I miti ebraici, l’Iran e le ossessioni di Netanyahu di Anna Maria Cossiga



Secondo alcuni media il primo ministro israeliano sarebbe un demagogo estremista. Un'analisi del suo pensiero e della tradizione ebraica suggerisce una spiegazione diversa. Dopo i nazisti, Ahmadi-Nejad è il nuovo Amalek?

Il discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu in occasione della 67° sessione dell’Assemblea generale dell’Onu dello scorso settembre ha suscitato non poche reazioni sulla stampa e sul web. Alcune positive, che hanno visto nelle sue parole, benché pronunciate davanti ad una “bomba di cartone”, un segnale di distensione nei confronti dell’amministrazione americana, “diffondendo un’immagine di Netanyahu mai così positiva prima di allora. L’immagine del leader di uno degli Stati più piccoli e allo stesso tempo più influenti del mondo che, quasi in un momento di illuminazione, ha mostrato tutto il suo lato diplomatico” [1].

Una parte della stampa, soprattutto quella israeliana che potremmo chiamare “progressista”, e anche qualcuno sul web, non la pensa allo stesso modo. Il grafico del premier è stato considerato “grezzo” e “infantile” ed è stato paragonato ai fumetti Looney Tunes - quelli di Wile Coyote che insegue il grande uccello corridore, per capirci.

Nemmeno sulla presunta diplomazia del presidente del Consiglio israeliano i commentatori sembrano essere d’accordo. Negli ultimi mesi hanno definito Netanyahu “messianico e “apocalittico”. Aner Shalev, su Haaretz del 2 ottobre scorso, giudica il recente intervento all’Onu il più paranoico degli ultimi tempi; sullo stesso quotidiano, Yitzhak Laor ha affermato che “Bibi si è inserito nella tradizione evangelica dei predicatori demagoghi”. Anche gli intellettuali israeliani criticano i toni del premier. David Grossman qualche mese fa affermava che, secondo la sua linea di pensiero e la sua visione storica, “Israele è il ‘popolo eterno’ mentre gli Stati Uniti sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi [israeliani] siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro [gli Usa] sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate. Il popolo ebraico, invece, rappresenterebbe la sfera dell'Israele eterno, che porta una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà” [2].

Abraham B. Yehoshua, dal canto suo, si lamenta del fatto che Netanyahu, “forse per colpa dei suoi consiglieri religiosi, non si sia riservato di citare i fatti storici. Certo, ancora una volta ha optato per i cliché del Regno di Davide; dalle promesse divine fatte nella Bibbia al popolo ebraico al legame spirituale di quest’ultimo con la terra di Israele. Ma non gli è venuto in mente di parlare dell’editto di Ciro, re di Persia, che nel 538 a. C. esortò gli ebrei a fare ritorno in patria e a ricostruire il loro tempio (un innegabile fatto storico che, se citato, avrebbe sgretolato le menzogne di Ahmadi-Nejad e suscitato forse un sentimento di consapevolezza negli iraniani, un popolo dalla profonda coscienza storica)" [3].

Il pensiero e persino la linea politica di Netanyahu, insomma, apparterrebbero ad un piano metastorico o, per dirla in altri termini, “mitico”, che mal si adatta alla concretezza storica del presente. Alla luce di questi fatti, non si può negare una qualche ragione a giornalisti e intellettuali. Basta rileggere alcuni passi del discorso per rendersene conto. “Tremila anni fa - ha ricordato il premier - Davide ha regnato sullo Stato ebraico nella nostra capitale eterna, Gerusalemme. Lo dico a tutti coloro che proclamano che lo Stato ebraico non ha radici nella nostra regione e che sparirà presto. Nel corso della sua storia, il popolo ebraico ha sconfitto tutti i tiranni che hanno cercato la sua distruzione. E il popolo di Israele vive. Sfidando le leggi della storia … abbiamo raccolto gli esuli, restaurato la nostra indipendenza e ricostituito la nostra vita nazionale. … In Israele camminiamo sulle stesse vie percorse dai nostri Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, ma tracciamo vie nuove nel campo della scienza, della tecnologia, della medicina, dell’agricoltura. In Israele, il passato e il futuro trovano un terreno comune. Oggi si combatte una grande battaglia tra la modernità e il medievalismo. Le forze del medievalismo vogliono un mondo in cui le donne e le minoranze siano assoggettate, in cui la conoscenza sia cancellata, in cui sia glorificata la morte, e non la vita. … Le forze medievali dell’islam radicale … sono intenzionate a conquistare il mondo. Vogliono distruggere Israele, l’Europa, l’America. … Vogliono la fine del mondo moderno. L’islam militante ha molti rami - dai governanti dell’Iran ai terroristi di Al Qaeda… che, nonostante le loro differenze, sono radicate nel medesimo terreno amaro dell’intolleranza. … Ma sono sicuro di una cosa: alla fine soccomberanno. Alla fine, la luce splenderà tra le tenebre. … Circa settant’anni fa, il mondo ha visto un’altra forma di fanatismo alla conquista del mondo. Si è consumata tra le fiamme. Ma prima ci sono voluti milioni di morti …"
 Chi si è opposto a quel fanatismo ha aspettato troppo a lungo per agire. Alla fine ha trionfato, ma ad un costo orribile. Amici miei, non possiamo permettere che questo accada di nuovo. La posta in gioco non è solo il futuro del mio paese, la posta in gioco è il futuro del mondo. Niente può mettere in pericolo il nostro comune futuro più di un Iran in possesso di armi nucleari. Per capire come sarebbe il mondo con un Iran in possesso di armi nucleari, basta immaginare il mondo con Al Qaeda in possesso di armi nucleari. Non fa differenza che tali armi siano in mano del regime terrorista più pericoloso del mondo o dell’organizzazione terrorista più pericolosa del mondo. Condividono entrambe lo stesso odio e sono guidate dalla stessa sete di violenza. Lo scontro tra la modernità e il medievalismo non deve essere uno scontro tra progresso e tradizione. Le tradizioni del popolo ebraico esistono da migliaia di anni. Sono la fonte dei nostri valori collettivi e il fondamento della nostra forza nazionale. Allo stesso tempo, il popolo ebraico ha sempre guardato al futuro. … Nel corso della storia, siamo sempre stati in prima linea per diffondere la libertà, promuovere la parità e i diritti umani. Sosteniamo questi principi non malgrado le nostre tradizioni, ma grazie ad esse. Seguiamo le parole dei profeti ebrei Isaia, Amos e Geremia che ci insegnano a trattare tutti con dignità e compassione, a cercare la giustizia, ad amare la vita, a lottare e pregare per la pace. Questi sono i valori senza tempo del mio popolo e sono il più grande dono del popolo ebraico all’umanità”.

