Domande e risposte a Noam Chomsky



Di Noam Chomsky
e David Samuels

26 novembre 2012

Lei è cresciuto in un ambito familiare che era pesantemente influenzato da Ahad Ha’am, [7] il padre del Sionismo culturale.

Mio padre era un grande simpatizzante di Ahad Ha’am. Ogni venerdì sera, leggevamo l’ebraico insieme e spesso la lettura era costituita dai saggi di Ahad Ha’am. Era il personaggio fondatore di quello che  è stato chiamato sionismo culturale, intendendo  dire che ci dovrebbe essere una rinascita sionista in Israele, in Palestina che dovrebbe essere un centro culturale per il popolo ebraico. Scriveva in ebraico, il che era insolito, perché allora l’ebraico era la lingua della preghiera e della Bibbia. Considerava gli Ebrei principalmente come una comunità della Diaspora  che aveva necessità di un centro culturale che avesse una presenza fisica, ma era ben disposto verso i palestinesi. Infatti scrisse dei saggi molto aspri dopo una visita in Palestina, nei quali criticava il modo in cui i nuovi coloni trattavano la popolazione locale. Diceva:” Non si possono trattare le persone in qual modo”. E anche per motivi pratici non voleva creare dei nemici. Un centro culturale ebraico in Palestina era il suo ideale.
Non giurerò sulla reale esattezza di questo, perché sono ricordi dell’infanzia, ma mi ricordo di avere letto insieme a mio padre un saggio che Ahad Ha’am aveva scritto su Mosè. L’idea fondamentale era che esistono due Mosè – il primo è il Mosè storico, se mai è esistito, e l’altro è l’immagine di Mosè che è stata costruita e che ci è arrivata nel corso dei secoli e che occupa un posto importante nella mitologia nazionale.
Ahad Ha’am è stato un precoce difensore dell’idea che è poi diventata famosa grazie al [politologo marxista] Ben[Benedict] Anderson, quando ha scritto il suo libro su come le nazioni sono comunità immaginate.  Ha detto che c’è una comunità ebraica immaginata  (non credo che abbia usato questa parola), in cui Mosè ha un ruolo centrale e che in realtà non importa se ci fosse un Mosè storico oppure no.
Fa parte del mito di una nazione, che è una versione sofisticata di ciò a cui  [l'autore] Shomo Sand [8]voleva arrivare. Sand ridimensiona il Mosè storico, ma dal punto di vista di Ha’am, questo non fa alcuna differenza.

Ha letto Nivi’im, i profeti, in ebraico, insieme a  suo padre?

La parola “profeta” è una pessima traduzione di un’oscura parola ebraica: navi. Nessuno sa che cosa significhi. Oggi, però, darebbero chiamati intellettuali dissidenti. Facevano analisi geopolitica, sostenendo che le azioni dei governanti avrebbero distrutto la società. E condannavano gli atti dei re crudeli. Chiedevano giustizia e misericordia per gli orfani e le vedove e così via.
Non voglio dire che fosse tutto bello. Gli intellettuali dissidenti non sono tutti belli. Si legge Sakharov  che talvolta è orribile.  Oppure Solzhenitsyn. I nivi’im erano trattati nel modo in cui gli intellettuali dissidenti vengono sempre trattati. Non erano lodati. Non avevano privilegi. Venivano imprigionati, come Geremia.  In quell’epoca c’erano intellettuali, “profeti”, che erano trattati molto bene. Erano  gli adulatori  della corte. Secoli dopo, sono stati chiamati “falsi profeti.”
La gente che critica il potere nella comunità ebraica è considerata nel modo in cui Ahab trattava Elia: sei un traditore. Si deve servire il potere. Non si può sostenere che le politiche che segue adesso Israele lo porteranno alla distruzione, il che è ciò che pensavo allora e penso ancora adesso.

Si è mai  immaginato come un navi, un profeta, quando da bambino leggeva quei testi, da solo nella sua stanza o il venerdì sera con suo padre?

