Hebron : LA FORZA E IL CORAGGIO
La forza e il coraggio per me hanno il volto di una ragazzina di 11 anni, dai capelli scuri e gli occhi verdi. Si chiama Mona. Mona oggi porta al pascolo il gregge di suo padre, che ieri è stato cacciato e minacciato dai militari dell’esercito israeliano mentre lo faceva. Suo padre è stato cacciato, come anche tante altre volte prima, perchè si è avvicinato troppo ad Avigayil, un avamposto di coloni israeliani. Un avamposto è un insediamento, un piccolo villaggio costruito sul suolo palestinese in violazione, oltre che del diritto internazionale, anche della stessa legge israeliana. Nonostante l’illegalità, gli oltre 100 avamposti israeliani in terra palestinese sono solitamente sostenuti e protetti dall’esercito. Oggi siamo in tre ad accompagnare Mona. Abbiamo tutti le telecamere per documentare eventuali abusi e ingiustizie. Mona si spinge vicino all’avamposto, proprio davanti al cancello. Dopo quasi un’ora un colono ci avvista e come al solito scende da Avigayil innervosito. E’ un ragazzo sulla trentina con maglietta azzurra e macchina fotografica. Comincia a fare delle foto a noi e a Mona. Le dice che deve andarsene. Usa un tono duro. Mona non si muove, gira solo la testa per non farsi fotografare. Si muove tranquillamente tra le pecore. Siamo in due vicino a Mona, mentre un altro riprende la scena da lontano. Il ragazzo che è con me prova a dire al colono che è solo una bambina, ma lui prima ci dice che quello è terreno di Avigayil e poi lo ignora. Scende anche il soldato di guardia all’avamposto. Non sa bene che fare. Sembra uno di quei soldati che si trovano nell’ultimo posto in cui vorrebbero essere. MI avvicino e scambio con lui due parole. Mi chiede cosa faccio lì. Io dico che vivo nel villaggio di At-Tuwani, lì vicino. Mi chiede se sono lì per aiutare i palestinesi. Io gli dico sì, ma sono sono qui per tutti. Lui mi risponde anch’io. Mi sembra vero e sincero. Il colono non è soddisfatto però di come stanno andando le cose e chiama altri soldati. Dopo poco arriva una camionetta dell’esercito da cui scendono in tre, col mitragliatore a tracolla come sempre. I militari sono a disagio per la situazione. Cominciano a insultarci, dicendo che siamo disgustosi. “You are a war criminal”, “Sei un criminale di guerra” mi ripete quello che mi sembra il comandante. “Usi una bambina per i tuoi interessi personali”. Cerco di replicare ma non mi ascolta, ripete le stesse parole come un disco rotto. Chissà, forse vuole scaricare su di me cose che sente lui dentro, ma un po’ mi fa male. Poi passa a Mona. Cerca di cacciarla, alzando la voce e dicendo che lì non può stare. Chiede a Mona come si chiama e da dove viene. Mona risponde a monosillabi, poi si gira dall’altra parte e fa finta di niente. Cammina tranquilla tra le pecore. La situazione sta andando avanti da mezz’ora ormai. Poi i soldati si mettono personalmente a cacciare le pecore sull’altro versante della collina. Ormai le pecore hanno pascolato a sufficienza, e Mona lascia fare. Mentre se ne vanno, un soldato dice ecco, qui c’è l’erba migliore. Dopo poco sentiamo dal megafono della camionetta che se ne va ancora una volta “You are a war criminal, you are a war criminal!”. Mona sorride. Io mi sento piccolo di fianco a lei. LA FORZA E IL CORAGGIO
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