L’Iran nuclearizzato e, di conseguenza, un terrorismo nuclearizzato capaci di fare sprofondare il mondo in un nuovo oscurantismo medievale, sembrano essere una vera e propria “ossessione” per Netanyahu. “È da più di quindici anni che parlo della necessità di impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari", ricorda ancora il premier nel suo discorso all’Onu. "Ne ho parlato durante il mio primo mandato come primo ministro, poi ne ho parlato quando il mandato è scaduto. Ne ho parlato quando era di moda e ne ho parlato quando non era di moda. E ne parlo adesso perché si sta facendo tardi, molto tardi. Ne parlo adesso perché quando si tratta della sopravvivenza del mio popolo, non solo è mio diritto parlare, ma è mio dovere”.

Anche nel discorso all’Assemblea generale dello scorso anno i toni e gli argomenti erano fondamentalmente gli stessi. “Tra Est e Ovest sta crescendo qualcosa di maligno che minaccia la pace di tutti. … Questo qualcosa è l’islam militante. Si copre con il mantello di una grande fede, ma uccide allo stesso modo ebrei, cristiani e musulmani con implacabile imparzialità. L’11 settembre ha ucciso migliaia di americani e ha ridotto le Torri Gemelle a ruderi fumanti. Ieri ho deposto una corona sul memoriale dell’11 settembre, ma mentre mi recavo sul posto qualcosa mi echeggiava nella mente: le parole oltraggiose pronunciate ieri dal presidente dell’Iran su questo stesso podio. Ha insinuato che gli avvenimenti dell’11 settembre siano stati una cospirazione americana. ...Da allora l’islam militante ha massacrato moltissimi altri innocenti a Londra, a Madrid, a Baghdad, a Mumbai, a Tel Aviv, a Gerusalemme. Credo che il più grande pericolo che il nostro mondo debba oggi affrontare sia che questo fanatismo si doti di armi nucleari. E questo è precisamente ciò che l’Iran sta cercando di fare. Riuscite ad immaginare l’uomo che farneticava qui, proprio ieri, armato di armi nucleari? La comunità internazionale deve fermare l’Iran prima che sia troppo tardi. Se non fermeremo l’Iran, ci troveremo di fronte allo spettro del terrorismo nucleare”.
Se vogliamo parlare di “ossessione”, tuttavia, ci sembra evidente che l’Iran nuclearizzato e l’islam integralista che minacciano la stabilità mondiale rappresentino solo alcuni aspetti. Ad essi vanno aggiunti quelli che mettono più direttamente a rischio Israele e gli ebrei: l’antisemitismo mai sconfitto; la Shoah; il pericolo di uno Stato palestinese davvero sovrano e, dunque, anche militarizzato; il richiamo costante al “miracolo” dell’esistenza di uno Stato ebraico, forte e ben armato, risorto dalle ceneri di secoli di oppressione e di massacri; la citazione di particolari passaggi dei testi sacri che ricordano le vittorie degli Israeliti sui nemici e la grandezza del passato ebraico. Potremmo riassumere questa “ossessione” in due argomenti chiave: “pericolo esistenziale e necessità di difesa per la sopravvivenza” e “ricordo del passato per la costruzione del presente e del futuro”.