Certo. Infatti il mio profeta preferito, allora e ancora adesso, è Amos. Ammiro particolarmente la osservazione che faceva di  non essere un intellettuale: dimentico l’ebraico ma: lo navi lo ben navi -
Io non sono un profeta, io non sono il figlio di un profeta, sono un semplice pastore. Ha quindi tradotto “profeta” correttamente. Sta dicendo: “non sono un intellettuale.” Era un semplice coltivatore e voleva soltanto dire la verità.  Ammiro questo atteggiamento.
La religione aveva un ruolo nella vita di casa sua? Sua mamma accendeva le candela per lo Shabbat? (it.wikipedia.org/wiki/Shabbat)

Facevano quelle cose – non so come lei sia stato cresciuto, ma i miei genitori facevano parte  della tradizione dell’Illuminismo (ebraico), la hashkalah, (http://it.wikipedia.org/wiki/Haskalah.
Quindi si mantengono i simboli, ma questo non implica avere una fede religiosa.

All’età di 10 anni sono arrivato alla conclusione che il Dio che di cui avevo appreso a scuola non esisteva.

Mi ricordo come lo ho fatto, lo ricordo molto bene. La famiglia di mio padre era ultra ortodossa. Venivano da un piccola città in qualche parte della Russia. Papà mi raccontava che erano regrediti s un livello inferiore a quello medievale. Non si poteva studiare, non si poteva studiare il russo. La matematica era fuori questione. Li andavamo a trovare durante le vacanze. Mio nonno aveva una barba lunga,  credo che non sapesse di trovarsi negli Stati Uniti. Parlava yiddish e viveva in un paio di condomini  di suoi amici. Eravamo lì per la Pesach,  (la Pasqua ebraica) notai che stava fumando. Ho chiesto quindi a mio padre perché poteva fumare. C’è un verso nel Talmud che dice: ayn bein shabbat v’yom tov ela b’inyan achilah. Ho chiesto: “Coma mai fuma?” ha risposto: beh, ha deciso che fumare equivale a  mangiare.” E ho avuto un lampo: la religione è basata sull’idea che Dio è stupido e che non riesce a capire queste cose.  Se le cose stanno così, non voglio più avere nulla a che fare con tutto questo.

E che cosa ha detto suo padre?

Ci stavo proprio pensando. Mi ha solo citato il verso e poi mi ha spiegato:”Pensa che sta mangiando.”
Suo padre, Zev, era uno dei grammatici importanti del secolo passato, e lei ha fatto i suoi primi lavori accademici sull’ebraico medievale. Le interessava qualche cosa della struttura della lingua o la aveva a disposizione essendo la lingua che si parlava a casa sua? Non era la lingua che si parlava in famiglia. Parlavamo inglese. I miei genitori non parlavano mai una parola di yiddish che era la loro lingua materna. Bisogna ricordarsi che in quell’epoca  c’era una vera kulturkampf  (battaglia  culturale) , negli anni ’30 tra la tendenza all’yiddish e quella all’ebraico. Non sentivamo quindi mai una parola  di Yiddish – neanche mia moglie – L’ebraico era la lingua che studiavamo. E poi quando sono diventato adolescente, mi sono immerso nei romanzi.
Lei è tornato all’ebraico per la sua tesi di laurea.

Quando sono andato all’università, ho dovuto fare una tesi del primo anno. Mi occupavo  di linguistica allora, e quindi ho immaginato: “Va bene, scriverò sulla lingua ebraica. E’ interessante.” Ho iniziato come mi avevano insegnato: trova un informatore, fai lavoro sul campo e fai una raccolta dei risultati. Ho iniziato quindi a lavorare con un informatore e dopo un paio di settimane mi sono reso conto che questo metodo era totalmente idiota. Mi sono detto: Conosco le riposte a tutte le domande. L’unica cosa che non so è  la fonetica, ma non me ne preoccupo. Ho lasciato andare l’informatore e ho iniziato a fare tutto da solo.
Il mio lavoro è stato più o meno influenzato dallo stile della grammatica ebraica e araba medievale.
Era analisi storica. Si possono però tradurre le idee fondamentali in una specie di interpretazione sincronica, una descrizione del sistema come esiste nella realtà, e da questo sono venuti i primi stadi della grammatica generativa, che nessuno ha considerato.

