Uri Avnery: «Israele non attaccherà l'Iran: ecco perché»
1 MANIFESTO di oggi, 25/08/2012,
Forse Binyamin Netanyahu è matto, ma non è pazzo. Forse Ehud Barak è pazzo, ma non è matto. Ergo: Israele non attaccherà l'Iran. L'ho già sostenuto tempo fa ma voglio tomarci su, dopo le infinite discussioni a riguardo. Certo di nessuna guerra si è mai parlato tanto prima che scoppiasse. Ma, per citare la battuta di un vecchio film: «Se devi sparare, spara. Non parlare!». Tra tutte le sfuriate di Netanyahu sul conflitto inevitabile, spicca una frase: «Nella commissione d'inchiesta dopo la guerra, io stesso mi assumerò tutta la responsabilità, io soltanto!». Una dichiarazione davvero rivelatrice. Anzitutto le commissioni d'inchiesta vengono istituite soltanto dopo un flop militare. Non c'è stata nessuna commissione simile dopo la Guerra d'indipendenza del 1948, né dopo quella del Sinai nel 1956, né dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. Commissioni d'inchiesta vennero create invece dopo la Guerra dello Yom Kippur del 1974 e dopo quelle del Libano, nel 1982 e nel 2006. Facendo balet nare lo spettro di un'altra commissio- ne del genere, Netanyahu inconsciamente tratta questa guerra come un fallimento inevitabile. Inoltre, in base alla legge israeliana è l'intero governo d'Israele a essere il comandante in capo delle forze armate e tutti i ministri hanno una «responsabilità collettiva». La rivista Time, che ogni settimana sta diventando più ridicola, può anche incoronare «Re Bibi», ma qui non abbiamo ancora la monarchia. Netanyahu è né più né meno che un prinius inter pares. Infine, nella sua dichiarazione Netanyahu manifesta un disprezzo sconfinato per i suoi colleghi ministri: loro semplicemente non contano nulla. Netanyahu si considera un Wmston Churchill dei tempi moderni. Ma non mi sembra di ricordare Churchill che «mi assumo la responsabilità della prossima sconfitta». Anche nella situazione disperata di quei giorni, credeva nella vittoria. E la parola «io» era poco presente nel suo discorso. Nel quotidiano lavaggio del cervello, dell'eventuale conflitto vengono presentati esclusivamente gli aspetti militari. Il dibattito verte sul potenziale bellico e sui pericoli per la popolazione civile. Gli israeliani sono in particolare, e comprensibilmente, preoccupati per la pioggia di decine di migliaia di missili che potrebbero cadere su ogni parte d'Israele, non solo dall'Iran ma anche dal Libano e da Gaza. Il ministro responsabile della difesa dei civili ha disertato proprio questa settimana e un altro, un profugo del partito Kadima, ha preso il suo posto. Tutti sanno che un'ampia parte della popolazione - me incluso - è del tutto indifesa. Ehud Barak ha annunciato che non più di 500 israeliani - una quantità miserabile! - verrebbero uccisi dai missili nemici. Non voglio avere l'onore di essere tra loro, sebbene abiti molto vicino al ministero della difesa... In realtà lo scontro militare tra Israele e l'Iran rappresenta solo una parte del quadro, e non la più rilevante. Come ho sottolineato in passato, molto più serio sarebbe l' impatto di un attacco israeliano all'Iran sull'economia mondiale, già in una crisi profonda Un attacco israeliano sarebbe percepito dall'Iran come ispirato dagli Stati Uniti e gli iraniani reagirebbero di conseguenza, come dichiarato questa settimana dal loro governo. Il Golfo Persico è una bottiglia il cui collo è lo Stretto di Hormuz, controllato completamente dall'Iran. Le grandi portaerei americane che ora navigano nel Golfo verrebbero allontanate prima che per loro sia troppo tardi. Somigliano a quegli antichi velieri che i collezionisti assemblano pazientemente nelle bottiglie. Anche le potenti armi statunitensi non sarebbero in grado di mantenere aperto lo Stretto. Dei semplici missili terra-mare basterebbero a tenerlo chiuso per mesi. Per riaprirlo sarebbe necessaria una prolungata operazione di terra da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Un'avventura lunga e sanguinosa, dalle conseguenze imprevedibili. La maggior parte delle forniture di petrolio deve passare attraverso quest'unica autostrada marina. Anche la semplice minaccia della sua chiusura farebbe schizzare alle stelle il prezzo del petrolio. La guerra causerebbe un collasso dell'economia mondiale, e centinaia di migliaia, se non milioni, di nuovi disoccupati. E ognuno di loro maledirebbe Israele. Poiché sarebbe chiarissimo che si tratterebbe di una guerra israeliana, la rabbia sarebbe