Alcuni commentatori sono convinti che l’uso reiterato di questi argomenti da parte di Netanyahu sia soltanto retorica, il bluff di un uomo cinico, o pragmatico, a seconda dei punti di vista, che alla fine si piega sempre a ciò che è utile o inevitabile. Se da una parte si cerca di convincere l’opinione mondiale in un intervento contro un Iran che mette a rischio non soltanto Israele, ma i valori stessi della cultura occidentale e del mondo moderno, dall’altra la realpolitik rende inevitabile non inimicarsi l’amministrazione americana. Dunque, per quanto “cattivo” e medievale possa essere l’Iran di Ahmadi-Nejad, è bene aspettare prima di attaccarlo. Tutto ciò che si può fare è stabilire una linea rossa che non gli si deve permettere di oltrepassare.
Eppure, l’interpretazione potrebbe essere un’altra. Un’analisi più approfondita del pensiero di Netanyahu, in particolare, e della tradizione ebraica, in generale, potrebbe contribuire a trovare una spiegazione diversa dal cinismo o dal pragmatismo che dir si voglia.

Lo sviluppo intellettuale di Netanyahu è avvenuto all’ombra del padre Ben-Zion, grande ammiratore di Ze’ev Jabotinski, fondatore del sionismo revisionista, ed eminente studioso dell’ebraismo spagnolo. Il suo libro più famoso, Le origini dell’Inquisizione nella Spagna del XV secolo, giunge alla conclusione che l’antisemitismo di ogni tempo e luogo è una forma di odio sui generis che, adattandosi alle diverse circostante, è impermeabile ad ogni logica ed è eterna. Come insegna la sorte degli ebrei spagnoli e dei milioni di altri ebrei sterminati dagli antisemiti, la risposta ad un simile sentimento non può essere né la ragionevolezza, né la debolezza, ma solo l’autodifesa militante. All’esempio del padre si è aggiunto anche quello del fratello Yonatan, ucciso mentre era al commando del raid di Entebbe nel 1976 e divenuto forse la figura più venerata nella martiriologia ebraica post-Ghetto di Varsavia, probabilmente perché Entebbe simbolizza l’espressione più pura della reazione ebraica moderna alla passività.nsomma, Bibi avrebbe imparato tre cose ben precise, in famiglia: la prima è che quelli che minacciano gli ebrei, e hanno i mezzi per concretizzare le loro minacce, devono essere neutralizzati preventivamente; la seconda è che nessuno difenderà gli ebrei se non gli ebrei stessi; la terza è che il destino ha scelto i Netanyahu per scoprire e combattere l’antisemitismo prima che raggiunga il genocidio [4].

Ma non bastano le memorie familiari a giustificare una simile “ossessione”. Netanyahu si richiama a memorie ben più antiche, che fanno parte di quella che Jan Assmann, noto egittologo e studioso dei legami tra ricordo, identità e tradizione, chiama “memoria culturale” . “Tale memoria basa sul passato e si coagula in figure simboliche a cui viene ancorato il ricordo, aprendo i riflettori sulle situazioni presenti” [5]. Ebbene, una delle figure simboliche a cui Netanyahu fa riferimento è Amalek, capostipite di quegli amalechiti che, in base al racconto del Deuteronomio, attaccarono la retroguardia degli israeliti in fuga dall’Egitto e che furono sconfitti grazie all’intervento divino. L'aggressione di Amalek è la prima esperienza di guerra del popolo ebraico all'indomani della sua uscita dall'Egitto; si tratta, quindi, del primo vero conflitto di cui parla la Torah. Una vittoria così importante che a Mosè fu comandato di scriverla nel suo Libro per farla diventare, a pieno titolo, un momento paradigmatico dell'esperienza storica dell'ebraismo. La tradizione ebraica vede in Amalek l'archetipo dell'antiebraismo gratuito e irrazionale di tutte le generazioni, il precursore di quanti, nei secoli a venire, minacceranno l'esistenza di Israele. Tanto è vero che il preciso ammonimento "Ricorda ciò che ti ha fatto Amalek", ribadito dalla Torah (Deuteronomio 25, 17) è annoverato fra i 613 precetti cui si deve informare la vita di ogni ebreo [6].Amalek è dunque il nemico allegorico degli ebrei, diventato il simbolo di tutti gli antisemiti che nel corso della storia hanno cercato di distruggere il popolo ebraico. Non è di certo stato un caso che, durante il discorso in occasione della Giornata Internazionale della Memoria ad Aushwitz-Birkenau del 2010, Netanyahu abbia ricordato proprio quel precetto.  “Forse [alcuni dei miei fratelli gassati, bruciati e uccisi in mille altri modi] hanno pronunciato, esalando l’ultimo respiro, un’altra antica preghiera: “Ricorda ciò che ti fece Amalek. Non dimenticare mai! A coloro che qui sono stati assassinati, a coloro che sono sopravvissuti alla distruzione, io faccio una promessa: Non dimenticheremo mai! Non permetteremo mai a chi ha dissacrato questo monumento di distorcere o cancellare il vostro ricordo. [7] Ricorderemo sempre ciò che gli eredi nazisti di Amalek vi hanno fatto. Saremo sempre pronti a difenderci quando un nuovo Amalek compare sul palcoscenico della storia e minaccia di nuovo di annientare gli ebrei. Non ci illuderemo credendo che le minacce, le diffamazioni e la negazione della Shoah siano soltanto parole vuote. Non dimenticheremo mai. Saremo sempre vigili”.
L’identificazione di Amalek con i nazisti è incontrovertibile, ma non meno evidente è l’identità del “nuovo Amalek” che vuole cancellare “il ricordo”, che diffama e che nega la Shoah. Da qui nasce l'accostamento tra l'Iran e i nazisti. Del resto, come Bibi ha imparato dal padre, l’antisemitismo è eterno; se Amalek è stato il primo antisemita della storia, i suoi degni eredi, come insegna anche parte della tradizione ebraica, sono stati Nabucodonosor, i crociati, l’Inquisizione e, in tempi più recenti, gli arabi, i palestinesi e ora anche l’Iran e l’integralismo islamico [8]. Come lo stesso Netanyahu ha rimarcato nel discorso alle Nazioni Unite dello scorso settembre, non vi è differenza tra il regime terroristico iraniano e le organizzazioni terroristiche islamiche: entrambi incarnano l’oscurantismo medievale che vuole mettere fine al mondo occidentale e moderno.

