Amira Hass : Due anni di Primavera Araba: Tunisi, Cairo...Ramallah?
La spinta alla Primavera Araba è venuta dai giovani nelle strade ma sembra che abbia scansato West Bank e Gaza. Haaretz va a cercare i Palestinesi che parlano ancora di rivoluzione.
di Amira Hass
“Va a testa alta poiché sei un Palestinese”. Questo era lo slogan ufficiale di Fatah per le elezioni amministrative nella West Bank. Il messaggio imitava il canto intonato dai dimostranti di Piazza Tahir al Cairo: “Va a testa alta poiché sei un Egiziano”. La versione Palestinese a sua volta è stata sulle labbra dei giovani: per esempio quando essi manifestavano contro l'intenzione da parte del Presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas di incontrare a Ramallah Shaul Mofaz. Per contrasto, durante un raduno di Hamas avvenuto ai tempi dell'Operazione Pilastro di Difesa il mese scorso, i manifestanti intonavano una variante del principale appello Arabo: “La gente vuole che i missili vengano lanciati”, e ciò non per fare dell'ironia sui desideri della gente di Israele.
Raduno di Palestinesi a Ramallah in appoggio alla rivolta Egiziana nel febbraio 2011. “I ragazzi sono assai confusi, ma sanno che devono fare qualcosa” dice Hassan Ayoub. Foto Reuters
Nel corso dei primi giorni della rivoluzione del 2011 in Egitto, quando piccoli gruppi di Palestinesi chiesero di organizzare manifestazioni di sostegno, sia le autorità di Hamas a Gaza che quelle di Fatah nella West Bank tentarono di scoraggiarle. Non si aspettavano che il presidente egiziano Hosni Mubarak sarebbe caduto così presto ed avevano timore di guastare i rapporti con il suo regime.
Un gruppo di giovani, che aveva cominciato ad organizzarsi già prima delle rivoluzioni e che intendeva scuotere l'artificiale normalità di Ramallah, dovette arrivare a capire nel modo usuale quali fossero le posizioni delle autorità, ricorda Bssam (non è il suo nome vero): “ Nel corso della manifestazione di sostegno al popolo Egiziano, uno dei nostri teneva una bandiera egiziana e venne bastonato dal personale della sicurezza. Quando manifestammo a Manara Square (a Ramallah), dopo che avevamo comunicato alla polizia ora e luogo, venne fuori che - guarda che coincidenza - il movimento Fatah aveva organizzato un presidio di sostegno ai prigionieri Palestinesi in Israele, esattamente nello stesso luogo.”
Nel periodo in cui i Palestinesi stavano incollati alle emissioni dirette da Tunisia e poi dall'Egitto, essi si sentirono fieri nel sentire i giovani rivoluzionari di laggiù che qualificavano se stessi e le loro manifestazioni con il termine di 'intifada'. Nella scala regionale dei popoli che si sono sollevati contro gli oppressori, i Palestinesi sono senza dubbio al vertice della lista. Nasce dunque una questione: Per quale motivo la intifada Araba non ha toccato i Palestinesi? Bassam, che è appena sotto i trent'anni, appartiene ad un gruppo di giovani Palestinesi formatosi prima e durante le rivoluzioni. Il gruppo costituisce il nucleo di diversi raggruppamenti organizzati di giovani che da allora sono andati rafforzandosi sotto nomi diversi. Uno di questi è “Palestinesi per la Dignità”, il quale sfida la proibizione non scritta di fare manifestazioni di fronte al palazzo del governo, la Muqata (quartier generale di Abbas)
Dice Bassam che, all'inizio, alcuni del suo gruppo non si aspettavano che le rivoluzioni in atto nella regione avrebbero suscitato un immediato e radicale cambiamento tra i Palestinesi: “Siamo a fronteggiare due livelli di oppressione – l'autoregolamentazione palestinese nella West Bank ed a Gaza, e l'occupazione israeliana. Un evidente ostacolo sta nel fatto che è assai facile criticare dei giovani come noi dicendo:” Che state facendo, volete essere traditori e collaborazionisti con il nemico? Voi dovete puntare la vostra attenzione sull'occupazione e non sul regime Palestinese.”
“Penso che arrivammo a capire che nel nostro caso la situazione si sarebbe evoluta in modo assai diverso,” aggiunge Bassam. “Di conseguenza decidemmo di concentrarci su aspetti che mettessero in relazione i due livelli - quali il coordinamento della sicurezza, e la questione dei prigionieri politici che vengono imprigionati sia nelle prigioni israeliane che in quelle dell'Autorità Palestinese o di Hamas.”
