Possono, i palestinesi, boicottare gli aiuti internazionali?

The Guardian
18.10.2012
http://www.guardian.co.uk/global-development/poverty-matters/2012/oct/18/should-palestinians-boycott-international-aid


Possono, i palestinesi, boicottare gli aiuti internazionali?
Gli aiuti internazionali allo sviluppo in Palestina non hanno funzionato, milioni di persone continuano a soffrire nonostante i miliardi di dollari spesi. E' il momento che i palestinesi prendano il controllo della situazione.

di Nora Lester Murad


Quella degli aiuti è una grande industria globale il cui successo non è affatto scontato. Nonostante alcuni progressi, la povertà non è stata debellata, il cambiamento climatico non è stato arrestato e diritti non sono stati rispettati. Eppure la scarsità dei risultati è attribuita a problemi tecnici, e non vengono esaminate né prese in considerazione le carenze fondamentali nella politica degli aiuti. La Palestina ne è un esempio importante a causa dell'elevato livello di dipendenza dagli aiuti, i numerosi donatori internazionali e i milioni di palestinesi che hanno sofferto per decenni nonostante i miliardi di dollari spesi.
                          
palestinians-pass-near-an-009 Palestinesi passano vicino a un checkpoint israeliano. E’ l’occupazione il principale ostacolo allo sviluppo?
Sono stata delusa dagli aiuti allo sviluppo in Palestina da quando sono arrivata nel 2004 e ho trovato le ONG locali a caccia di finanziamenti internazionali con l’apportare modifiche i loro progetti, il diffondere le informazioni in inglese piuttosto che in arabo e con l'assunzione di personale supplementare per presentare relazioni finanziarie in valuta estera. In risposta a tutto questo, ho contribuito a fondare l'Associazione Dalia, una ONG palestinese che promuove l'autodeterminazione attraverso il controllo locale delle risorse. Gli articoli di Dalia "Il sistema degli aiuti internazionali viola i diritti dei palestinesi?" e "Non dimenticare il dovere di non fare del male a Gaza" inquadrano gli aiuti in Palestina come un diritto e collegano la difesa degli aiuti al movimento nazionale palestinese così come al movimento globale di riforma degli aiuti.

Dalia ha pubblicato uno studio sulle priorità di base della società civile per la riforma degli aiuti, ha distribuito un cortometraggio e ha lanciato una petizione internazionale per far aumentare la consapevolezza. Gli abitanti del posto erano entusiasti, ma gli internazionali non hanno risposto. Forse hanno pensato che le loro buone intenzioni li liberino dalla responsabilità per l'impatto degli aiuti sulla collettività palestinese.

Speravo ancora che avremmo potuto influenzare la politica degli aiuti, se avessimo avuto donatori responsabili che mettessero in pratica i principi a cui aderiscono in linea teorica - proprietà locale, responsabilità reciproca e armonizzazione con i piani di lavoro locali. Mi sono impegnata nei processi formali, anche partecipando a un forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti e promovendo il nuovo accordo per un impegno efficace negli “stati fragili”. Ma sono rimasta delusa. Una fetta enorme della società civile globale sembra essere stata cooptata ora in un processo formale di "riforma degli aiuti", che ha una visione ristretta, spreca risorse preziose e spesso non è in grado di mettere in pratica ciò che predica - tutto questo perché i gruppi della società lavorano all'interno degli stretti e inaccettabili vincoli previsti dai donatori.

Così, abbiamo spostato l'attenzione sulle politiche palestinesi. Abbiamo chiesto: "Se i palestinesi vogliono gli aiuti internazionali alle loro condizioni, quali sono queste condizioni?". I partecipanti hanno risposto: "Perché i donatori finanziano le nostre scuole e non fanno nulla quando Israele le bombarda? Perché i donatori puniscono i palestinesi quando cercano di difendere i propri diritti legali attraverso le Nazioni Unite?".Sappiamo che il principale ostacolo allo sviluppo sono l'occupazione, la colonizzazione e l'espropriazione del popolo palestinese. L'unico mezzo per raggiungere uno sviluppo vero e proprio, quindi, è una giusta soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. Ciò che è emerso è che questi palestinesi, almeno non vogliono affatto gli "aiuti". Vogliono un intervento politico e il sostegno finanziario di cui hanno diritto per perseguire il proprio sviluppo. Inoltre, sono fautori del rifiuto dei falsi progetti di sviluppo che sono, nel migliore dei casi, diversivi e, nel peggiore dei casi, dannosi per la dignità palestinese, per l'indipendenza e la sostenibilità.

Sebbene alcuni tipi di aiuti siano utili, il sistema nel suo complesso è ottuso ed autoreferenziale. A causa di questo, non possiamo cambiare la politica degli aiuti attraverso la partecipazione della società civile. Gli attori internazionali sanno esattamente quello che stanno facendo in Palestina: perpetuano uno status quo diseguale ma controllabile e non vogliono cambiare. E non possiamo obbligarli.

Forse non siamo in grado di cambiare le politiche di aiuto dei donatori, ma i palestinesi possono smettere di partecipare alla propria oppressione, rifiutando aiuti offerti a condizioni dannose. Attraverso il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS), i palestinesi e i loro sostenitori si rifiutano di fare affari con persone o enti che minano le prospettive di una pace giusta. La campagna BDS può essere estesa agli aiuti? Penso che dovrebbe. Focalizzando l'attenzione su ciò che possono controllare - la politica sugli aiuti che sono disposti ad accettare o rifiutare - i palestinesi possono prendere il controllo del proprio sviluppo.

La sfida è formidabile. Ci saranno pressioni politiche, milioni di persone possono diventare ancora più poveri, e l'élite può lottare contro i tentativi che sono impegnati a cambiare un sistema da cui essa trae profitto. Ma i palestinesi possono non essere così dipendenti dagli aiuti internazionali come pensano. Se prendiamo un progetto da 10 milioni di euro e ne togliamo le spese inutili – l'importo trattenuto dai donatori e dalle ONG internazionali per l'amministrazione, ciò che viene sprecato per priorità non locali, ciò che viene speso per consulenti stranieri troppo costosi e per forniture provenienti da Europa - il credito residuo potrebbe non essere così grande.

Inoltre, ci sono alternative alla dipendenza dagli aiuti. Sia con l'aiuto dei palestinesi della diaspora che grazie ai sostenitori di tutto il mondo, i palestinesi possono essere in grado di sviluppare nuovi modelli di sostenibilità che non richiedono loro di ipotecare il loro futuro ad attori internazionali la cui visione è inaccettabile per la Palestina.

Sono tempi duri per proporre l’assunzione di rischi, ma forse siamo giunti a questi momenti difficili per aver voluto andare sul sicuro per troppo tempo.
(tradotto da barbara gagliardi
per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus)

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