Giorgio Gomel : 29 novembre 1947 -


 

L’immobilismo del governo di Israele in questi ultimi anni, apparente nella mancanza sia di qualsiasi iniziativa autonoma verso i palestinesi sia di una qualche reazione positiva verso l’offerta di pace e di normali rapporti avanzata da tempo dalla Lega Araba, è degenerato in un isolamento politico via via più acuto, con le aggravanti dell’inasprirsi delle tensioni con Turchia ed Egitto, un isolamento pericolosamente autodistruttivo per Israele.
Il rifiuto di Netanyahu di avviare negoziati seri con l’ANP ha costretto i palestinesi a muovere verso l’atto unilaterale di costruire dal basso un embrione di stato - che il primo ministro Fayad persegue tenacemente da tempo - e di ottenere il riconoscimento dell’ONU, come stato non-membro, un anno fa presso il Consiglio di sicurezza, oggi presso l’Assemblea generale.
Tutto ciò è una sconfitta per tutti, e per coloro, come noi di Jstreet-USA e JCall-Europa, che pensano che una soluzione del conflitto fra le due parti in lotta frutto di un difficile ma onesto negoziato, secondo il principio di “due stati per due popoli”, sia una necessità pragmatica e irrinviabile sia per gli israeliani che per i palestinesi.
E così siamo giunti in questi giorni alle reazioni esagitate di Netanyahu: dalla chiusura dei fondi derivanti dai dazi all’importazione che Israele, in base agli accordi di Oslo, trasferisce all’ANP, alla decisione di espandere le colonie ebraiche nella zona che connette Maale Adumim a Gerusalemme - che impedirebbe un minimo di continuità territoriale del futuro stato di Palestina e lo separerebbe da Gerusalemme est - fino alle minacce di annullare gli stessi accordi di Oslo e di annettere parte della Cisgiordania occupata.
L’Assemblea generale ha votato con ampia maggioranza in favore dell’ammissione. L’Europa si è divisa, fra sostegno e astensioni. Il governo israeliano si è opposto accanitamente al voto. Eppure Abu Mazen, come ha confermato in un’intervista rilasciata di recente a un canale TV israeliano, accetterebbe uno Stato palestinese nei confini di prima del 1967, con scambi concordati di territori con Israele e Gerusalemme est come capitale del nuovo Stato - le questioni dei rifugiati e del Luoghi sacri sarebbero destinate a futuri negoziati. Il conflitto fra israeliani e palestinesi diverrebbe un conflitto più “normale”, territoriale fra due stati, invece che fra l’occupante e un movimento ancora segnato dall’eredità guerrigliera dell’OLP e dalle istanze irredentiste dei profughi della diaspora palestinese. Inoltre, darebbe forza ad Abu Mazen, unico interlocutore oggi possibile per Israele e reso impotente dalla guerra fra Hamas e Israele nella striscia di Gaza, nel dimostrare all’opinione pubblica palestinese che con l’azione non violenta e la trattativa si ottengono risultati tangibili sul campo, e non con la pratica terroristica di Hamas e degli altri gruppi estremisti. Infine, il riconoscimento di uno Stato palestinese sarebbe il compimento concreto della risoluzione 181 dell’ONU del 29 novembre 1947 - una coincidenza di date che colpisce - che prevedeva la creazione di uno stato ebraico e di uno stato arabo entro i confini della Palestina-Eretz Israel. Per Israele, ciò sarebbe il riconoscimento da parte della comunità delle nazioni, inclusi finalmente i paesi arabi e islamici, delle frontiere scaturite dalla guerra del 1948 e della sua stessa legittimità.
Giorgio Gomel
   

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