E quindi la sua tesi della grammatica generativa nelle sue fasi iniziali è  venuta fuori  dal suo studio dell’ebraico e dell’arabo medievali?
Sì, quando avevo forse 10 o 11 anni, stavo in realtà leggendo le  dimostrazioni  nella dissertazione di dottorato di mio padre  [9] che era sulla grammatica ebraica di David Kimhi, e poi ho letto articoli sulla storia della lingua e sulla filologia semitica. Quando sono andato all’università, ho cominciato a studiare l’arabo e sono andato abbastanza avanti.
E’ la stessa struttura di base, ma l’ebraico è basato su una distinzione di schema di radice vocalica: c’è una radice che non è un nome, ne niente altro  e non indica il plurale, o un tempo passato o altro. E’ una radice, di solito di tre consonanti, a parte due eccezioni, e si inserisce in qualsiasi grande gamma di diversi schemi  vocalici che determinano quale è la sua funzione  in una frase. E’ un verbo ? E’ un nome? Se è un verbo ed è una terza persona plurale, va d’accordo con qualche altro nome? Tutta la lingua si  crea da questo. E questo è il modo in cui lo ho trattato nel mio primo lavoro, che è circa il modo in cui è fatto nella grammatica tradizionale. Ora si fa in maniera diversa, a ragione o a torto.
Naturalmente la lingua ebraica moderna è molto diversa. Ho problemi a leggere l’ebraico moderno. Negli anni ’50, sapevo leggere di tutto. Non so quanta esperienza lei ha avuto dell’ebraico contemporaneo. E’ molto difficile.

Quando di recente  le è stato proibito l’ingresso in  Cisgiordania dal ministro degli esteri israeliano, ha parlato ebraico con le persone che la hanno rimandato in Giordania?

Avrei potuto farlo. Lo ho fatto in precedenza, ai controlli di sicurezza. Negli anni ’80, ho partecipato a una conferenza a Gerusalemme, e uscendo dal paese si deve passare il controllo di sicurezza. Eravamo in due, l’altro tizio era un amico che non penso fosse ebreo e gli hanno aperto la valigia  e controllato ogni cosa che c’era, hanno tirato fuori i suoi calzini sporchi. C’erano delle cose nella mia valigia che non volevo vedessero. Era il periodo della Prima Intifada, io ero riuscito un paio di volte  ad andare in dei luoghi durante il coprifuoco fino a quando eravamo stati presi dai soldati. Avevo trovato un contenitore per le granate che aveva il marchio del nome di un posto in Pensylvania e volevo portarmelo a casa. Avevo anche un sacco di opuscoli illegali che la sicurezza di Israele non scopre mai come siano in circolazione. Infatti erano dei bambini che saltavano sui tetti delle case a diffonderli.  Avevo quindi una raccolta di questi opuscoli che volevo portarmi a casa e speravo che non mi perquisissero. Quando è arrivato il momento dell’ispezione, la donna addetta alla sicurezza ha preso il mio passaporto e ha detto, “Oh, ha uno strano nome.” Ho detto: “Sì.” Mi ha chiesto: “Parla ebraico?” E così ho detto: “Sì”. Poi abbiamo continuato a fare una conversazione in ebraico. “Ha fatto visita ai suoi parenti, si è divertito?” E non si è mai preoccupata di guardare nella mia valigia.
C’erano dei non ebrei  nel mondo dei suoi genitori?

Praticamente no. Non c’erano neanche ebrei che parlavano Yiddish. Vivevano se non proprio in un ghetto fisico, di certo in uno culturale. I loro amici erano tutte persone impegnate nella rinascita della lingua ebraica e del sionismo culturale. Per caso avevo degli amici non ebrei, ma solo all’epoca della scuola.

