The Lancet : I medici israeliani accusati di collusione nella tortura


  MEDICI ISRAELIANI SOSPETTATI DI ESSERE STATI COINVOLTI NELLE TORTURE CHE HANNO PORTATO ALLA MORTE DI ARAFAT JARADAT. 


di Sharmila Devi – 17 marzo 2013
La morte di un detenuto palestinese in circostanze non chiare in un carcere israeliano ha riacceso una controversia di vecchia data sulla presunta complicità dei medici nelle torture e ha suscitato la rinnovata rabbia dei palestinesi per i 4.600, secondo stime, detenuti in Israele.
L’Associazione Medica Israeliana (IM) ha negato che professionisti della medicina sia coinvolti in torture o violenze e ha affermato che, per quanto a sua conoscenza, le torture non sono approvate dalle forze di polizia o dalle carceri israeliane. Tuttavia, sostenitori dei diritti umani affermano che i detenuti palestinesi subiscono da molto percosse, privazione del sonno, ammanettamenti prolungati e dolorosi, umiliazioni e abbandono sanitario, considerati tortura in base agli standard internazionali.
Arafat Jaradat, un benzinaio trentenne padre di due figli, era stato arrestato il 18 febbraio perché sospettato di aver scagliato sassi e bottiglie Molotov durante una dimostrazione nella West Bank tenutasi lo scorso novembre contro le azioni dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. I palestinesi affermano che il suo arresto, mesi dopo la manifestazione, e il suo interrogatorio sono stati parte di una consolidata politica israeliana di costringere i detenuti a diventare informatori dopo il rilascio.
I dirigenti palestinesi affermano che circa 800.000 palestinesi sono stati detenuti dalle forze israeliane a partire da 1967 e che Jaradat è stato il duecentotreesimo detenuto a morire. E’ morto il 23 febbraio, dopo numerosi giorni di interrogatori da parte del servizio di polizia interna dello Shin Bet israeliano, nel carcere israeliano di Megiddo. Il giorno dopo è stata condotta l’autopsia presso l’Istituto Israeliano di Medicina Forense alla presenza di Saber Aloul, il capo patologo dell’Autorità Palestinese, che ha affermato che i lividi sul corpo erano prove di tortura.
Il ministero israeliano della sanità ha affermato il 28 febbraio che, dopo aver esaminato nuovi risultati dell’autopsia, non ci sono state prove che Jarafat abbia subito violenze fisiche o sia stato avvelenato, e che non è stato possibile stabilire la causa della morte.
Dirigenti israeliani avevano in origine attribuito la sua morte a un attacco cardiaco e avevano affermato che le contusioni e le costole spezzate erano “esiti caratteristici di una rianimazione, con l’equipe medica del Servizio Carcerario Israeliano e Magen David Adom impegnati per cinquanta minuti in un tentativo di salvargli la vita.”
Altri campioni prelevati dal corpo erano ancora sotto esame microscopico e tossicologico e i risultati non erano attesi prima di diverse settimane. “I segni apparsi durante l’autopsia mostrano chiaramente che è stato sottoposto a pesanti torture che hanno portato immediatamente alla sua morte”, ha dichiarato a Ramallah Issa Qaraka, il ministero palestinese per gli affari dei detenuti, in una conferenza stampa dopo essere stato informato dal patologo palestinese che aveva assistito all’autopsia.
Kamil Sabbagh, l’avvocato di Jaradat, ha dichiarato a un giudice militare israeliano un paio di giorni prima della morte del suo cliente che questi era stato costretto a restare seduto per lunghi periodi durante l’interrogatorio, che aveva lamentato problemi alla schiena e sembrava terrorizzato dal ritorno al centro di detenzione dello Shin Bet dove era detenuto. Il giudice ha ordinato un esame da parte di un medico del carcere. Jaradat è morto nel carcere di Megiddo e non è noto quando vi sia stato trasferito.
Derek Summerfield, professore anziano onorario all’Istituto di Psichiatria dell’Università di Londra e attivista contro quella che chiama la violazione dei diritti umani da parte dei medici israeliani, afferma di voler sapere quale parte di medici abbiano svolto nelle circostanze della morte di Jaradat. “Secondo l’ammissione dello stesso Israele, Jaradat era stato visto da medici israeliani due giorni prima e che lo avevano trovato in buona salute. La domanda medica etica chiave è per cosa questi medici lo abbiano esaminato se non per valutare se poteva sopportare la tortura,” dichiara aThe Lancet. “E’ esattamente per questo che è stata lanciata nel 2009 la campagna a proposito della collusione dei medici con le torture e che ancora continua.”
L’IMA ha affermato in una dichiarazione: “L’IMA si oppone vigorosamente all’affermazione che i professionisti della medicina siano coinvolti in torture o violenze e continueremo a fare tutto il possibile con i mezzi a nostra disposizione per informare i medici del loro dovere di riferire e di comportarsi correttamente.”
L’IMA e le organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto che la responsabilità della salute dei detenuti sia tolta al Servizio Carcerario Israeliano (IPS) e sia trasferita a un organismo esterno, come una delle organizzazioni per la garanzia della salute (HMO) o al ministero della salute, che un anno fa ha creato un comitato permanente al quale i medici possono riferire i sospetti di torture. “E’ vero che tutti i dottori sono in conflitto di interesse tra il paziente e il sistema nelle HMO e anche nell’esercito,” ha dichiarato al quotidiano Ha’aretz Avinoam Reches, che dirige il comitato etico dell’IMA. “Ma nel caso dell’IPS il problema è grave perché il trattamento è affidato a persone che non hanno alcuna libertà di scelta.”
I palestinesi e i gruppi per i diritti umani pretendono un’inchiesta indipendente sulla morte di Jaradat.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: The Lancet
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