rivolta contro di noi. Peggio, molto peggio: poiché Israele insiste che è «io Stato del popolo ebraico», la rabbia potrebbe prendere la forma di un'esplosione di antisemitismo senza precedenti. Gli islamofobi tanto di moda lascerebbero il posto ai vecchi nemici degli ebrei. «Gli ebrei rappresentano il nostro disastro» dicevano i nazisti. La situazione potrebbe risultare peggiore negli Stati Uniti. Finora gli americani se ne sono stati a guardare con tolleranza ammirevole mentre la loro politica estera veniva praticamente dettata da Israele. Ma persino l'onnipotente Aipac e i suoi alleati non riuscirebbero a contenere l'esplosione di rabbia popolare. Crollerebbero come gli argini di New Orleans. Tutto ciò avrà un forte impatto sui calcoli dei guerrafondai. In privato, e non solo, loro affermano che l'America alla vigilia delle elezioni avrà le mani legate. Nelle due settimane precedenti il 6 novembre, entrambi i candidati avranno una paura mortale della lobby ebraica. La previsione va avanti cos): Netanyahu e Barak attaccheranno fregandosene degli americani. Il contrattacco iraniano sarà diretto contro gli interessi americani e gli Stati Uniti saranno trascinati in guerra contro la loro volontà. Ma anche nell'improbabile eventualità che gli iraniani agiscano con estrema cautela e - contrariamente a quanto dichiarato -non attacchino obiettivi americani, il presidente Obama sarà costretto a salvarci, a spedirci una gran quantità di armi e munizioni, a rafforzare le nostre difese anti-missile, a finanziare la guerra - così calcolano i nostri guerrafondai. Altrimenti sarà accusato di lasciare Israele allo sbando e Mitt Romney sarà eletto come il salvatore dello Stato ebraico. Questo calcolo si basa sull'esperienza storica. In passato tutti i governi israeliani hanno sfruttato le elezioni negli Stati Uniti per i loro obiettivi. Nel 1948, quando agli Stati Uniti fu chiesto di riconoscere lo Stato d'Israele contro il parere esplicito sia del segretario di Stato che di quello della difesa, il presidente Truman stava lottando per la sua sopravvivenza politica. La sua campagna elettorale era in bancarotta. All'ultimo momento un gruppo di milionari ebrei saltò sul carro e salvarono Truman e Israele. Nel 1956 il presidente Eisenhower era nel mezzo della sua campagna per la rielezione quando Israele - in combutta con Francia e Gran Bretagna - attaccò l'Egitto. Si trattò di un calcolo sbagliato: Eisenhower non aveva bisogno dei voti e del denaro degli ebrei e pose fine a quell'avventura. In altre annate elettorali la posta in gioco fu più modesta, ma l'occasione venne sempre utilizzata per ottenere concessioni dagli Stati Uniti. Funzionerà anche questa volta? Se Israele scatenasse una guerra alla vigilia delle elezioni nell'evidente tentativo di ricattare il presidente, l'opinione pubblica americana sosterrebbe Israele o gli si rivolterebbe contro? Sarebbe una scommessa di portata storica. Ma, proprio come Mitt Romney, Netanyahu è un protetto del magnate dei casino Sheldon Adelson e potrebbe rivelarsi pronto a scommettere, come i poveri scemi Che sprecano i loro soldi nelle sale da gioco di Adelson. E gli israeliani, dove sono in tutto questo? Malgrado il costante lavaggio del cervello, i sondaggi rivelano che la maggior parte degli israeliani è nettamente contraria a un attacco. Netanyahu e Barak sono visti come due dipendenti - in molti li considerano megalomani - che non ragionano in maniera razionale. Uno degli aspetti più incredibili di questa situazione è che il nostro capo dell'esercito e l'intero comando generale, cosl come i capi del Mossad e dello Shin Bet, e quasi tutti i loro predecessori, si oppongono nettamente e pubblicamente all'attacco. E una delle rare occasioni in cui i comandi militari sono più moderati dei loro capi politici, anche se in Israele un fatto simile si è già verificato. Ci si potrebbe chiedere come possono dei leader politici avviare un conflitto fatale quando praticamente tutti i loro consiglieri militari - che conoscono il nostro potenziale militare e possibilità di successo - sono contrari? Una delle ragioni di questa contrarietà è che i capi dell'esercito sanno meglio di chiunque altro quanto Israele sia completamente dipendente dagli Stati Uniti. La nostra relazione con l'America rappresenta la base della nostra sicurezza nazionale. Inoltre non è sicuro che Netanyahu e Barak avrebbero i numeri per attaccare nella maggioranza che li sostiene e tra i ministri. Questi ultimi