Come fare perché il Diritto Internazionale operi a favore dei palestinesi

Al- Shabaka Commentary17.07.2013
http://al-shabaka.org/how-make-international-law-work-palestinians?page=show


Come fare perché il Diritto Internazionale operi a favore dei palestinesi.
Il Diritto Internazionale non è un insieme di norme immediatamente esecutive che porta automaticamente giustizia. E’ modellato dai politici e usato a scopi politici. 
di Ingrid Jaradat Gassner
Impiegato in tal modo, il Diritto Internazionale ha contribuito all’oppressione e frammentazione in corso del popolo palestinese. Se combinato con il sistema di riferimento di Oslo in atto, è stato usato in modo selettivo per perseguire una ingiusta formula di terra–in cambio di–pace, mentre occulta la colonizzazione israeliana in corso, la confisca e l’annessione della terra dei palestinesi e l’oppressione del popolo palestinese . Ha tralasciato in modo particolare il diritto al ritorno di milioni di palestinesi che vivono come profughi a giro per il mondo e ha fornito le basi per un sistema di aiuto internazionale che serve esclusivamente a rafforzare ulteriormente la procrastinata occupazione israeliana della West Bank, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza. Malgrado ciò, i palestinesi non devono girare le spalle al Diritto Internazionale - perché, se utilizzato in modo appropriato – può servire come uno strumento efficace per gli oppressi.

 Cosa c’è di sbagliato nel Diritto Internazionale 
Un esame del Diritto Internazionale Umanitario attualmente dominante (IHL) mostra perché esso, da solo, è insufficiente o addirittura dannoso per una strategia che cerchi di superare la frammentazione palestinese e la mancanza di senso di responsabilità per l’intero insieme dei diritti dei palestinesi [1]. 
° Il Diritto Internazionale Umanitario si applica solo alla parte mandataria della Palestina occupata nel 1967,comunemente indicata come OPT; ma non protegge tutti i palestinesi e tace sul loro dirittoall’autodeterminazione. 
° Il Diritto Internazionale Umanitario si applica a un’occupazione temporanea, di breve durata. Nell’ambito dell’IHL, tale occupazione è legale fintantoché le regole del Diritto Internazionale Umanitario vengono rispettate. Alla potenza occupante è concessa l’autorità di installare un regime che possa limitare i diritti umani per ragioni di necessità militare, di sicurezza e ordine pubblico. 
° Il centro focale esclusivo dell’ IHL rammenta che il regime di Israele nei OPT consiste in un regime di occupazione temporanea legittima. Ciò ha dato luogo all’organizzazione di aiuti internazionali atti a mitigare l’impatto umanitario dell’occupazione israeliana e a contestare la legalità di determinate prassi piuttosto che l’occupazione israeliana stessa. La responsabilità di proteggere i diritti di tutto il popolo palestinese, in particolare il diritto all’auto-determinazione, e di garantire il rispetto da parte di Israele dei suoi obblighi internazionali, è relegata alle politiche di potenza degli Stati Uniti e alla diplomazia della pace a guida europea.
Le ulteriori carenze dei paradigmi politici e giuridici dominanti sono espresse dai 20 anni di diplomazia della pace imperniata sul quadro di riferimento di Oslo che doveva essere valido per soli cinque anni. La ripartizione delle competenze amministrative e di governo per gli OPT nelle Aree A (palestinese), B (congiunta palestinese-israeliana) e C (israeliana) è stata una cornice che ha dato licenza a Israele di acquisire a titolo definitivo / annettere e colonizzare il territorio palestinese e istituire regimi giuridici distinti per i coloni ebrei contro i palestinesi occupati della West Bank. 
Con la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1967), come unico riferimento al Diritto Internazionale nel quadro stabilito per i negoziati di pace e la diplomazia, non c’è neanche un sistema giuridico che consideri Israele – e altri stati – responsabile dei propri obblighi nei confronti dei diritti del popolo palestinese. La Risoluzione stabilisce che la West Bank, comprese Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza, sono territori occupati e non sono – e non possono diventare mai – territorio israeliano, e che il ritiro di Israele rappresentava un requisito per la pace. Tuttavia, la Risoluzione non menziona neppure i palestinesi e i loro diritti riconosciuti dalla Nazioni Unite ai sensi del Diritto Internazionale. 