Mi descriva Mikveh Israel, la sinagoga dove lei è cresciuto e dove suo padre ha insegnato per la prima volta.
Ebbene, Mikveh Israel [10] era in realtà sefardita, quindi sono cresciuto nella tradizione sefardita. Era una specie di sinagoga di elite a Filadelfia,  come la sinagoga portoghese di News York. Era sefardita perché i coloni originari erano ebrei sefarditi che venivano dall’Olanda. Avevamo quindi un rabbino olandese, in realtà di origine portoghese, e l’hazan  (un funzionario) veniva dal Marocco.
Abbiamo imparato tutti i rituali sefarditi, e la pronuncia e tutto quanto, sebbene tutti i membri della comunità venissero dall’Europa orientale. era una specie di elite ebraica, ma era anche il centro della piccola società ebraica orientata verso la rinascita culturale. Le persone erano o insegnanti, o rabbini, c’erano anche uomini di affari e altri,  ma condividevano tutti un interesse appassionato per la rinascita culturale ebraica.  Mio padre era il direttore della scuola. Mia madre gestiva gli incontri
di Hadassah (organizzazione femminile sionista in America, n.d.t.).

Anche sua mamma veniva da una famiglia religiosa?

E’ arrivata in America con la sua famiglia quando aveva 1 anno. Erano così religiosi che mi raccontava che quando era adolescente, e parlava con le sue amiche per strada, se vedeva suo padre che andava verso di loro, faceva attraversare la strada alle amiche, in modo da non dover avere l’imbarazzo che suo padre le passasse vicino e non la riconoscesse perché era una ragazza. Era una famiglia molto tradizionale. Naturalmente sono cresciuti qui, e i bambini hanno perso rapidamente l’ortodossia. Mio padre è arrivato nel 1917 e lui e mia madre hanno condiviso molti interessi ed esperienze.
Erano molto devoti. Mi ricordo degli amici di mio padre e di mia madre, un paio di donne che quando chiamavano un emporio  in città, insistevano a parlare ebraico, nella speranza di convincere i gestori ad assumere un centralinista di lingua ebraica. Tutti parlavano inglese. Era vera devozione. Come si fa a far rivivere una lingua morta?
E’ stato questo che la ha motivata a vivere a Israele? 

Mia moglie e io eravamo là nel 1953. Abbiamo vissuto per un po’ in un kibbutz, e  in realtà avevamo programmato di restarci. Sono ritornato e dovevo finire il mio dottorato. Pensavamo che ci saremmo tornati.

E’ stata l’idea dl kibbutz, o è stato il fatto di parlare ebraico, o che cosa?

E’ stato un fatto politico. Ero interessato all’ebraico, ma quella non è stata la forza trainante. Mi piacevano la vita del kibbutz e i suoi ideali. Direi che adesso sono abbastanza spariti, ma allora c’era uno spirito incredibile. Era una nazione povera, innanzitutto. Il kibbutz dove ero andato e che ho scelto per questa ragione, era in origine Buberita. [11](seguaci di Martib Buber, n.d.t.). Gli avevano dato origine  dei  profughi tedeschi negli anni ’30 e aveva un certo stile buberita. Era il centro delle attività  arabe di solidarietà nel Mapam, [12] (Un partito israeliano socialista-sionista). C’era molto razzismo, direi. Ci convivevo, ma era in particolare contro i Mizrahim (gli ebrei orientali, cioè quelli  provenienti dal mondo arabo, n.d.t.).
Quando lei pensa alle motivazioni di persone come i suoi genitori o di quelle che hanno fondato Mapam kibbutzim, non pensa che quelle motivazioni fossero intrinsecamente legate a un qualche desiderio di opprimere gli altri?