Smetterla con le divisioni
Nel corso di una manifestazione che venne brutalmente repressa da agenti della sicurezza Palestinese (e su cui è stata immediatamente costituita una commissione di inchiesta), ho sentito uno dei giovani che diceva infuriato ad un suo compagno: “Per prima cosa occorre liberarsi del sulta [Autorità Palestinese] e poi degli Ebrei.” Notando la mia presenza, abbozzò un confuso sorriso. Ciò forse perché la sua osservazione creava la falsa impressione che lui credesse che tali liberazioni potessero avvenire in un breve periodo e che alcune diecine di giovani fossero in grado di realizzarle. Nel contempo tale commento riflette un senso della propria importanza che ha cominciato ad emergere tra i giovani Palestinesi nel risveglio di rivoluzioni innescate da Tunisini ed Egiziani che avevano loro stessa età. Bassam rammenta che quando lui ed i suoi coetanei partecipavano a discussioni politiche, altri più anziani intenzionalmente evitavano di ascoltare le loro opinioni. Invece poi, quando le rivoluzioni presero piede, “dieci minuti dopo l'inizio delle nostre riunioni, stavano già a chiedere il nostro punto di vista . D'un tratto dunque esistiamo ?”
Questi gruppi tuttavia non cercano di abbattere le barriere di classe. In quanto appartenenti a classi medie o medio alte - molti cresciuti in famiglie che sostengono la PA e il PLO - non hanno creato efficaci collegamenti con i giovani dei villaggi e dei campi profughi. Bassam promette che ora stanno lavorando cercando di correggere tale situazione.
Il fatto la gioventù divenga una “scoperta” indica a quale punto lo scenario politico PLO/PA sia stato stagnante negli ultimi 20 anni. La prima intifada fu iniziata dai giovani alla fine del 1987. E tutte le organizzazioni PLO furono in origine fondate da studenti e altri giovani. Il sociologo Jamil Hilal, nato a Beit Sahur, ha lavorato per dieci anni per il Centro Ricerche PLO a Beirut prima di far ritorno nel Paese nel 1995. Ebbe incontri con Bassam ed i suoi amici in cui raccontò loro della organizzazione dinamica della sua propria esperienza, e di quello che era stato un nome simbolico per tutti i Palestinesi – il PLO. Oggi il PLO è legato strettamente all'Autorità Palestinese; insieme ad altre organizzazioni, PA compresa, è divenuta un'entità pietrificata, sprovvista di vitalità intellettuale e generazionale.
Hilal ritiene che i nuovi gruppi giovanili di Ramallah avessero grandi attese all'inizio delle rivoluzioni Arabe, in particolare riguardo alla prospettiva di concludere rapidamente le divisioni interne tra Palestinesi. Insieme a giovani di Gaza costituirono un gruppo denominato 15 Marzo. Il gruppo richiedeva la fine delle divisione politica tra Gaza e West Bank e la duplicazione dell'autorità di governo. Essi fecero dimostrazioni, studiarono le forme di governo, fecero scioperi della fame e subirono arresti. I due movimenti rivali a loro volta affermavano di essere essi stessi per la fine delle divisioni politiche tra Gaza e West Bank, ma le divisioni continuarono.
Il fatto che Bassam eviti di nominare 15 Marzo non è un caso: “La divisione reale non è tra Hamas e Fatah,” dice. “In fondo entrambe pensano alla stessa maniera [sul ristabilire i confini del 1967. A.H.]. La divisione è tra loro e coloro che guardano oltre West Bank e Gaza, e che dicono noi siamo i Palestinesi del 1947, prima che tutto succedesse”.
Una delle ragioni per cui un gruppo di giovani non fu in grado di sollevare le masse, dice, deriva dal discorso fatto dalla PA per tutto il corso degli ultimi 20 anni: “Noi viviamo in un luogo dove perfino i Palestinesi considerano Haifa come “Israele”, le previsioni del tempo non comprendono mai Nazareth, e dove i tre giornali quotidiani non comprendono mai la cronaca di Nazareth, Shfa'amr e Lyd. La politica dei nostri partiti, e le loro narrazioni, creano un modo di pensare tra noi che è difficile ribaltare”, dice.
L'opposizione alla Autorità Palestinese di conseguenza si esprime attraverso una rigida presa di distanza dal discorso dei due stati, e attraverso un dietrofront rispetto al discorso del PLO degli anni '60 - un periodo, quello, in cui l'esistenza di una società Ebraico-Israeliana non era stata ancora presa in considerazione.