sanno che, al di là di ogni altra considerazione, l'attacco allontanerebbe investitori e turisti, causando un danno immenso all'economia israeliana. Allora perché la maggior parte degli israeliani crede ancora che l'attacco sia imminente? Gli israeliani sono stati convinti che (a) l'Iran è governato da un branco di ayatollah pazzi e irrazionali e (b) che, se verranno in possesso della bomba atomica, ce la lanceranno certamente addosso. Convinzioni fondate sulle dichiarazioni di Mahmoud Ahmadi Nejad, che ha detto che spazzerà via Israele dalla faccia della terra. Ma ha dichiarato davvero questo? Certo ha espresso ripetutamente la sua convinzione che l'entità sionista sparirà dalla faccia della terra. Ma pare che non abbia mai sostenuto che saranno lui, o l'Iran, ad assicurare questo risultato. Potrebbe sembrare solo una piccola differenza retorica, ma in realtà in questo contesto è molto rilevante. Ahmadinejad forse ha la bocca troppo larga, ma il suo potere in Iran non è mai stato smisurato, e si sta indebolendo rapidamente. Gli ayatollah, coloro che governano davvero, sono tutto fuorché irrazionali. A partire dalla rivoluzione, il loro comportamento ha dimostrato che si tratta di persone molto prudenti, contrarie ad avventure militari, spaventati dalla lunga guerra contro l'Iraq che non cominciarono loro né fu voluta da loro. Un Iran con l'arma atomica può rappresentare un vicino scomodo, ma la minaccia di un «secondo olocausto» è un'invenzione dell'immaginario collettivo manipolato. Nessun ayatollah sgancerà una bomba, perché la risposta sarebbe sicuramente la cancellazione di tutte le città iraniane e la fine della gloriosa storia culturale della Persia. La bomba israeliana è stata prodotta proprio per assicurare questo effetto di deterrenza. Se Netanyahu & Co. fossero davvero spaventati dalla bomba iraniana, farebbero una di queste due cose: provvederebbero alla denuclearizzazione della regione, eliminando i nostri armamenti atomici (ipotesi molto improbabile); o farebbero la pace coi palestinesi e con l'intero mondo arabo, disarmando in questo modo l'ostilità degli ayatollah verso Israele. Ma le azioni di Netanyahu dimostrano che, per lui, mantenere sotto occupazione la Cisgiordania è molto più importante della bomba iraniana. Di quale altra prova abbiamo bisogno per capire quanto sia folle tutto questo allarme?2SABATO 12 NOVEMBRE 2011
Uri Avnery :Israele non attaccherà l’Iran. Punto e a capo.
Tutti conoscono la scena dagli anni della scuola: un piccoletto litiga con un ragazzo più grande. “Tenetemi!” grida ai suoi compagni, “Prima che gli spezzi le ossa!”
Il nostro governo sembra comportarsi in questo modo. Ogni giorno, su tutti i canali, urla che sta per spezzare le ossa all’Iran, nel giro di qualsiasi istante.
L’Iran sta producendo una bomba nucleare. Non possiamo permetterlo. E allora li bombarderemo fino a ridurli in briciole.
Benyamin Netanyahu lo dice in ciascuno dei suoi innumerevoli discorsi, compreso il suo discorso d’apertura della sessione invernale della Knesset. Idem Ehud Barak. Ogni commentatore che si rispetti (si è mai visto un commentatore che non si rispetti?) ne scrive. I media amplificano lo strepito e la furia.
"Haaretz” riempie la prima pagina di foto dei sette ministri più importanti (il “settetto della sicurezza”) indicandone tre a favore dell’attacco e quattro contro.
Un proverbio tedesco dice: “Le rivoluzioni annunciate in anticipo non avvengono mai.” Lo stesso vale per le guerre.Le questioni nucleari sono soggette a una censura militare molto stretta. Molto, molto stretta davvero.Tuttavia il censore sembra sorridere benevolmente. Lasciamo che i ragazzi, compreso il Primo Ministro e il Ministro della Difesa (il capo ultimo del censore) giochino la loro partita.Il rispettato ex capo di lungo corso del Mossad, Meir Dagan, ha ammonito pubblicamente contro l’attacco, descrivendolo come “l’idea più stupida” che egli avesse mai sentito. Ha spiegato di ritenere suo dovere ammonire contro di essa, in vista dei piani di Netanyahu e Barak.Mercoledì c’è stato un vero e proprio diluvio di rivelazioni. Israele ha sperimentato un missile che può portare una testata nucleare a più di 5.000 km di distanza, oltre dove sapete voi. E la nostra aviazione ha appena completato esercitazioni in Sardegna, a una distanza maggiore di dove sapete voi. E giovedì il Comando del Fronte Interno ha tenuto esercitazioni nell’intera Grande Tel Aviv, con le sirene che strillavano a più non posso.