I Palestinesi e i gruppi per i diritti umani hanno chiesto un'indagine indipendente sulla morte di Jaradat.

http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2813%2960612-1/fulltext


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Organizzazioni Israeliane denunciano :medici corrotti negano cure e assistenza ai pazienti palestinesi

Il sistema sanitario israeliano, d’accordo con le forze di sicurezza, lavora per occultare continuamente i casi di maltrattamento e torture ai danni dei detenuti palestinesi. E’ un vero scandalo quello denunciato da due ong israeliane, Public committee against torture in Israel (PCATI) e Physicians for human rights (PHR) in un nuovo rapporto che farà discutere.


Una violazione integrale dei loro obblighi etici. Il rapporto intitolato "Doctoring the evidence, abandoning the victim", rivela forme diverse attraverso cui la comunità medica si è resa complice di un reato contro l’umanità: mancata documentazione clinica delle torture perpetrate e dei sospetti casi di abusi, violazione del segreto professionale con la trasmissione dei referti clinici e consegna delle vittime ai loro aguzzini.
Dal rapporto emerge chiaramente come il sistema sanitario israeliano favorisca il mancato svolgimento degli obblighi etici del personale medico. La scarsità dei mezzi necessari alle cure dei pazienti ne è una prova.
Il documento pioneristico a cura delle due ong israeliane  fa luce su di una collaborazione segreta tra  il personale sanitario e l’Agenzia di sicurezza israeliana (ISA) che emerge dall’analisi di ben 100 file raccolti dal 2007.
Una parte del rapporto focalizza gli “strati” di protezione di cui godono gli aguzzini: i membri dell’Agenzia di sicurezza fanno parte di un sistema di difesa che garantisce loro la completa impunità e li rende inattaccabili. Nessuna osservazione, punizione o processo può essere mosso a loro carico.
Queste protezioni, e soprattutto l’imposizione del sistema legislativo che vieta sistematicamente qualsivoglia investigazione sulla condotta del personale ISA, favoriscono il silenzio sulle torture, sugli abusi, e sui maltrattamenti e la loro conseguente perpetrazione.
I medici sono un altro 'strato' del sistema. Con l’inadempimento dei loro doveri contribuiscono a  oliare un meccanismo perverso. Falsificano i referti clinici o, peggio ancora, negano i danni fisici delle violenze subite. E’ evidente che, non essendoci protezione alcuna per prigionieri e detenuti, la loro condanna è assicurata mediante confessioni estorte con ogni mezzo.
Un caso denunciato dal rapporto è quello di un palestinese arrestato nel novembre 2010. In una sua dichiarazione giurata, il paziente affermava di essere stato picchiato e maltrattato, tenuto in posizioni tali da non permettergli di dormire e di accusare forti dolori al braccio, alla gamba e alla schiena. Il suo referto clinico, al contrario, non menzionava alcuna anomalia, e riferiva di un soggetto in buone condizioni fisiche.
Altro esempio è quello di un paziente arrestato nel 2008. Ammanettato con della plastica legata stretta, e tenuto in ginocchio per ore, era stato brutalmente picchiato tanto da causargli gravi lesioni al bulbo oculare. Il referto clinico stilato dal dottore all’indomani della visita riferiva di un soggetto un condizioni fisiche “soddisfacenti.” 
“Dai medici ci si aspetta un comportamento impeccabile a difesa dei più deboli. Scoprire che proprio loro mancano di ogni decenza umana non ascoltando le lamentele e le condanne dei propri pazienti per i mali subiti, ci lascia perplessi e sgomenti”, ha dichiarato il dottor Ishai Menuchin, direttore esecutivo del PCATI.
Il Comitato etico del PHR ha chiaramente esortato il ministero della Difesa a prendere il controllo della situazione monitorando il corpo medico e affrontando il problema alla radice.
4 novembre 2011

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