La comunità internazionale mette in pericolo la pace di Sergio Yahni


La comunità internazionale mette in pericolo la pace


La via verso la pace non emergerà dalle tentazioni del realismo politico, un approccio che ha fallito continuamente nei processi di decolonizzazione. I palestinese non rinunceranno alle loro richieste, come non rinunciarono i vietnamiti, gli algerini e i sudafricani. La via verso la pace nel conflitto israelo-palestinese bypassa le politiche volte a minimizzare i rischi e massimizzare i benefici all’interno di una data relazione di potere. La pace sarà la conseguenza dell’adozione di un approccio basato sui diritti, nel quale il concetto di diritto è chiaramente definito e non negoziabile.
 
di Sergio Yahni

Nonostante 20 anni di negoziati pesantemente sovvenzionati, non c’è pace tra palestinesi e israeliani. È difficile pensare che l’attuale round di negoziati che si terrà a Washington sarà diverso. Al di là della riluttanza israeliana a lasciare i territori occupati nel 1967, due erronei assunti della comunità internazionale rendono i negoziati potenzialmente inefficaci.
                      


Il primo assunto sbagliato è che le relazioni internazionali razionali sono definite secondo termini di potere e stabilità al fine di minimizzare i rischi e massimizzare i benefici. Dato l’attuale rapporto di forze tra Israele e Palestina, è “razionale” pensare che i palestinesi saranno costretti a fare le concessioni maggiori per rendere l’accordo di pace possibile.
Tuttavia, la storia della decolonizzazione ha dimostrato che le nazioni, nelle loro lotte per l’autodeterminazione, sono pronte a calpestare il concetto di “razionalità”. Le guerre in Vietnam e Algeria sono la prova che le lotte di liberazioni si realizzano quando si va oltre i rapporti di forza esistenti, tirando fuori una vittoria politica da una sconfitta militare.
Nonostante la propria preponderante potenza militare, Israele non è riuscito a costringere i palestinesi ad accettare le sue volontà politiche. E molto probabilmente Israele continuerà a fallire in futuro.
Il secondo assunto sbagliato della comunità internazionale è che la comunità politica israeliana è pronta a coesistere fianco a fianco con uno Stato palestinese indipendente e sovrano. Per timore della risposta, la comunità internazionale non ha mai chiesto a Israele una presa di posizione chiara su questo argomento.
Tuttavia, il premier israeliano Netanyahu ha risposto quattro anni fa a questa domanda, violando le risoluzioni internazionali e non rispettando gli obblighi in capo ad Israele: lo Stato palestinese dovrà essere un’entità demilitarizzata senza sovranità, creata solo se riconoscerà Israele come Stato ebraico e se rinuncerà al diritto al ritorno dei profughi. Netanyahu non ha mai parlato di confini, ma ha reso chiaro che non saranno mai quelli precedenti alla Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Prendendo come assunto che al tavolo del negoziato i palestinesi saranno quelli che faranno le maggiori concessioni, la comunità internazionale si fiderà delle forze “moderate” israeliane perché facciano pressioni su Netanyahu per giungere ad un accordo.
Tuttavia, le relazioni di forze in Israele non sono a favore dei moderati che non hanno il potere di mobilitare un ampio movimento di pace né possiedono la necessaria rappresentanza parlamentare per prendere il posto dell’attuale coalizione di maggioranza.
La via verso la pace non emergerà dalle tentazioni del realismo politico, un approccio che ha fallito continuamente nei processi di decolonizzazione. I palestinese non rinunceranno alle loro richieste, come non rinunciarono i vietnamiti, gli algerini e i sudafricani. La via verso la pace nel conflitto israelo-palestinese bypassa le politiche volte a minimizzare i rischi e massimizzare i benefici all’interno di una data relazione di potere. La pace sarà la conseguenza dell’adozione di un approccio basato sui diritti, nel quale il concetto di diritto è chiaramente definito e non negoziabile. 

(tradotto a cura di AIC Italia/Palestina Rossa)

 

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