Allora ero oramai abbastanza grande da essere diverso dai miei genitori. Da quando ero un adolescente ero intellettualmente indipendente. Gravitavo verso i gruppi sionisti che non facevano parte del loro ambiente, come Hashomer Ha’tzair [13] (movimento giovanile ispirato al socialismo sionista, n.d.t.)

Mio padre è cresciuto nell’Hashomer.

Non ho mai potuto aderire all’Hashomer perché in quel periodo erano divisi tra stalinisti e trotzkisti, e io ero anti-leninista. Ero però nel quartiere, Siamo  andati in un kibbutz dell’Hashomer, il kibbutz Hazore’a [14]. E’  cambiato moltissimo. Non avremmo mai potuto  durarci. Era una specie di storia mista, e quindi fino al 1948 erano anti-stato. C’erano quelli che gravitavano verso o che erano impegnati in tentativi per una cooperazione arabo-israeliana della classe lavoratrice, e che erano a favore di una Palestina socialista con due nazioni. Queste idee oggi sembrano esotiche ma non in quella epoca. Il motivo è che il mondo è cambiato.
C’era però un elemento di oppressione  che potevo eludere.  Se conoscete la storia, sapete che i coloni più idealisti e anti-nazionalisti insistevano su una società ebraica chiusa; per esempio non si possono  assumere lavoratori esterni, cose di questo genere. Si può capire la motivazione. non volevano diventare quello che erano i primi coloni: proprietari terrieri che avevano mano d’opera araba economica. Volevano lavorare la terra. Tuttavia c’è qualche cosa di restrittivo in questo che poi ha portato alla politica dello stato e che in seguito è diventato molto brutto. Era quindi una specie di conflitto interno che non si è mai risolto.

Lei crede che il compito dell’intellettuale sia di dissentire, di dire la verità al potere, e di lottare con il potere. Ma c’è un modo   scomodo    in cui il risalto deciso che dà  all’opposizione al potere può portarla ad avere alcuni stranissimi  soci. Mi sorprende ancora vederla a una dimostrazione di Hezbollah in Libano. Hezbollah non è un’impresa devota al modello laico di libertà umana che lei appoggia. Che cosa ci faceva lì?

Noto che non sa che cosa facevo in Libano. Lei sa quello soltanto  che il sistema della propaganda ha detto che io abbia fatto.
Ecco perché lo chiedevo. Perché lei era lì?

Ero stato invitato in Libano dalla sinistra laica. Quelle erano i  miei rapporti e i miei incontri. In questo ultimo viaggio, ma anche nel mio precedente, ho passato molto più tempo con [il leader druso] Walid Jumblatt che con – (omesso il nome nel testo inglese).

E’un grande parlatore.

Lei lo ha incontrato?
Sì.

All’interno dello spettro libanese egli è forse il più aperto. Ma l’unica cosa che si cita è che io ero coinvolto con Hezbollah. O non si va affatto nel Libano meridionale, oppure ci si va in relazione a Hezbollah, perché sono loro a governarlo. Inoltre Hezbollah è considerato, perfino da persone come Jumblatt, come un movimento nazionale  di liberazione.  Nella mia visita più recente in Libano, (2010)  ho fatto una conferenza il 25 maggio [17] nella sede dell’Unesco a Beirut, organizzata dalla sinistra laica. Il 25 maggio è festa nazionale. E’ il giorno in cui Israele è stato  cacciato via dal Libano meridionale da Hezbollah.  (nel 2000, n.d.t.).
Ricordatevi che Hezbollah è il partito di maggioranza.

Hezbollah non è il partito di maggioranza in Libano.

Fa parte di una coalizione. Hanno vinto le scorse elezioni con il 53% dei voti. A causa del modo di distribuire i seggi, non ottengono la maggioranza in parlamento. Parliamo quindi fondamentalmente di una coalizione di maggioranza che governa quasi interamente il sud del paese. Può piacerle oppure no.
Ero stato in Libano prima della guerra del 2006. Era un periodo di grande eccitazione. Ho incontrato un sacco di gente, ho visitato i centri culturali del Libano meridionale. Volevo vedere che cosa era accaduto da allora.  Se ci si vuole tornare, bisogna andare sotto la guida di Hezbollah. Non c’è altro modo di visitare il paese.