Dice Halil che i Palestinesi non hanno una “Piazza Tahir” ove possano radunarsi milioni di persone. La situazione reale creata dalla divisione, dice, è decisiva non solo riguardo ai rapporti tra Gaza e West Bank, ma anche dentro la West Bank [dove prevalgono le divisioni tra aree “A” e dove proliferano i posti di blocco – A.H.]. Nel corso delle rivoluzioni nel mondo Arabo, piazze come Tahir hanno costituito luoghi di incontro fondamentali che hanno facilitato una educazione politica delle masse rapida ed intensiva.
Nel caso Palestinese, la mancanza di una piazza di tal genere non costituisce un fatto recente: nel 1987 non c'era una Piazza Tahir palestinese. Ciò malgrado la prima intifada esplose in un momento in cui Israele (per ragioni economiche) ancora rispettava il diritto dei Palestinesi di muoversi liberamente dell'intero paese. Nel corso dei precedenti 20 anni i Palestinesi avevano potuto vivere l'esperienza di vivere in un paese, senza ostacoli invalicabili all'interno. Il restringimento degli spazi e la loro parcellizzazione dal 1991 in poi in ritagli di territorio separati gli uni dagli altri ha esercitato un'influenza negativa sulla creatività rivoluzionaria. Dice Bassam: “Abbiamo due gruppi di giovani : [quelli che] sono politicamente colti, che nel passato erano stati vicini a partiti politici. Però per lo più questi sono poco creativi. Mentre abbiamo poi quelli creativi, e che sono meno acculturati politicamente, che hanno studiato all'estero ed hanno grandi idee, ma che sono deboli come capacità di comunicazione.”
A Gaza le rivoluzioni Arabe ed il relativo alleggerimento dell'assedio hanno influito sui giovani attivisti di Hamas, dice un membro di Hamas della “seconda” generazione. E aggiunge:”I giovani hanno concluso che il cambiamento può ottenersi non solo con mezzi militari. E' anche più facile per loro, a differenza che nel passato, uscire dalla striscia di Gaza dal valico di Rafah. Hanno scoperto un nuovo mondo.”
Queste considerazioni contraddicono le impressioni di Bassam. Lui sostiene che, dopo la guerra a Gaza, l'idea che si è andata rafforzando tra i giovani Palestinesi della West Bank - compresi i giovani come lui stesso - è che solo la lotta armata può dare dei risultati. Per le persone della sua età, dice Bassam, la lotta popolare nella sua forma attuale “sa troppo di occidentale”.
Hassan Ayoub, che insegna relazioni internazionali all'università An-Najah National di Nablus, ritiene che i giovani siano stati incoraggiati dai risultati dell'ultima guerra, e dalla perseveranza mostrata dalle organizzazioni armate Palestinesi. Tuttavia, la sua opinione è che i giovani sappiano bene che lo stesso modello non può venire replicato nella West Bank. Ayoub, nato nel campo profughi di Askar e già attivista politico del Fronte Democratico durante la prima intifada, dice: “I ragazzi sono assai confusi, ma sanno che devono fare qualcosa. Sono cresciuti in una situazione in cui di fatto le prospettive di un confronto sull'occupazione Israeliana sono assai marginali. Sono nati all'interno di un processo di depoliticizzazione, che è stato l'altro aspetto delle politiche messe in atto da Abbas e Salam Fayyad [Primo Ministro Palestinese] – dove la politica era di agire come ogni altro stato.”
Negli anni che hanno seguito gli accordi di Oslo, dice Ayoub , vi è stato un processo graduale di disintegrazione sociale. La solidarietà interna è venuta meno; non vi è stato coinvolgimento nella lotta dei villaggi contro il muro di separazione; e “quando l'esercito invade Nablus est e Nablus ovest, la gente resta seduta al caffè, come se tutto ciò se fosse cosa normale. Io la chiamo 'Ramallizazione ' di Nablus – fingere che tutto sia normale.” Egli nota tuttavia che “recentemente si avvertono segni di cambiamento – specie dopo la guerra di Gaza.”
“Le rivoluzioni hanno creato una dinamica che ci permette di coltivare di nuovo la speranza,” dice Hilal. E Bassam aggiunge che “ anche se le rivoluzioni hanno bisogno di tempo, ed è troppo presto per tirare delle somme, esse hanno, in primo luogo, insegnato a noi che il cambiamento è possibile.”
(tradotto da Claudio Lombardi
per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus)
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