La diplomazia della pace sulla base della Risoluzione 242 delle Nazioni Unite si limita alla sola questione del futuro status della parte della Palestina che è stata occupata nel 1967. Essa esclude la maggior parte dei palestinesi che vivono in Israele o, come profughi, in tutto il mondo e cerca di pervenire ad accordi bilaterali che ignorano o violano il Diritto Internazionale. E’ previsto che i negoziatori palestinesi recedano da tutte le pretese nei confronti di Israele e riconoscano lo status quo che Israele ha creato nella parte della Palestina che ha conquistato nel 1948, in cambio del ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967 (la cosiddetta formula terra per pace). La recente ammissione della Palestina alle Nazioni Unite in qualità di Stato osservatore non-membro, non cambia ma piuttosto conferma il paradigma di Oslo [2]. 
Come applicare meglio il diritto internazionale. 
Le limitazioni di cui sopra del Diritto Internazionale Umanitario (IHL) e dei modi in cui il Diritto Internazionale potrebbe essere usato per guidare una nuova strategia palestinese, è stato al centro di una grande conferenza internazionale che si è tenuta nel maggio 2013 presso l’Istituto di Giurisprudenza dell’Università di Birzeit e che ha riunito più di 300 persone tra accademici palestinesi, attivisti della società civile e personalità politiche.[3] Sulla base dei pareri legali di giuristi di fama, quali John Dugard e Richard Falk, si è raggiunta l’unanimità sul fatto che, nonostante i suoi limiti, il Diritto Internazionale Umanitario resti uno strumento importante per la protezione dei civili palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana, ma che sono necessari ulteriori nuove strutture giuridiche di riferimento per fare progredire il diritto di tutti i palestinesi verso la libertà e la giustizia, compreso il ritorno dei profughi. Questi contesti includono, in particolare, i quadri di (colono) colonialismo, di trasferimento forzato della popolazione (pulizia etnica), di apartheid e dell’auto-determinazione [4]. L’applicabilità di tali contesti trova fondamento nel parere consultivo sul Muro della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del 2004 e nei Rapporti delle Commissioni per i trattati sui Diritti Umani delle Nazioni Unite , nei Relatori Speciali delle NU e nelle missioni d’inchiesta. 
Il colonialismo, l’apartheid e il trasferimento forzato della popolazione 
° Sono sistemi giuridici che immortalano le politiche e le prassi israeliane e l’esperienza di tutto il popolo   palestinese, passato e presente. Non possono essere applicati agli OPT senza riferimento al regime   giuridico e politico israeliano, discriminatorio e oppressivo, che precede l’occupazione del 1967. Essi   trascendono, quindi, la separazione tra Palestina del 1948 e gli OPT e aiutano a superare la   frammentazione del popolo palestinese 
° Sono definiti come regimi e politiche razzisteche, nella loro globalità, sono assolutamente vietati. Il colonialismo e l’apartheid comportano per tutti gli Stati speciali responsabilità e obblighi giuridici. Di fronte a tali violazioni tutti gli Stati hanno tre compiti: cooperare per porre fine alla violazione; non riconoscere la situazione di illegalità che ne è derivata; non fornire aiuto o assistenza allo Stato che la commetta – che è in netto contrasto con gli aiuti forniti a Israele dagli Stati Uniti e dall’Europa fino a oggi.[5] L’apartheid e il trasferimento forzato della popolazione sono inoltre considerate illegali e, secondo lo Statuto della Corte Penale Internazionale (ICC) di Roma, comportano responsabilità individuali. 
° Si ripercuotono negativamente in tutto il mondo e possono servire per mobilitare l’opinione pubblica e il   sostegno politico. Il linguaggio del colonialismo ha ripercussioni in particolar modo sulle nazioni ex   colonizzate dell’Africa, dell’America Latina e altrove. Può essere usato, per esempio, con l’Unione Africana   il cui sostegno politico è necessario in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per un parere   consultivo da parte della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) nel caso in cui i palestinesi dovessero   decidere di richiedere un secondo parere e per portare il caso alla Corte Penale Internazionale (ICC).   L’Unione Africana, in particolare, è probabile offra un sostegno a causa dell’intuita avversione della ICC   contro gli africani. 
