Gideon Levy : israele non è cresciuto dall'ultima guerra di Gaza



18.11.2012
http://www.haaretz.com/opinion/israel-hasn-t-grown-up-since-the-last-gaza-war.premium-1.478655?block=true 
 
Israele non è cresciuto dall’ultima guerra di Gaza

I palestinesi si cimentano in tre diversi modi di affrontare la questione, le armi, la diplomazia e la resistenza non violenta, ma Israele dice no a tutti tre.
 

di Gideon Levy  
Il popolo palestinese vuole liberarsi dall’occupazione. Cose che capitano. Ma come riuscirci? All’inizio ha provato a non fare nulla. Per vent’anni, i palestinesi sono rimasti immobili, ma non è servito a niente. Poi hanno provato con le pietre e i coltelli della prima Intifada. Ma non hanno ottenuto nulla, a parte gli accordi di Oslo, che non hanno modificato la natura dell’occupazione. Ci hanno riprovato con la seconda Intifada, ma ancora nulla. Ci hanno provato con la diplomazia. Niente ancora, l’occupazione prosegue come prima.
                      


Oggi, il popolo palestinese è diviso: con una mano lancia razzi Qassam e con l’altra chiede aiuto alle Nazioni Unite. Israele le schiaccia entrambe. Fra i due, i palestinesi ci provano anche con la resistenza non violenta, ma in cambio ricevono colpi in faccia. E naturalmente non cambia niente. I palestinesi cercano di affrontare la questione in tre modi diversi, le armi, la diplomazia e la resistenza non violenta e Israele continua a dire sempre di no. 
Ma cosa vogliono davvero gli israeliani? Niente. Vogliono calma. Vogliono che l’occupazione vada avanti indisturbata. Quasi tutti i politici israeliani sono convinti che non ci sia soluzione al problema, e che in ogni caso non dobbiamo preoccuparci. I palestinesi non esistono. Il problema non esiste. Abbiamo lasciato la Striscia di Gaza, la Cisgiordania è tranquilla, sosteniamo la soluzione dei due Stati. Cosa vuole Israele dai palestinesi? Che stiano tranquilli. Ma i palestinesi vogliono liberarsi dall’occupazione. Cose che capitano.
Israele si presenta a questa nuova fase del conflitto negando più che mai l’esistenza del popolo palestinese. Dal ministro degli esteri Avigdor Lieberman e il primo ministro Benjamin Netanyahu al presidente di Yesh Atid, Yair Lapid, e alla presidentessa del Labor Party, Shelly Yachimovich, tutti stanno cercando di seppellire le teste dei cittadini israeliani sotto la sabbia e convincerli che la questione non esiste, che il problema non è un problema - fino a quando non gli scoppierà un Qassam in faccia. Hanno impostato una campagna elettorale sul prezzo del formaggio fresco in fiocchi, fino a che non si è fatto vivo Hamas a ricordare loro della sua esistenza nell’unico modo in cui poteva, che non porterà entrambi da nessuna parte.
Ma allora, che cosa dovrebbe fare Israele, viene chiesto a chi pone la domanda, evitare l’uso della forza? Fare un passo indietro quando la vita degli israeliani del sud è diventata un inferno? La verità è che non ha senso chiedersi queste cose ora quando tutte le altre opzioni hanno trovato un netto rifiuto. Il problema lo si sarebbe dovuto porre riguardo alle altre proposte che sono fallite. Oggi Israele è costretta a scegliere la solita via, che ci è familiare fino alla nausea: altri omicidi mirati ad alto livello, un altro colpo di grazia, del tipo che conosciamo e amiamo.
E’ vero, siamo un po’ cresciuti dall’Operazione Piombo Fuso. Richard Goldstone meriterebbe un ringraziamento al riguardo , anche se lo negheremmo. L’esercito israeliano non ha ucciso 250 agenti della polizia palestinese in un sol giorno, e l’operazione relativamente chirurgica in corso impallidisce, almeno per ora, di fronte ai crimini di quella precedente. Anche la retorica è un po’ meno vergognosa. I politici e i generali si sfidano di nuovo in TV e alla radio a chi appare più assetato di sangue, ma lo fanno con meno ferocia. Il parlamentare Benjamin Ben-Eliezer si vanta di essere stato colui che ha “eliminato Shehadeh”, riferendosi a Salah Shehadeh, il comandante di Hamas che è stato ucciso da una bomba dell’aviazione israeliana nel 2002, quando Ben-Eliezer era ministro della difesa. Il ministro del fronte interno di difesa Avi Dichter consiglia che la Striscia di Gaza sia “riformattata”, mentre l’ex comandante del GOC del sud Yoav Galant una volta di più ci rammenta quanto siamo stati fortunati che non sia stato posto a capo dello Stato Maggiore. L’esercito ha adottato un nuovo termine per descrivere che cosa intende fare ai vertici militari di Hamas: “decapitazione”. Il parlamentare Miri Regev (del Likud) dichiara di opporsi alla “soluzione” dei due-Stati, facendo allo stesso tempo un abominevole errore grammaticale. Il corrispondente del Canale 2 per la difesa promette a Gaza “una notte interessante”. Di nuovo studiosi e intellettuali chiedono di tagliare acqua, viveri ed elettricità alla Striscia di Gaza. Il parlamentare Yisrael Katz (del Likud) supera tutti in mostruosità: Una sola lacrima di un bambino ebreo è sufficiente per giustificare la cacciata dell’intera popolazione della Striscia di Gaza. Ministro dei trasporti o no, il capo del partito fa cenno di assenso.
Questo, a quanto pare, è il solo fuoco da bivacco tribale che ci è rimasto, ora che non ce lo procurano più le partite del Maccabi Tel Aviv e il concorso di canzoni in Eurovision. Ma anche queste chiacchiere disumane sono meno scioviniste rispetto al passato. Chissà, forse stiamo cominciando a capire che bisogna fare qualcosa “una volta per tutte”, come dicono gli israeliani. Ma dobbiamo anche capire che la soluzione non passa per l’uso delle armi. Possiamo provare a dialogare con Hamas, accettare l’iniziativa di pace dei sauditi, perfino discutere sulla manciata di punti percentuali che sono rimasti da definire nei negoziati tra l’ex primo ministro Olmert e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas; qualsiasi cosa, ma non la guerra. E’ ora di dare spazio alla diplomazia e di mettere fine all’occupazione. Il tempo delle bombe è finito.

(tradotto da mariano mingarelli)

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