L'elezione di Rohani vista dagli ebrei iraniani





TEHERAN - L'elezione del nuovo Presidente iraniano Hassan Rohani rappresenta per gli ebrei iraniani la conferma che "l'Iran è un Paese democratico, dove è del tutto normale cambiare il Presidente e i membri del Parlamento secondo le esigenze del momento". Lo dichiara all'Agenzia Fides il dottor Ciamak Morsadegh, rappresentante della comunità ebraica al Parlamento di Teheran. Secondo Morsadegh, la vittoria sorprendente del "moderato" Rohani al primo turno delle elezioni presidenziali non comporta una discontinuità radicale nelle prospettive geo-politiche della Repubblica islamica dell'Iran: "Le strategie e gli interessi di fondo del Paese non cambiano. I cambiamenti opportuni vanno introdotti sempre con gradualità e tenendo conto dell'interesse generale della Nazione. Altrimenti un Paese entra in vertigine e rischia di destabilizzarsi", nota Morsadegh. 
Gli ebrei in Iran sono 25mila. Le sinagoghe e i luoghi di culto ebraici sono più di cento in tutto il Paese. Alla comunità ebraica iraniana è riservato un seggio nel Parlamento di Teheran (dove due seggi spettano per legge ai cristiani e uno ai zoroastriani). Secondo Morsadegh, che dirige l'ospedale ebraico della Capitale, l'Iran attuale garantisce pieno esercizio di cittadinanza ai membri delle minoranze religiose: "Prima della rivoluzione islamica" riferisce il parlamentare" la Costituzione ci definiva come ebrei, cristiani e zoroastriani residenti in Iran. Nell'attuale Carta costituzionale siamo definiti come iraniani ebrei, cristiani e zoroastriani. I problemi più gravi che ci troviamo davanti sono gli stessi affrontati dai nostri connazionali musulmani: inflazione, disoccupazione, problemi economici. Capita a volte che qualche funzionario di basso livello negli uffici governativi si mostri riluttante a impiegare personale ebraico. Ma quasi tutti questi episodi incresciosi sono stati risolti con il ricorso alle istanze competenti. In Iran non ci sono mai stati ghetti ebraici, neanche nei secoli passati. E dopo la Rivoluzione non si è verificato nemmeno un episodio di antisemitismo organizzato". Secondo il deputato ebreo, la non permeabilità tra le diverse comunità confessionali e la contrarietà alle conversioni in Iran accomuna tutti i gruppi religiosi, e non è un tratto esclusivo della maggioranza sciita: "Da noi" spiega Morsadegh "il tasso di matrimoni interreligiosi in seno alla comunità ebraica è bassissimo, meno dello 0,1 per cento. Siamo ebrei, vogliamo rimanere ebrei, e non consideriamo le comunità religiose come dei club che si possono cambiare a piacimento. In Iran chiunque fa propaganda contro una delle religioni monoteistiche viene punito. Le punizioni previste sono le stesse per chi offende Mohammad, Mosè o Gesù". 
   Riguardo alle relazioni con le nazioni e le potenze circostanti, Morsadegh afferma con decisione che la comunità ebraica iraniana ha come unico criterio di giudizio delle vicende geo-politiche l'interesse generale del Paese: "Nella guerra tra Iran e Iraq sono andato a combattere come volontario. In Iran nessuno vuole le guerre. Negli ultimi trecento anni noi iraniani non abbiamo iniziato nessuna guerra, ci siamo solo difesi dagli attacchi degli altri. Anche adesso, se qualche pazzo - chiunque sia - si mette in testa di attaccare il nostro Paese, noi ebrei iraniani faremo tutto il possibile per difendere la nostra Patria". 


(agenzia fides, 2 luglio 2013) 

Allegati

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