Quanto sopra è già stato adottato, in realtà, dal Comitato Palestinese per il Boicottaggio Nazionale (BNC) come quadro giuridico che guida la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS). Tuttavia, i partecipanti al convegno di Birzeit hanno evidenziato, su questa base, la necessità di una strategia palestinese molto più ampia e a più lungo termine. Hanno accolto con favore le proposte di una strategia globale palestinese anticoloniale, anti-apartheid per la liberazione che dovrebbe coinvolgere i membri della comunità giuridica e politica per i diritti umani palestinesi dentro e fuori della Palestina, fornire risposte all’importante questione di come la leadership palestinese possa venire influenzata e coinvolta e ottenere il sostegno dei circoli politici e giuridici internazionali e dell’opinione pubblica in genere. 
La conferenza ha inoltre individuato una serie di questioni in sospeso da risolvere da parte di esperti. Per esempio, i competenti in diritto internazionale che hanno partecipato ai dibattiti si sono trovati divisi sul problema relativo al fatto che l’azione legale incentrata sugli OPT avrebbe inevitabilmente sostenuto se non addirittura approfondito l’attuale frammentazione della Palestina e del suo popolo. Mentre alcuni esperti hanno sostenuto che sarebbe stato meglio sottoporre alla ICJ la questione del colonialismo israeliano e dell’apartheid nei Territori Occupati, perché c’era una buona probabilità che la Corte sentenziasse che tutto il regime israeliano di occupazione prolungata era illegale; altri hanno insistito che i palestinesi chiedano alla ICJ di stabilire se il regime oppressivo di Israele sull’intero popolo palestinese fin dal 1948 è un regime di apartheid. Allo stesso modo, nella discussione sono stati espressi diversi pareri sull’opzione di sottoporre al ICC un ricorso per crimine di guerra contro i funzionari israeliani responsabili delle colonie illegali degli OPT. 
Queste e altre discussioni sottolineano l’importanza di informare ovunque i palestinesi, in particolare gli attivisti della società civile, gli studenti universitari e i politici, sul significato giuridico e sulle implicazioni dei contesti proposti di apartheid, colonialismo e trasferimento forzato della popolazione e sui potenziali benefici e rischi delle opzioni delle ICC e ICJ. La sensibilizzazione di un ampio pubblico, l’impegno e un’opinione pubblica informata sul se e quando i palestinesi dovrebbero approcciarsi all’ICC e/o all’ICJ, sono gli ingredienti principali di un discorso e di una strategia palestinese che siano nuove e forti. 
Note: 
[1] – Il Diritto Umanitario Internazionale (IHL) definito come la Convenzione (IV )dell’Aja che si attiene alle Leggi e alle Usanze della Guerra Terrestre e al suo allegato: Regolamenti concernenti le Leggi e le Usanze della Guerra Terrestre, L’Aja 18 ottobre 1907 (Regolamenti Dell’Aja) e la Convenzione (IV) relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, Ginevra 12 agosto 1949 (Quarta Convenzione di Ginevra). 
[2] – UNGAR A/67/L.28 del 29 novembre 2012 L’ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come Stato osservatore non-membro “esprime l’urgenza per la ripresa e l’accelerazione dei negoziati nell’ambito del processo di pace in Medio Oriente basato sulle Risoluzioni pertinenti delle Nazioni Unite, i termini di riferimento della Conferenza di Madrid, tra cui il principio della terra per la pace, l’iniziativa di pace araba e la Road Map del Quartetto per una soluzione permanente a due-Stati del conflitto israelo-palestinese, per il raggiungimento di una pace giusta, duratura e un accordo di pace globale tra le parti palestinese e israeliana che risolva tutte le questioni basilari in sospeso, vale a dire i profughi palestinesi, Gerusalemme, le colonie, i confini, la sicurezza e l’acqua. 
[4] – Per saperne di più sui primi tre sistemi compresa la loro definizione giuridica, vedi, rispettivamente, la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali (1960), le dimensioni dei diritti umani del trasferimento della popolazione, tra cui l’insediamento di coloni: Relazione preliminare predisposta dai signori A.S. Al-Khasawneh e R.Hatano’, UN Doc….E/CN.4/Sub.2/1993/17, 6 luglio 1993, parr 15,17 e la Convenzione Internazionale per la repressione e la punizione del crimine di Apartheid (1973) 
[5] – Vedi, Human Sciences Research Council of South Africa, “Occupation, Colonialism, Apartheid?” (2009). Sintesi al  http://www.alhaq.org/attachments/article/232/occupation-colonialism-apartheid-executive.pdf 
(tradotto da mariano mingarelli)

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