Hezbollah è un’organizzazione altamente militarizzata che governa il Libano meridionale in un modo che non riflette certo gli ideali democratici laici.

E’ interessante che i Libanesi laici non avrebbero questo atteggiamento.
La maggior parte di essi considera Hezbollah come un’estensione dell’Iran.

No, non è vero

Credono che gli Iraniani stiano cercando  di fare a pezzi il loro stato.

I libanesi di estrema destra lo pensano, però  la persona che ha organizzato la mia visita era Fawaz Trabulsi, la figura principale della sinistra laica. E ha insistito che ci organizzassimo  tramite Hezbollah e non lo considerava in quel modo. Se si legge Rami Khouri  [18] non si può considerare in quel modo. Se si considera la destra ultra nazionalista, lo vedono in quel modo che dice lei. Ma quello non è il Libano.

Nella sua opera, ci sono due cose separate che lei ha scritto che accennano alla questione politica  dell’anti-semitismo che io considero insieme e che tento di conciliare. La prima era l’introduzione che lei ha scritto a un libro di Robert Faurisson, che è diventato noto per aver scritto due lettere a  e Monde dove nega che esistessero le camere a gas e sostiene che il suggerimento che esistessero faceva parte di un complotto ebraico o di una truffa ebraica.
No, in realtà è ancora altra propaganda. Si chiede perché appoggerei il diritto di libertà di parola di Faurisson?

La libertà di parola è una cosa. La negazione -

Per me tutto il problema è la libertà di parola. Si dà il caso che sia anti-stalinista e anti-nazista, quindi non penso che si dovrebbe garantire allo stato il diritto di determinare la verità storica e di punire la gente che se ne allontana. Questo è l’unico e solo problema. La cosiddetta introduzione era una dichiarazione che mi hanno chiesto di scrivere. Si chiama “Alcune osservazioni elementari sulla libertà di espressione.” Tratta di questo: la libertà di espressione.

Lei si interessava semplicemente del tentativo dello stato francese di censurare Frauisson e non le importava che cosa scriveva?
E’ più che censura. E’ determinare la verità storica. L’argomento in quel tempo, se lei legge davvero il titolo del suo memoriale, era: “Memoriale di difesa contro coloro che mi accusano di falsificare la storia.”

La critica che le fa  Alan Dershowitz [19] per il suo impegno con Faurisson, era incentrata sull’uso che lei fa della parola  “risultanze”   che secondo lui implicava che lei credesse che le rivendicazioni di Faurisson avessero qualche fondamento storico. 

Ma è proprio puerile!  Io posso parlare di Stalin e dire che ha presentato le sue risultanze o del Ku Klux Klan. Posso dire che la Società John Birch (un gruppo politico americano che sostiene gli anti-comunisti, n.d.t.) ha presentato le sue risultanze e che non valevano niente. Non significa niente. Questo è un tentativo disperato da parte di ultra-nazionalisti estremisti di indebolire qualsiasi analisi critica. “Risultanze” è una parola perfettamente neutra. Posso usarla parlando delle cose che scrive Alan  Dershowitz. In quanto al tentativo di cercare di  trasformare una difesa della libertà di parola in appoggio dell’idea che le camere a gas non esistevano, è realmente un tentativo disperato.


La seconda cosa di cui volevo parlare era la sua critica [20] uscita su Znet dell’articolo di Walt e Mearssheimere pubblicato sulla London Review of Books.  le sono stato grato, quando ho letto la sua critica, perché la cosa che mi rendeva più perplesso sul loro articolo era come una comprensione così semplice  del potere americano potesse guadagnarsi una qualche  adesione tra  gli intellettuali. La politica imperiale americana in Medio Oriente è determinata dai capricci di  una piccola cricca di ebrei? Da dove viene fuori questa roba?
E’ molto semplice. Ha mai studiato relazioni internazionali?