Gli ebrei, però, non sono più quelli di una volta, deboli e remissivi. Hanno imparato a difendersi e “quando si tratta della sopravvivenza di Israele, noi ebrei dobbiamo sempre rimanere padroni del nostro destino” ha affermato orgogliosamente il premier durante il suo intervento all’American Israel Public Affairs Committee nel marzo di quest’anno. “In questi giorni- ha continuato - nelle sinagoghe di tutto il mondo gli ebrei festeggeranno il Purim. Leggeremo di come 2.500 anni fa un antisemita persiano [9] cercò di annientare il popolo ebraico e di come il suo piano fu sventato da una donna coraggiosa: Ester. In ogni generazione c’è qualcuno che vuole distruggere il popolo ebraico”.
L’antisemita persiano è Aman, discendente di Amalek e consigliere del re Assuero. Nemmeno questa citazione è stata una circostanza un caso. Né può esserlo l'episodio che, in occasione dell’incontro tra Netanyahu e Obama (sempre nel marzo 2012) ha visto il premier israeliano donare al presidente americano un’edizione istoriata della Megillat Esther, il Rotolo di Ester, in cui questa storia è narrata. Forse ha ragione Yeoshua: Netanyahu sarebbe più credibile e incisivo, e potrebbe fare breccia tra gli iraniani, se si attenesse alla storia e non al “mito”.

Al termine “mito” viene di solito associato il significato di “racconto falso”, fantastico e privo, dunque, di qualunque fondamento storico. Ma anche i miti sono quelle “figure di ricordo” essenziali per la memoria culturale di cui parla Assmann. Anzi, sostiene ancora lo studioso, “la differenza tra mito e storia cessa di valere. … Per la memoria culturale è valida non la storia de facto, ma solo quella ricordata; si potrebbe anche dire che nella memoria culturale la storia de facto viene trasformata in storia ricordata e dunque in mito. Il mito è una storia fondante, una storia che viene raccontata per chiarire il presente alla luce delle origini … Nel ricordo della propria “storia” e con l’attualizzazione delle figure del passato, il gruppo assoda propria identità” [10].
Del tutto a prescindere dal problema della loro dimostrata storicità, dunque, la narrazione di certi episodi o il ricordo di determinati personaggi conservano un valore, dal momento che conferiscono un significato al presente e rafforzano l’identità del gruppo e, quindi, la sua coesione interna.

Potremmo probabilmente aggiungere altri due “argomenti chiave” all’ossessione di Netanyahu: l’identità e la coesione interna di Israele. Ma quale identità?

Sin dalla nascita dello Stato ebraico, la società civile e la politica israeliana sono state estremamente sfaccettate, come lo furono, del resto, lo stesso movimento sionista e l’atteggiamento dell’ortodossia religiosa nei suoi confronti. Il mondo religioso ebraico si divise sin dall’inizio sull’opportunità o meno di un ritorno in Eretz Israel, la Terra d’Israele. Una parte dell’ortodossia più conservatrice, che aveva già combattuto la haskalah, l’illuminismo ebraico e la crescente assimilazione, si oppose all’emigrazione ebraica in Palestina in base ai tre giuramenti del Talmud pronunciati alla vigilia della dispersione: il divieto di ritornare in massa e in modo organizzato in Terra d’Israele; il veto di non ribellarsi contro le Nazioni; il fatto che le Nazioni non avrebbero sottomesso il popolo d’Israele oltre misura [11]. Soltanto con l’arrivo del Messia Israele avrebbe potuto riunirsi e tornare ad essere indipendente, creando quindi uno Stato nazionale su basi politiche, il che avrebbe il significato di una ribellione ai voleri divini.

