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Post-demolizione
L’ho
già visto da qualche parte, anche se non ricordo dove. Ha gli occhi
tristi, lo sguardo sconsolato. Il suo nome è Ayman, è padre di 5 figli,
tutti di età inferiore ai 7 anni, ed è un contadino originario del
villaggio di Al-Jiftlik, nella Valle del Giordano. Lo incontro, ancora
sconvolto, tra le macerie della sua casa, mentre cerca di costruire una
sorta di tenda per la notte.
“Sono
arrivati questa mattina alle 9 e hanno demolito la mia casa, quella di
mio fratello e anche una baracca per animali” mi racconta. “Ero al
lavoro quando ho ricevuto la notizia. Son tornato qui e ho trovato i
figli in lacrime e le pecore sparse ovunque. E’ la seconda volta in un
anno che l’esercito israeliano mi demolisce la casa. Questa primavera, a
marzo, si è ripetuta la stessa identica cosa”.
Ed
ecco che capisco tutto, che per un attimo rivivo quel terribile giorno
di marzo quando, per la prima volta nella mia vita, ho visto la mia “prima demolizione”.
Ricordo
la crudeltà del gesto, la mia difficoltà nel fotografare, nel narrare,
nel parlare con le persone. Mi ricordo di Ayman, che impacciato e
scioccato, si era avvicinato alle macerie della sua casa assieme ai
figli e aveva cercato di sorridere davanti ai fotografi.
Ed ora
per Ayman si è ripetuta la stessa identica tragedia. L’esercito
israeliano ha demolito nuovamente la sua casa che aveva ricostruito con
tanto sforzo prendendo in prestito 20.000 shekel (equivalente di 4000
euro). Una politica, quella delle demolizioni, che ormai per Israele è
diventata pratica quotidiana. Pochi giorni prima, sempre nella Valle del
Giordano, un intero villaggio, Hammamat Al-Maleh, era stato raso al
suolo.
“Che
ne sarà di me ora? Tutti vengono qui, mi fotografano e mi promettono
aiuto…ma da marzo nessuno mi ha aiutato, mi son dovuto ricostruire tutto
da solo, ed ora, nuovamente, devo ricominciare”.
“E i bambini come stanno? Dove sono?” gli chiedo
“Sono dai vicini, stanno bene, ridono, giocano. Per fortuna ci sono i bambini. Hamdulillah”. Sorride.
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