Per mia sfortuna

Walt e Mearssheimer sono quelli che si chiamano realisti. I realisti hanno una dottrina che dice che gli stati sono i protagonisti negli affari internazionali e seguono un qualche cosa che si chiama “interesse nazionale”, che è un ideale astratto che è indipendente dagli interessi del settore delle grosse aziende. Quello che vedono da quel punto di vista è che si suppone che gli Stati Uniti perseguano il loro interesse nazionale, e che sappiano quale è questo interesse. Il fatto che Intel e la Lockheed Martin e la Goldman Sachs non siano d’accordo con loro, è irrilevante.
Dal loro punto di vista, quindi, in un certo modo gli Stati Uniti non  perseguono quello che considerano come loro interesse nazionale in Medio Oriente. Ci deve quindi essere qualche fattore estraneo che li trascina via dal loro sentiero di innocenza e perfezione.

Lei fa quell’osservazione molto interessante alle fine della sua risposta, dove descrive la motivazione che sta dietro le loro asserzione come se derivasse dal desiderio di recuperare l’dea di Wilson dell’innocenza americana.
Non stanno tentando consapevolmente. L’innocenza americana  nella teoria delle relazioni internazionali.    Questo è ciò che significa la eccezionalità americana. Se leggete  i fondatori della teoria, come Hans Morgenthau, è molto chiara.  Hans era una persona intelligente, una persona molto rispettabile, tra parentesi. Ha scritto un libro intitolato The Purpose of America  [L'obiettivo dell'America]. Ha detto che il curriculum  storico non si conforma allo scopo dell’America, ma che non significa che non abbiamo uno scopo. Infatti dice: è come quando gli atei criticano la religione perché la gente fa delle brutte cose. Le verità sono ancora là, anche se il  curriculum  è in conflitto con esse. Questo è il fondamento della teoria delle relazioni internazionali.


Un altro commento che ha fatto sull’articolo di Walt e Mearsheimer era: Ebbene, chi dice che questo non ha funzionato?
Ha funzionato ottimamente. Penso che la stessa critica sia valida riguardo ad altre critiche della politica americana. Prendiamo per esempio le teorie del contraccolpo. Mi piace Chalmers Johnson, è una brava persona, ma sostiene che la politica degli Stati Uniti di insediare lo scià in Iran non ha funzionato, se considerate il contraccolpo. Non ha funzionato? Ha funzionato perfettamente per 25 anni! E’ un periodo lungo negli affari internazionali. Nessuno programma per periodi di 50 anni.

Lei concepisce lo stato di Israele come se avesse  una certa esistenza indipendente che gli deriva  dalla storia e dalla cultura ebraica, a parte il fatto di essere semplicemente uno strumento dell’impero americano.

Non è diventato uno strumento dell’impero americano, se questo è il termine giusto, fino a dopo il 1967. E’stata una scelta. E’ spesso fraintesa, ma nel 1971 Israele ha dovuto prendere una  decisione molto importante. Sadat aveva offerto un trattato di pace completa. In cambio ci si aspettava che si ritirassero dal Sinai. C’erano altre condizioni, ma non erano importanti. e ne hanno parlato e hanno deciso di non accettarlo, perché preferivano l’espansione nel Sinai. Se si fossero accordati con l’Egitto nel 1971, non ci sarebbe stato alcun problema di sicurezza. L’Egitto era l’unica forza araba importante. E a quel punto, una volta che si è deciso di sacrificare la sicurezza a favore dell’espansione, c’è bisogno di una superpotenza protettrice. Da questo deriva la dipendenza dal potere degli Stati Uniti.
All’epoca in cui scrivevo quella cosa, pensavo che le persone che si definiscono sostenitori di Israele in realtà appoggiano la sua degenerazione morale e la sua distruzione finale, E penso che era giusto, sfortunatamente.