israele, terra santa, giudea, samaria
 Tale posizione oltranzista, benché ancora sostenuta dai Naturei Karta e dal gruppo haredi dei Satmar, è oggi del tutto minoritaria. Parte degli antisionisti religiosi fondò, in seguito alla diaspora, l’Agudat Yisrael che, dopo la Shoah e la distruzione dei grandi centri dell’ebraismo in Europa centrale ed orientale, accettò lo Stato come un fatto compiuto ed ebbe la sua rappresentanza alla Knesset [12]. Una parte dei religiosi, invece, si dimostrò non solo favorevole al sionismo, ma lo considerò addirittura come l’inaugurazione dei tempi messianici. Secondo gli insegnamenti del principale teorico del sionismo religioso, Rav Abraham Yitzhak Kook, era necessario sostenere il movimento secolare e, a questo fine, promuovere la collaborazione tra laici e ortodossi. I nazional-religiosi sono oggi politicamente attivi all’interno di numerosi partiti, tra cui il Likud, il Mafdal (Partito nazional-religioso) e Habayt Hayehudit [13]. Il movimento sionista ha dato vita ai partiti storici del Mapai di Ben Gurion, confluito nel Partito Laburista nel 1968, e dell’Herut, confluito nel 1973 tra le schiere del Likud di Menachem Begin, Ariel Sharon e Netanyahu. La nascita di uno Stato democratico ha dato vita ad una miriade di altri partiti che costituiscono, insieme ai minoritari movimenti arabi [14], il complesso scenario politico israeliano. Le enormi difficoltà con il mondo arabo-palestinese, datato alla nascita del sionismo stesso, e la quasi impossibilità di creare una pace duratura con i palestinesi all’interno e con i paesi circostanti all’esterno, hanno ulteriormente contribuito a frammentare la società israeliana, le cui posizioni vanno da quelle oltranziste dei coloni a quelle dei membri di movimenti come Shalom Achshav (Pace adesso).Prima di Herzl, l’ebreo derivava la propria identità dalla Torah, dunque da fattori esclusivamente religiosi. Il sionismo vuole invece un “nuovo ebreo”, la cui essenza non è più l’appartenenza religiosa, ma quella ad uno Stato indipendente stanziato su un determinato territorio. Il sionismo vuole la “normalizzazione” degli ebrei in una compagine nazionale simile a quella di tutti gli altri popoli, senza dimenticare la tradizione e rivendicando i “diritti storici” sulla Terra dei Padri; una terra rimasta “sacra”, ma in termini ormai laici e non più religiosi. Il “nuovo ebreo”, tuttavia, non ha mai sostituito quello “vecchio”. La storia di Israele è fatta anche di numerosi compromessi tra l’anima ebraica religiosa e quella laica. Fu proprio David Ben Gurion ad inaugurare tale compromesso, cercando la piena partecipazione al neonato Stato anche da parte della galassia ultraortodossa; sebbene lo stesso Ben Gurion ritenesse che quest'ultima si sarebbe ridotta numericamente nel corso degli anni. È per questo motivo che nello Stato ebraico si continua ad osservare lo shabbat, che le festività religiose sono anche nazionali e che nelle mense pubbliche si osserva la kasherùt.  Sempre grazie al compromesso, i tribunali rabbinici sono gli unici abilitati a giudicare materie di stato civile, mentre i giovani studenti delle yeshivot sono esentati dal servizio militare [15].
Sino ad oggi il compromesso sembra aver funzionato, ma che cosa riserverà il futuro? Divisi tra ultra-ortodossi antisionisti, nazional-religiosi, laici progressisti, coloni o pacifisti oltranzisti: falchi e colombe. Chi sono gli israeliani di oggi e chi saranno quelli di domani? Chi sono e chi saranno gli ebrei? Non è mai facile definire chiaramente i confini di un’identità di gruppo, religiosa, nazionale o politica che sia. Anzi, contrariamente alla tendenza corrente, soprattutto quando si tratta di conflitti etnici, culturali e religiosi, dovremmo abituarci a considerare l’identità come qualcosa di fluido, che muta in base al contesto, alle necessità, ai rapporti di forza e alla Storia [16]. Ma la teoria è una cosa, la realtà un’altra. Per quanto fluida e culturalmente costruita possa essere, teoricamente l’identità, per chi si riconosce in essa, è un fatto assolutamente concreto ed imprescindibile. Senza un’identità comune e senza una memoria culturale comune la coesione sociale può venire, pericolosamente, a mancare.

