Il nuovo motore di ricerca di Facebook: la più vasta invasione della privacy mai vista

 


l motore di ricerca Graph Search: la più vasta invasione della privacy mai vista
di Ari Melber – 29 gennaio 2013
Eccovi una delle leggi ferree di Internet: l’accento di una rete sociale sulla monetizzazione del proprio prodotto è direttamente proporzionale alla perdita di riservatezza dell’utente.
A un estremo ci sono reti come Craiglist e Wikipedia che perseguono profitti relativamente limitati e garantiscono un anonimato e una riservatezza quasi assoluti. All’altro estremo dello spettro c’è Facebook,  una società da 68 miliardi di dollari che cerca costantemente modi per monetizzare i propri utenti e i loro dati personali.
Il più recente programma di Facebook, Graph Search, può essere la più vasta violazione della riservatezza mai vista da parte della società.
Facebook ha annunciato Graph Search a metà gennaio, ma non lo ha ancora lanciato ufficialmente. Secondo i materiali della società e alcuni rapporti indipendenti, tuttavia, il programma spalanca il deposito di informazioni personali di Facebook per consentire le ricerche e lo sfruttamento dei dati [data mining] di un vasto segmento del miliardo di utenti di Facebook. Gli utenti che scelgono l’opzione “pubblico” nel loro profilo stanno per essere esposti al più vasto 
pubblico mai esistito.
Facebook lo considera il futuro. In un video di annuncio del programma, Mark Zuckerberg, fondatore e direttore generale della società, promuove Graph Search come uno dei tre pilastri centrali dell’”ecosistema Facebook”.
Gli incentivi finanziari sono chiari. Google, con la sua dimensione tripla di quella di Facebook, realizza la maggior parte delle sue entrate mediante pubblicità nelle ricerche. Così mentre le società ospitano i due siti più visitati degli Stati Uniti, Google spreme più soldi e in meno tempo dai suoi utenti. La ricerca offre a Facebook un modo per vendere di più ai suoi utenti attivi e, naturalmente, per vendere i suoi utenti ad altri. E’ qui che entra in gioco Tom Scott.
Scott, un programmatore inglese ventottenne, burlone ed ex candidato politico – è stato in lista in una piattaforma “Pirata” per smantellare le tasse sul rum – ha lanciato la sua contestazione anticipata di Graph Search. Il suo nuovo blog, “La verità su Graph Search di Facebook” utilizza una versione beta del prodotto per rivelarne il lato oscuro.
Con pochi click Scott mostra come Graph Search rivela i nomi veri e altre informazioni identificative per ogni genere di combinazione problematica, dall’imbarazzante all’ipocrita alle Liste dei Nemici prefabbricate per i regimi repressivi. Le sue ricerche includono madri cattoliche in Italia che hanno dichiarato una preferenza per i preservativi Durex e, più sinistramente, residenti cinesi che hanno membri della famiglia che amano il Falun Gong (ha cancellato i nomi veri, ma presto chiunque potrà lanciare queste ricerche).
“Le burle su Graph Search sono un buon modo per allarmare le persone e indurle a controllare le proprie impostazioni relative alla riservatezza,” dice Scott, che era stato incluso a caso in un campione di prova per l’accesso anticipato al programma. “Non sono sicuro di sostenere tesi più approfondite sulla riservatezza,” ha dichiarato a The Nation. Può essere questo che ha reso così efficace lo spensierato tentativo di Scott. 
Nel giro di pochi giorni dal lancio il blog di Scott è diventato, sì, virale. Afferma di aver attirato più di un quarto di milione di visitatori, grazie a una vasta gamma di attenzione della rete, e ha attizzato un maggior controllo di Facebook.
Mathew Ingram, scrittore di tecnologia e fondatore del congresso sulla rete digitale, sostiene che   i risultati della ricerca di Scott evidenziano il rischio di qualcosa di più della “riservatezza” [privacy] tradizionale. Alcuni pragmatici e difensori di Facebook sottolineano che le informazioni di questi risultati di ricerca sono già resi disponibili dagli utenti, così sarebbero questi ultimi da critica e non la tecnologia. (Sapete, Facebook non uccide la riservatezza, la uccide la gente). Ma Ingram contesta questo ragionamento evocando un paradigma del filosofo Evan Selinger, che sostiene che queste questioni, in realtà, si scontrano con i presupposti e i confini dell’oscurità digitale.
“Essere invisibili ai motori di ricerca accresce l’anonimato,” scrive Selinger. “Lo stesso dicasi per l’uso delle impostazioni della riservatezza e per gli pseudonimi, [e] poiché poche rivelazioni in rete sono davvero confidenziali o altamente pubblicizzate, la parte del leone della comunicazione sulle reti sociali ricade nell’esteso continuo dell’oscurità: una gamma che spazia dal completamente celato al totalmente evidente.”
Il motore di ricerca di Facebook è un altro passo nel suo lungo disegno di promettere “un ambiente sicuro e affidabile” per una condivisione potenziata – parole di Zuckerberg – spalancando al tempo stesso quello Spazio Sicuro al miglior offerente. Diventano allora cruciali l’accesso a e il contesto di quello spazio. Dopotutto, molti acconsentirebbero a condividere singoli frammenti di informazioni personali separatamente, mentre recalcitrerebbero a diffondere un dossier di tutte quelle informazioni assieme. La distinzione riguarda più i principi dell’oscurità e dell’accesso che la riservatezza binaria – un concetto che è svanito con il proliferare delle reti sociali – e riceve sostegno anche dalla letterature sui servizi d’informazione e sullo spionaggio. a CIA, ad esempio, ha da lungo tempo aderito alla Teoria del Mosaico per la raccolta di informazioni. L’idea è che mentre frammenti apparentemente innocui di informazione non hanno valore se considerati singolarmente, quando messi insieme possono formare un’informazione olistica significativa. La Marina ha spiegato una volta l’idea in una dichiarazione sulla segretezza governativa che, se ci si riflette, potrebbe applicarsi al vostro profilo Facebook:  a volte “pezzi apparentemente innocenti di informazione, quando assemblati, possono rivelare un quadro compromettente.”
Gli incentivi di Facebook sono, quasi sempre, di continuare ad assemblare le informazioni e a svelare quel quadro.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://www.zcommunications.org/why-graph-search-could-be-facebooks-largest-privacy-invasion-ever-by-ari-melber
Originale: The Nation

traduzione di Giuseppe Volpe 
 Il nuovo motore di ricerca di Facebook: la più vasta invasione della privacy mai vista

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