E’ possibile che lei possa immaginare uno Stato di Israele che non agiva come un estensione del potere americano. E’ troppo tardi?

No, non credo. Diventa più difficile con il passare del tempo. Quando che ottengono di più, quando il ruolo dell’occupazione diventa più potente, questo influenza la cultura nazionale. Diventa più difficile districarsi da tutto questo. Devono affrontare il fatto – non gli piace farlo – che stanno diventando dei pariah in campo internazionale. Non a causa dell’anti-semitismo, ma perché sono l’unico stato che occupa un’altra nazione in violazione – evidente violazione della legge internazionale e degli ordini del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Non sono un sostenitore dell’occupazione israeliana della terra palestinese o dell’assassinio sanzionato dallo stato, ma trovo sempre un po’ strano quando la gente critica Israele proprio per gli abusi che fanno  ai posti di controllo, e poi si prende un giornale e si legge che 40 persone sono stare uccise per sbaglio da soldati statunitensi a posti di controllo in Afghanistan e che nessuno è stato punito. Facciamo saltare per aria gli invitati a feste nuziali con i missili lanciati dai droni sul Pakistan e talvolta diamo dei soldi alle famiglie in lutto, ma nessun americano è mai ritenuto responsabile. Sono arrivato a pensare che parte dell’indignazione per gli abusi che compie Israele ha alla base lo scopo inconscio di offuscare abusi ancora più evidenti che l’America commette direttamente, come faccenda di politica dello stato.
Che stiano uccidendo degli Afgani è la parte minore. Che vogliamo dire dell’invasione dell’Iraq e della sua distruzione? Uccidere centinaia di persone, renderne esuli milioni. Parte della cultura nazionale americana è che non guardiamo a noi stessi. infatti lei guarda che cosa scrivo su Israele, ma si tratta  in modo predominante degli Stati Uniti. Noi siamo però completamente responsabili di quello che fa Israele. Israele non è del tutto un satellite americano, ma quasi. Non potrebbero fare quello che fanno se non fosse per l’appoggio decisivo degli Stati Uniti.

Quando lei parla dei crimini di Israele sente di avere una responsabilità speciale di parlare apertamente, dato che viene da una tradizione ebraica specifica, o parla semplicemente da Americano?

Ci sono molti fattori, come sempre. Un fattore sufficiente è che gli Stati Uniti sono responsabili, ma naturalmente c’è molto di più. Il background.  L’infanzia. I rapporti emotivi. Gli amici. Ogni genere di cose. Ma questi aspetti personali sono piuttosto irrilevanti rispetto al problema fondamentale che è molto semplice: ogni contribuente statunitense è responsabile dei crimini di Israele. Non possono      senza il decisivo appoggio militare, economico, ideologico, e diplomatico degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno distrutto l’Iraq e naturalmente questo dovrebbe essere condannato duramente. Infatti mi impegno in questa condanna più  di quanto mi impegno a parlare di Israele. Nel caso della guerra del Vietnam, praticamente abbiamo distrutto tre nazioni che non si riprenderanno mai. La stessa cosa si può dire del Nicaragua, di Cuba. Andiamo avanti. Lo stesso si può dire del Cile. Questi sono i fatti sui cui dovremmo concentrarci. Israele è un sotto-caso di un problema più grande. Certo, secondo me sono fattori aggiuntivi.
Quei fattori aggiuntivi, cioè i suoi genitori, i suoi ricordi di infanzia, il suo senso di connessione emotiva…

E’ tutto qui, Non si può uscire dalla propria pelle.  Ma quando si arriva a parlare del problema morale, questo è indipendente dal proprio contesto personale.

David Samuels, redattore letterario di Tablet Magazine, è collaboratore di Harper Magazine e collabora di frequente con The New Yorker.

http://www.amazon.com/David-Kimhis-Hebrew-Grammar-Systematically/dp/0819707198

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/q-and-a-with-noam-chomsky-by-noam-chomsky
Originale: Tablet Magazine
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY -NC-SA  3.0


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