Forse è ciò che comincia ad accadere agli ebrei di Israele e della diaspora. In un recente articolo comparso su Haaretz, dal titolo “È arrivata la nostra data di scadenza?”, Kobi Niv riporta le parole di Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, pronunciate all’inizio dell’ottobre di quest’anno: tra dieci anni Israele non esisterà più. Una sciocchezza, commenta sarcasticamente Niv, e per tre motivi: il primo, è che i nostri leader ci dicono che Israele è per sempre; il secondo, perché abbiamo un buon esercito, bombe intelligenti, un’economia stabile e anche l’high-tech; terzo, perché Dio è dalla nostra parte.
 Ma quale Israele ci sarà tra dieci anni? La preoccupazione dell’autore è che sia in corso una lotta per “l’anima degli ebrei israeliani”. E’ una lotta tra l’ala sionista religiosa e quella laico-progressista. Alcuni sostengono che, alle prossime elezioni, i laico-progressisti, “grazie all’influenza di una qualche costellazione, con l’aiuto di Dio, di qualche combinazione casuale o di chissà quale abracadabra”, riusciranno ad edificare un governo. Ma la realtà è un’altra: i sionisti religiosi hanno già vinto. Hanno vinto perché la maggior parte degli israeliani sono sionisti religiosi. Bisogna solo capire se lo sono al 70, o anche solo al 60%. E quando raggiungeranno la “massa critica del 90%”. Chi sarà in grado di rovesciare il governo dei sionisti religiosi? (Leggi: governo Netanyahu). Pian piano, tutto passa sotto il loro controllo: il sistema scolastico, l’esercito, i tribunali, i media. “E se sollevassimo gli occhi oltre i muri che abbiamo innalzato per nascondere la realtà che cosa vedremmo? Forse il ghetto di Gaza scomparirà e cesseranno le ostilità al suo interno se continuiamo ad ignorarlo? I palestinesi del West Bank diventeranno più sionisti con l’aumentare degli insediamenti? E se bombardiamo l’Iran, questo migliorerà i legami con i paesi della regione o, piuttosto, li peggiorerà? Se continueremo su questa linea, fra tre, sette o dieci anni Israele diventerà più sionista religioso, più fanatico, gretto e senza freni”. Un articolo duro, dai toni “apocalittici” come certi discorsi del premier, anche se arriva dall’ala laico-progressista, pertanto contraria all’attuale governo. Un articolo che riflette anche sulla “questione morale” nei confronti dei palestinesi e sui rapporti con il mondo arabo-musulmano circostante.
Sono questi due atteggiamenti “messianici” che potrebbero davvero mettere in pericolo l’esistenza di Israele? E la questione non è soltanto l’esistenza concreta di uno Stato ebraico, ma lo status morale che un tale Stato assumerà.

L’apocalittica retorica di Netanyahu sottolinea il pericolo di un islam oscurantista e medievale, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. In qualche modo, il suo atteggiamento nei confronti del pericolo nucleare iraniano e di uno Stato palestinese realmente sovrano sono le due facce di una stessa medaglia. I suoi toni, però, non si richiamano semplicemente alla “tradizione”, come del resto ha sempre fatto anche il sionismo, ma sono di stampo prettamente religioso e, con le dovute cautele, “fondamentalista”, dando al termine il suo significato originario di “basato sui fondamenti” di un determinato credo [17].
 Anche il concetto di fondamentalismo, come quello di identità etnica e culturale, è sfuggente e fluido e sono definiti “fondamentalisti” gruppi che condividono alcune caratteristiche ma le cui finalità e i cui mezzi per conseguirle sono molto diversi. Il premier Israeliano, almeno per ciò che si evidenzia dai suoi discorsi, condivide con i fondamentalisti l’idea di una lotta in cui la luce trionferà sulle tenebre, il bene sul male; infine quella dell’esistenza di un “nemico” da cui ci si deve guardare per continuare ad esistere [18], sia esso Amalek, l’Iran, Hamas, Hezbollah, il terrorismo o uno Stato palestinese indipendente a tutti gli effetti. Forse bisognerebbe riflettere anche sul perché Netanyahu ricordi spesso (lo ha fatto anche nel discorso all’Onu dello scorso anno) il suo incontro con Menachem Mendel Schneerson, ultimo Rebbe del movimento Habad Lubavitch, ritenuto il Messia da molti dei suoi seguaci. Nel 1984 - racconta - quando venni nominato ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, feci visita al grande rabbino Lubavitch. Mi disse  che stavo per prestare servizio in una casa dalle molte menzogne. Ma ricorda - aggiunse - che anche nel luogo più buio la luce di una sola candela può essere vista da molto lontano”.In qualunque modo si voglia interpretare la frase, certo ha in sé qualcosa di arcano e di profetico; e non ci sembra troppo azzardato vedere, sotto tale prospettiva, la luce di Israele (e del suo ambasciatore) nel buio di un’Organizzazione che ha equiparato il sionismo al razzismo. Il rabbino Schneerson, scomparso nel 1994, era un personaggio controverso, amato in alcuni ambienti ed aspramente criticato in altri. Nel 1978, il presidente americano Jimmy Carter proclamò l’Education and Sharing Day (Giornata dell’istruzione e della condivisione), da celebrarsi ogni anno in occasione del genetliaco del Rebbe, a ricordo dell’opera umanitaria svolta dal movimento Lubavitch in tutto il mondo, tra gli ebrei e i non-ebrei [19]. L’altra “faccia” di Schneerson e del suo movimento, tuttavia, è rappresentata dalla drastica opposizione alla cessione di anche un solo centimetro della terra d’Israele e di quei territori occupati dalla maggior parte delle nazioni del mondo, ma definiti dagli israeliani Giudea e Samaria, secondo gli antichi nomi biblici. Quelle terre furono promesse da Dio al suo Popolo e ad esso solo appartengono. Il movimento Chabad, inoltre, è stato ed è a tutt'oggi sostenitore di Netanyahu e della sua coalizione di governo, che ha fortemente appoggiato le sue campagne elettorali.
Forse anche le posizioni dei laici progressisti, del quotidiano Haaretz, di Grossmann, di Oz e di Yeoshua hanno qualcosa di fondamentalista. Secondo loro il “buio” e il “nemico” sono tutto ciò che Netanyahu e i nazional-religiosi rappresentano. Forse è proprio lo scontro tra questi due “messianismi”, tra queste visioni apocalittiche che mettono in risalto un rischio incombente, che rischia di mettere realmente in pericolo l’esistenza e lo status morale di Israele; più ancora della minaccia nucleare iraniana. Dovremo aspettare le prossime elezioni per sapere chi sarà il vincitore.

