Israele, la Palestina e gli Oscar




Di Amy Goodman
23 febbraio 2013

La cerimonia dei Premi Oscar quest’anno farà la  storia con la prima candidatura in assoluto di un film documentario fatto da un palestinese. “5 Broken Cameras (“5 videocamere distrutte”) è stato filmato e diretto da Emad Burnat, che risiede nella città di Bil’in situata nella Cisgiordania palestinese occupata, insieme al suo socio israeliano, il regista  Guy Davidi. Che cosa indossa un contadino palestinese sul tappeto rosso di Hollywood? Stavano quasi impedendoci di saperlo, dato che Burnat, sua moglie e suo figlio di 8 anni sono stati trattenuti all’aeroporto internazionale di Los Angeles e minacciati di espulsione. Malgrado l’invito ufficiale che Emad aveva dall’Accademia delle arti e delle scienze  cinematografiche come regista candidato all’Oscar, ci è voluto l’intervento del documentarista vincitore di un Oscar, Michael Moore, che ora fa parte della Commissione Accademica dei Governatori, e poi da quello di  avvocati dell’Accademia, perché Burnat e la sua famiglia ottenessero di entrare nel paese.
“5 Broken cameras” è in gara per gli Oscar insieme a un documentario israeliano, “The Gatekeepers”  (I guardiani), che presenta interviste con  i sei ex direttori sopravvissuti dello Shin Bet, i servizi segreti della sicurezza interna del paese che opera come una specie di ibrido delle organizzazioni statunitensi FBI e CIA. Nel film tutti i sei condannano le attuali pratiche dell’occupazione israeliana e dell’espansione degli insediamenti.
In un caso notevole di vita che imita l’arte, mentre le celebrità si riuniscono per il più grosso gala dell’ anno dell’industria dell’intrattenimento, il conflitto israelo/palestinese si recita nelle strade di Tinseltown (termine di slang americano per indicare Hollywood, n.d.t.).
Un po’ di ore dopo aver riavuto la libertà, Burnat ha diffuso una dichiarazione che diceva: “Ieri sera, arrivando dalla Turchia a Los Angeles, California, la mia famiglia ed io siamo stati trattenuti alla dogana per circa un’ora e interrogati circa lo scopo della mia visita negli Stati Uniti. I funzionari dell’immigrazione hanno chiesto la prova che ero candidato al premio Oscar per il documentario “5 Broken cameras” e mi hanno detto che se non potevo provare il motivo della mia visita, mia moglie Soraya, mio figlio Gibreel, ed io saremmo stati rimandati in Turchia lo stesso giorno.”
Ha continuato: “Dopo 40 minuti di domande e di risposte, Gibreel mi ha chiesto perché stavano ancora aspettando in quella stanzetta. Gli ho semplicemente detto la verità: ‘Forse dovremo tornare indietro’. Ho visto che gli crollava il mondo addosso. La nascita di Gibreel nel 2005, è stato il motivo del film. Ernad Burnat ha avuto la sua prima videocamera allora, per riprendere il suo quarto figlio e come cresceva. A quell’epoca, il governo di Israele,  cominciava a costruire il muro di separazione che passava in mezzo a Bil’in, provocando una campagna di opposizione non violenta da parte dei residenti palestinesi e dai loro sostenitori. Quando Burnat filmava le proteste, le sue cineprese venivano sfasciate o colpite con da armi da fuoco, una per una, distrutte dalla violenta reazione dell’esercito israeliano e dei coloni israeliani armati.
Dror Moreh è il regista israeliano del documentario “The Gatekeepers.” Moreh mi ha detto; “Gli insediamenti sono il più grosso ostacolo alla pace: se c’è una cosa che impedirà la pace, sono gli insediamenti e i coloni. Penso che questo sia il gruppo più grande, più influente e più potente nella politica israeliana. Stanno, fondamentalmente, dettando la politica di Israele degli anni recenti. Io credo che  per i Palestinesi, gli insediamenti siano sicuramente il peggior nemico  sulla strada per ottenere una patria. Quando essi guardano dovunque, attualmente in Giudea e in Samaria, gli insediamenti che vengono costruiti come funghi dopo la pioggia, vedono come il loro paese si stia restringendo.
Sia “5 Broken Cameras” che “The Gatekeepers” sono in gara contro altri nominati molto validi: “How to Survive a Plague” (Come sopravvivere a un flagello), un documentario sull’epidemia di AIDS; “The Invisibile War” (La guerra invisibile), sugli stupri incontrollati e non perseguiti nell’esercito statunitense; “Searching for Sugar man” (Cercando Sugar Man), che tratta del “risveglio”  di un musicista a lungo creduto morto. Burnat ha terminato la sua dichiarazione sul suo fermo all’aeroporto internazionale di Los Angeles. “Sebbene questa sia stata un’esperienza spiacevole, questo è  una circostanza  quotidiana per i palestinesi, ogni singolo giorno, in tutta la Cisgiordania. Ci sono più di 500 posti di controllo israeliani, blocchi stradali, e altre barriere per muoversi nella nostra terra, e a nessuno di noi è stata risparmiata l’esperienza che abbiamo avuto ieri la mia famiglia ed io. Il nostro è stato un esempio molto meno grave di quello che la mia gente affronta quotidianamente.”
Indipendentemente da quale documentario vincerà, gli Oscar 2013 segnano un cambiamento  storico nel dialogo pubblico su Israele e la Palestina, un  cambiamento  che sarebbe dovuto avvenire    da tempo, e a cui saranno esposti 40 milioni di telespettatori.

Denis Moynihan ha contribuito alle ricerche per questa rubrica.

Amy Goodman è la conduttrice di “Democracy Now!”, un rotocalco televisivo internazionale che va in onda ogni giorno per un’ora su più di 1.000 stazioni in Nord America. E’ co-autrice di: “The Silenced Majority” [La maggioranza che viene fatta tacere"], un libro di successo del New York Times.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/ Israel-palestine-and-the-oscars-by-amy-goodman
Originale: Truthdig
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

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