La
raccolta di olive è “l’evento chiave economico, sociale e culturale per
i palestinesi”, si legge nel rapporto 2012 dell’OCHA pubblicato il 16
ottobre. Il rapporto ricorda gli obblighi in capo ad Israele nella
protezione dei palestinesi e delle loro proprietà e le responsabilità
per gli attacchi dei coloni. Nella stragrande maggioranza dei casi,
Israele non fa nulla.
I coloni hanno tagliato o dato fuoco ad
oltre 870 alberi nella prima settimana di raccolta del 2012. L’Ong
israeliana Yesh Din ha individuato 162 denunce contro gli attacchi dei
coloni dal 2005 ad oggi, di cui solo una ha portato ad indagini contro
un sospetto. Il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, ha
definito le inchieste “inaccurate e scadute”.
Tuttavia, un rapporto pubblicato
recentemente dall’Alternative Information Center cataloga la crescente
intensità e la frequenza delle violenze dei coloni in Cisgiordania da
maggio ad agosto 2012, dimostrando che “nella realtà i palestinesi non
hanno nessuna via per proteggersi fisicamente e per agire legalmente”.
L’OCHA stima che ci sono 12 milioni di
alberi di ulivo nei Territori Occupati Palestinesi, la maggior parte in
Cisgiordania. In totale, l’industria dell’olio di oliva rappresenta il
14% delle entrate economiche agricole (l’1,4% del PIL totale) e sostiene
circa 80mial famiglie. Un terzo delle donne palestinesi occupate è
impiegato nel settore agricolo.
La raccolta di olive è la prova dei
costi economici rappresentati dall’occupazione israeliana. Mentre i
coloni sono colpevoli di vandalismo contro oltre 7.500 alberi
quest’anno, lo Stato di Israele è responsabile di violenza diretta e
strutturale contro i palestinesi, colpendo la raccolta delle olive in
diversi modi.
Questo video del
9 ottobre 2012 mostra soldati israeliani lanciare gas lacrimogeni per
fermare contadini palestinesi e attivisti israeliani che raccoglievano
olive nel villaggio di Tarqumia. Oltre a casi di interventi militari
diretti, la politica israeliana di espropriazione delle terre in
Cisgiordania (dove sono stati costruiti 144 colonie e il Muro di
Separazione e dove è stato annesso oltre il 60% del territorio posto
sotto Area C) serve a minare qualsiasi struttura economica.
L’Applied Research Institute di
Gerusalemme stima che dal 1967 Israele ha sradicato 1,2 milioni di
alberi di ulivo palestinesi. I danni sistematici alla terra sono
irreparabili ed erodono le condizioni economiche. Anche la Banca
Mondiale recentemente ha concluso che le restrizioni israeliane sono la
principale causa della dipendenza economica dei Territori Occupati.
Ad esempio, il sistema dei permessi
lungo la Seam Zone (tra il Muro e la Linea Verde) impedisce ai contadini
di lavorare la terra riducendo così la produttività su larga scala.
L’OCHA documenta che 52 dei 73 checkpoint agricoli con cui Israele
controlla le terre palestinesi sono stati costantemente chiusi
quest’anno durante il periodo della raccolta. Oxfam stima che una volta
che il Muro sarà completato, un milione di olivi si ritroverà nella Seam
Zone. Con il pretesto della sicurezza, il regime dei permessi impedisce
ai palestinesi di raggiungere i propri olivi e di ottenerne fonti di
sostentamento.
A Gaza, 7mila tonnellate di olio (circa
28 milioni di dollari) sono rimaste invendute nel 2006/2007 a causa
delle restrizioni alla raccolta, la lavorazione, la vendita e il
trasporto, secondo OCHA. Ostacoli al commercio pongono i contadini
palestinesi in una condizione di svantaggio rispetto ad altri Paesi
della regione dove il costo della produzione di olio di oliva è molto
più basso, come la Siria (10-15% più basso) o la Turchia (35/40% più
basso).
Gli attacchi dei coloni e dell’esercito
ai contadini, l’appropriazione di terre e risorse, il blocco di Gaza e
gli ostacoli all’accesso al mercato locale e internazionale sono i costi
aggiuntivi che i Territori devono pagare.
Gli obblighi legali di Israele
A giugno 2006 l’Alta Corte di Giustizia
israeliana ha sentenziato che “proteggere la sicurezza e le proprietà
dei residenti locali è tra gli obblighi basilari dei comandi militari”.
La sentenza è stata la risposta alla
petizione di cinque villaggi della Cisgiordania contro le violente
aggressioni dei coloni: attacchi ai villaggi e ai greggi e sradicamento
degli alberi di ulivo. Nonostante la sentenza, le violenze dei coloni
sono aumentate sistematicamente e si sono fatte più frequenti, a
dimostrazione dell’impunità di cui godono.
Le principali responsabilità che Israele ha disatteso nei Territori Occupati in merito alla raccolta di olive:
- la distruzione di proprietà, di uliveti e strumenti di produzione, violano gli articoli 23 e 57 della Convenzione di Le Hague; un potere occupante non può trasferire i
propri cittadini nei territori occupati. Israele fornisce incentivi
economici, infrastrutturali, sociali e politici per promuovere
l’espansione coloniale in Cisgiordania in insediamenti in cui vivono
oltre 350mila coloni. Altri 300mila coloni vivono a Gerusalemme Es. la
distruzione estensiva e l’appropriazione da parte della politica
colonizzatrice sono un crimine di guerra;
- il Muro di Separazione israeliana è
stato definito illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia nel
2004. Il sistema di checkpoint e restrizioni deve essere rimosso insieme
alla barriera che una volta completata annetterà il 9.4% dei Territori.
I permessi per entrare nella Seam Zone devono essere garantiti fino a
quando il Muro non sarà smantellato. La sentenza del 2004 prevede anche
risarcimenti per i danni procurati;
- Israele ha l’obbligo di proteggere la
popolazione palestinese e il suo tenore di vita da attacchi e deve
perseguire i responsabili di crimini. L’ultimo rapporto di Yesh Din sul
vandalismo contro gli alberi di ulivo mostra come tali obblighi sono
disattesi.
I civili israeliani in Cisgiordania
hanno come target l’ulivo palestinese, simbolo della storia e mezzo di
sopravvivenza. Tuttavia, il sostegno del governo ai coloni va oltre
l’impunità criminale. Israele priva i palestinesi dei propri diritti
minando le basi economiche dei Territori Occupati. La desertificazione
economica israeliana dei Territori lascia una macchia oleosa.
Thayer Hastings
Alternative Information Center
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