A proposito di Amalek occorre aggiungere un’ultima riflessione. Sul sito del movimento chassidico Breslov [20], si legge: “Un altro aspetto di Amalek è oggi assai diffuso: quello dei falsi leader. Nella Torah è scritto: Amalek ha colpito le tue retrovie (Deuteronomio, 25:18). I nostri Saggi insegnano: Amalek ha separato le code e le ha gettate in alto (Midrash Tanchuma, Ki Taytze 10). Reb Noson scrive: Amalek scoprì un modo astuto per distruggere il popolo d’Israele. ‘Prende le code’, cioè persone di bassa o nessuna levatura, e le “getta in alto”, cioè le trasforma in leader israeliani (Likutey Halakhot, Shabbat, 5:9) [21] . In questo modo il popolo ebraico è stato condotto erroneamente a credere che i suoi leader siano uomini di valore mentre, in realtà, sono persone ordinarie incapaci da fare da guida

Saranno gli israeliani a dare al succitato passo l’interpretazione che ritengono più giusta.

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Note:
1. Nello Scalzi, Meridiani, 10 ottobre 2012.
2. “L’Iran, Re Bibi e il ‘popolo eterno’ di Israele”, Il Corriere della Sera, 3 agosto 2012
3. A.B. Yehosuha, La Stampa, 1 ottobre 2012.
4. Si riporta in parte l’articolo di Jeffrey Goldberg dal titolo “Israel’s fears, Amalek’s arsenal”, apparso sul New York Times del 16 maggio 2009. Sull’influenza del padre Benzion, vedi anche l’articolo di Akiva Eldar, “The shadow that Netanyahu’s late father cast: the world is against us”, su Haaretz del 30 aprile 2012. Riguardo al “destino dei Netanyahu”, riportiamo un passo tratto dal Discorso all’assemblea Generale dell’Onu del 2011 che ci sembra interessante. “Nel mio ufficio a Gerusalemme ho un antico sigillo. È l’anello di un funzionario ebreo dei tempi biblici, scoperto vicino al Muro Occidentale e che risale a 2700 anni fa, durante il regno di Ezekia. Su quell’anello è impresso il nome del funzionario ebreo. Si chiamava Netanyahu. Che è il mio cognome. Il mio nome, invece, Binyamin, è antico di millenni ed è il nome di uno dei figli di Giacobbe, conosciuto anche come Israele. Giacobbe e i suoi dodici figli abitarono proprio queste colline di Giudea e Samaria 4000 anni fa e da allora, in questi luoghi, c’è sempre stata una presenza ebraica”.
 5. Jan Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, 1997, pp.26-27. Per lo studioso, il caso ebraico è l’esempio paradigmatico di tale memoria culturale.
6. Roberto Della Rocca, "La Rassegna Mensile di Israel", n.1-2 (Terza Serie) Gennaio-Agosto 1993.
7. Il corsivo è mio. È chiaro il riferimento ad Ahmadi-Nejad.
8. A questo proposito, è interessante riportare che sta facendo il giro del web un video del 2002: si tratta del discorso tenuto da Binyamin Netanyahu alla House Committee on Oversight and Government Reform (Comitato della casa dei rappresentanti per la supervisione e la riforma del governo) degli Stati Uniti. L’allora cittadino privato Netanyahu metteva in guardia gli americani dal dittatore iracheno. “Non vi è assolutamente alcun dubbio - sosteneva - sul fatto che Saddam stia lavorando allo sviluppo di armi nucleari e stia facendo dei progressi. … E non c’è dubbio che, una volta che sarà in possesso di tali armi, la storia cambierà drasticamente”. E concludeva: “Oggi, gli Stati Uniti devono distruggere quel regime perché un Saddam Hussein in possesso di armi nucleari metterà a rischio la sicurezza di tutto il mondo. E non vi illudete: se e quando Saddam avrà armi nucleari, anche la rete del terrore avrà armi nucleari”. Un altro Amalek, questa volta iracheno, che vuole dotarsi di armi nucleari. Anche in questo caso, insieme a lui anche i terroristi islamici saranno dotati di armi nucleari. La storia si ripete, di qualunque nazionalità sia l’Amalek di turno.
9. Anche qui il corsivo è mio.
10. J. Assmann, op. cit., pp. 26-27.
11. Yakov M. Rabkin, Una minaccia interna. Storia dell’opposizione ebraica al sionismo, Ombre Corte, 2005, pp. 86-87. Quanto a “non sottomettere il Popolo d’Israele oltre misura”, è certamente peculiare che siano gli ebrei a fare un giuramento in nome delle nazioni della terra.
 12. Il partito si interessava principalmente al benessere dei propri elettori, tenendosi lontano dalla politica attiva se non nei campi riguardanti le istituzioni educative, la distribuzione degli alloggi pubblici, del welfare, dell’esenzione dal servizio militare e del carattere religioso dello Stato. In passato, non aveva una chiara posizione nello spettro politico destra-sinistra ma, dall’inizio degli anni Novanta, viene identificato con le posizioni nazionaliste. (Da www.knesset.gov.il. Parliamentary Groups, Agudat Yisrael). Alla Knesset è presente un altro partito religioso originariamente antisionista, lo Shas, nato nel 1984 per proteggere gli interessi dei sefarditi, dimenticati, a parere dei loro leader, dall’ashkenazita Agudat. Contrariamente a quest’ultimo, lo Shas, che sostiene comunque posizioni considerate “di destra”, ritiene la vita umana più importante del possesso del territorio.
