al 1970, il presidente Gamal Abdel-Nasser aggiornò i diritti dei palestinesi in Egitto, concedendo loro uno status pari a quello degli egiziani. All’inizio, anche dopo la guerra contro Israele del 1973, il suo successore, il Presidente Anwar Sadat, sembrò seguire lo stesso corso.
Ma, nel bel mezzo della crisi economica e con l’incremento della disoccupazione e della povertà, Sadat cercò una via d’uscita facendo perno sugli Stati Uniti, avviando riforme economiche neoliberali e firmando il trattato di pace con Israele del 1979.
Sorse una classe completamente nuova, pronta a trarre profitto da ciò che l’ambasciata egiziana a Washington chiama ancora la piena “partnership” tra i due paesi, alle spese dei poveri. Sadat si rese conto che con il riconoscimento del vicino sionista andava contro il volere del suo popolo. Perciò lui e i suoi sostenitori lanciarono in Egitto una violenta campagna anti-palestinese, spesso ritraendo i palestinesi come traditori ingrati che hanno venduto la loro terra ai sionisti e hanno trascinato l’Egitto in guerre costose. Il suo primo ministro, Mustafa Khalil, notoriamente dichiarò: “Non più Palestina dopo oggi.” (Oroub el-Abed, “The invisibile community: Egypt’s Palestinians,” Al-Shabaka, 8 giugno 2011)
Da allora in poi, contro i palestinesi venne messa in moto un’intera macchina propagandistica.
Nazionalismo sciovinista
Come ha osservato lo studioso palestinese Joseph Massad, questa campagna ha avuto come motivo lo sviluppo di un “nazionalismo egiziano sciovinista in luogo del nazionalismo arabo egiziano”. (“Egypt’s nouveaux riches and the Palestinians,” Al Jazeera English, 9 agosto 2012).
I palestinesi in Egitto cominciarono a soffrire di politiche discriminatorie, considerandoli come una minaccia per la sicurezza nazionale del paese. Le generazioni degli egiziani più giovani erano completamente disinformate a proposito della Palestina e della lotta là.
Il successore di Sadat, Hosni Mubarak, e i suoi agenti nella stampa mobilitarono occasionalmente violente campagne anti-palestinesi per distrarre dai loro misfatti. La propaganda si intensificò dopo che la Fratellanza Musulmana aumentò notevolmente i propri seggi nelle elezioni parlamentari del 2005 in Egitto e, l’anno successivo, Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi.
Dopo che Fatah si rifiutò di cedere il potere ad Hamas, portando a scontri armati e all’espulsione delle forze di Fatah da Gaza nel 2007, il regime di Mubarak dipinse Hamas come un nemico ancora più pericoloso. L’Egitto si mise al lavoro con zelo per rinforzare il blocco di Gaza imposto da Israele. Durante la rivolta del gennaio 2011 che alla fine lo rovesciò, i rappresentanti dei media di Mubarak parteciparono in modo attivo alla diffusione delle voci che i palestinesi ed Hamas erano dietro alle proteste di piazza Tahrir.
Questa presa di posizione ultra-sciovinista a volta è trascesa in odio dichiarato. Al culmine del conflitto tra Hamas e Fatah, il conduttore della Egyptian TV, Amr Adib, un ex propagandista del regime di Mubarak con legami con il Partito Nazionale Democratico, salutò alla televisione Israele e disse che Hamas andrebbe “eliminato”.
Il 13 luglio, la Rete Araba per l’Informazione sui Diritti Umani ha pubblicato una dichiarazione della coalizione delle organizzazioni egiziane per i diritti umani con la quale condanna l’ondata di istigazione all’odio e alla violenza contro i siriani e i palestinesi. I gruppi hanno individuato la Egypt’s CBC e la Ontv, come pure i presentatori Amr Adib, Lamis Hadidi, e Ahmad Moussa tra i peggiori erogatori. Questo incitamento, dice la nota, sarebbe divenuto più comune solo dopo “il silenzio su frasi di odio e istigazione che prendono di mira alcuni cittadini egiziani a causa del loro sostrato religioso o politico.”
Preso di mira e umiliato
La Risoluzione 59 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1946, a difesa della libertà di stampa, dichiara che “la libertà di informazione richiede come elemento indispensabile la volontà e la capacità di utilizzare i privilegi senza abusi. Essa comporta, come disciplina di base, l’obbligo morale di ricercare i fatti senza pregiudizi e diffondere la conoscenza senza dolo.” Questi doveri sono incarnati in ogni nozione di etica giornalistica. Eppure, purtroppo, nella frenesia degli attuali mezzi di informazione egiziani di spacciare pettegolezzi, istigazione razziale e demonizzazione, un’etica di tal genere non può essere rinvenuta.
Il frutto di questi anni di odiosa disinformazione si coglie ora , siccome i palestinesi si ritrovano a essere presi di mira e umiliati da discorsi di odio ripetuti da conducenti di taxi, venditori, studenti, funzionari di polizia e perfino da intellettuali che sostengono di essere dei rivoluzionari. Oggi, i palestinesi si sentono intrappolati in un paese arabo amico, temendo false accuse, che induce molti a evitare le strade, a nascondere le loro origini e cambiare il loro accento quando comunicano con gli egiziani.
Eppure, allo stesso tempo, il sostegno alla Palestina, l’antagonismo nei confronti di Israele e il sionismo sono rimasti profondamente radicati nella cultura politica egiziana e nella coscienza nazionale, dimostrati nel corso degli anni dalle ondate di appoggio popolare, durante i massacri di Sabra e Chatila del 1982, la Prima Intifada del 1987, la Seconda Intifada nel 2000 e l’attacco di Gaza nel 2008.
Ma le onde di solidarietà si esauriscono non appena affievolisce l’ultimo conato della violenza israeliana e troppi egiziani soccombono malgrado tutto a un altro assalto in piena regola dei media contro i palestinesi. Nel frattempo, attivisti e intellettuali egiziani di sani principi continuano a respingere incessantemente la retorica anti-palestinese e discutere di solidarietà con i palestinesi, così come della centralità della questione palestinese in Egitto. Ma, nell’attuale discorso nazionale, le loro voci vengono sovrastate.
Hanine Hassan è ricercatrice e dottoranda. Studia gli aspetti della tortura mentale e dell’umiliazione sotto occupazione. La sua famiglia, nel 1948, fuggì da Jaffa, Palestina, ed è in attesa del ritorno.
(tradotto da mariano mingarelli)
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