13. Il Mafdal e Habayt Hayehudit costituiscono attualmente un unico gruppo parlamentare all’interno della Knesset. Il Mafdal, noto anche come Nrp (National Religious Party) nacque nel 1956 dall’unione del Mizrachi (movimento sionista religioso fondato a Vilna nel 1902) e dell’Hapoel Mizrachi. “Sino alla guerra dei Sei Giorni nel 1967, il Mafdal era considerato un partito moderato ma, dopo la guerra, le posizioni nazionalistiche del partito si sono rafforzate, in special modo dopo la creazione del movimento Gush Emunim (Blocco dei fedeli) nel 1974 (dal sito ufficiale della Knesset, www.knesset.gov.il). I nazionalreligiosi e Gush Emunim sono spesso considerati estremisti, sia in Israele, sia nella diaspora. Secondo Giorgio Gomel, co-fondatore del Gruppo Martin Buber, “i sionisti religiosi, un tempo politicamente moderati, sono ormai dominati dall’estremismo nazional-religioso. Con la nascita del Gush Emunim negli anni ‘70 - il movimento che ha fornito ai coloni il fondamento teologico della loro azione, affermando l’integrità e sacralità di Eretz Israel, promessa da Dio agli ebrei e riservata quindi al loro possesso esclusivo, come un assoluto irrinunciabile - il sionismo religioso è scivolato via via nell’estremismo politico, una minaccia crescente, purtroppo a lungo sottovalutata, per la natura democratica del paese”. Nel 1983, Amos Oz, scrittore e intellettuale israeliano, affermava nel suo In terra di Israele”: “Dal punto di vista ebraico quella dei coloni è una concezione integralista e monomane : una concezione che riduce l’ebraismo a religione, la religione a culto e il culto a un unico oggetto: l’integrità della Terra di Israele” (da: http://www.martinbubergroup.org/documenti/art12-2.asp).
14. I parlamentari arabi sono attualmente nove, appartenenti ai partiti Hadash, National Democratic Assembly e Ra’am-Ta’al.
15. Dall’agosto di quest’anno, l’esenzione dal servizio militare degli ultra-ortodossi, prevista dalla legge Tal, è stata abolita.
16. Per approfondimenti sul tema dell’identità vedi Ugo Fabietti, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, 1998; Francesco Remotti, L’ossessione identitaria, Laterza, 2007 (1° ed. 1996); Francesco Remotti, L’ossessione identitaria, Laterza, 2010.7. Il termine “fondamentalismo” viene oggi associato a gruppi di diversa estrazione religiosa e, in relazione all’islam, ha assunto un significato altamente negativo. Le sue origini, tuttavia, vanno ricercate nell’ambito del cristianesimo protestante statunitense che reagisce, con la pubblicazione dei cinque principi fondamentali della fede cristiana (1895) al liberalismo teologico, al modernismo e al darwinismo. Tra il 1905 e il 1915, esce l’opera in dodici volumi intitolata The Fundamentals e nel 1920 i teologi del movimento vengono definiti per la prima “fondamentalisti” dal giornalista Curtis L. Laws. Da S. Allievi, D. Bidussa, P. Naso, Il libro e la spada. La sfida dei fondamentalismi, Claudiana, 2000.
18. Per una definizione del concetto di fondamentalismo, vedi Luca Ozzano, Fondamentalismo e democrazia, Il Mulino, 2009, particolarmente pp. 21-57. Sull’esistenza di un fondamentalismo ebraico vedi anche Laurence J. Silberstein (edito da), Jewish Fundamentalism in Comparative Perspective, New York University Press, 1993: e Israel Shahak e Norton Mexvinsky, Jewish Fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004.
19. In occasione dell’Education Day del 2009, il presidente Obama ha detto: "Pochi hanno capito e promosso queste idee più del rabbino Menachem Mendel Schneerson, il Lubavitcher Rebbe, che ha sottolineato l’importanza dell’istruzione e della disponibilità verso gli altri. Grazie alla creazione di centri educativi e dedicati ai servizi sociali in tutto il mondo, il rabbino Schneerson ha cercato di stimolare e di ispirare persone di ogni età. Rinnoviamo oggi il suo impegno”.
20. www.breslov.org/where-is-amalek-today/. Il movimento Breslov fu fondato alla fine del 1700 da Rav Nachman, pronipote del Baal Shem Tov, a sua volta fondatore del chassidismo ed eminente figura all’interno dell’ebraismo.
21. Il Likutey Halakhot è un’opera i otto volumi redatta dal fondatore del movimento Breslov. Si tratta di commenti ai codici della Legge.




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