Tutto questo sembra indicare che l’intero baccano è uno stratagemma. Forse per spaventare e dissuadere gli iraniani. Forse per spingere gli statunitensi ad azioni più estreme. Forse coordinato in anticipo con gli statunitensi. (Fonti inglesi, dal canto loro, hanno rivelato che la Real Marina si sta addestrando per appoggiare un attacco statunitense all’Iran).E’ una vecchia tattica di Israele quella di agire come se stesse dando di matto (“Il capo è impazzito” è un richiamo consueto nei nostri mercati, per suggerire che il fruttivendolo sta vendendo sottocosto). Non ascolteremo più gli Stati Uniti. Semplicemente bombarderemo e bombarderemo e bombarderemo. Beh, siamo seri per un momento Israele non attaccherà l’Iran. Punto e a capo.Alcuni possono pensare che io mi stia mettendo nei guai. Non avrei dovuto aggiungere almeno “probabilmente” o “quasi certamente”? No, non lo farò. Ripeto categoricamente: Israele NON Attaccherà L’Iran. Dall’avventura di Suez del 1956, quando il presidente Dwight D. Eisenhower trasmise un ultimatum che bloccò l’azione, Israele non ha mai intrapreso alcuna azione militare significativa senza aver ottenuto prima il consenso statunitense. Gli USA sono l’unico sostenitore affidabile di Israele nel mondo (oltre, forse, alle Fiji, alla Micronesia, alle Isole Marshall e a Palau). Distruggere questo rapporto significa tagliare l’ancora di salvezza. Per farlo bisogna essere più che solo un po’ fuori di testa. Bisogna essere pazzi furiosi.Inoltre Israele non può combattere una guerra senza l’illimitato sostegno statunitense, perché i nostri aerei e le nostre bombe vengono dagli Stati Uniti. Durante una guerra abbiamo bisogno di forniture, parti di ricambio, diversi tipo di equipaggiamento. Durante la guerra dello Yom Kippur, Henry Kissinger aveva un “treno aereo” che ci riforniva ventiquattr’ore al giorno. E quella guerra probabilmente sembrerebbe una scampagnata in confronto a una guerra con l’Iran. Guardiamo la carta geografica. Ciò, detto per inciso, è sempre raccomandato prima di cominciare qualsiasi guerra. La prima caratteristica che colpisce l’occhio è l’angusto Stretto di Hormutz attraverso il quale passa un barile su tre del flusso di petrolio mondiale trasportato per mare. Quasi l’intera produzione dell’Arabia Saudita, degli Stati del Golfo, dell’Iraq e dell’Iran deve superare le forche caudine di questa stretta rotta marittima.“Stretta” è un eufemismo. L’intera larghezza di questa via d’acqua è di circa 35 km (o 20 miglia). E’ circa la distanza tra Gaza e Beer Sheva, che è stata superata la settimana scorsa dai missili primitivi della jihad islamica.Appena il primo aereo israeliano entrasse nello spazio aereo iraniano, lo stretto verrebbe chiuso. La marina iraniana ha una quantità di navi lanciamissili, ma non ne avrà bisogno. Saranno sufficienti missili lanciati da terra.Il mondo sta già barcollando sull’orlo dell’abisso. La piccola Grecia sta minacciando di cadere e di portare con sé grossi pezzi dell’economia mondiale. L’eliminazione di quasi un quinto delle forniture di petrolio alle nazioni industriali porterebbe a una catastrofe difficile addirittura da immaginare.Aprire lo Stretto con la forza richiederebbe una grossa azione militare (compreso “mettere gli scarponi sul terreno”, un’invasione terrestre) che eclisserebbe le disavventure statunitensi in Iraq e in Afghanistan. Gli USA possono permetterselo? Lo può la NATO? Israele stesso non fa parte della stessa lega.Ma Israele sarebbe coinvolto moltissimo nell’azione, anche se solo dalla parte passiva .In una rara dimostrazione di unità, tutti i capi dei servizi israeliani, compresi i capi del Mossad e dello Shin Bet, si oppongono pubblicamente all’intera idea. Possiamo solo immaginare il perché. Non so se l’operazione sia affatto possibile. L’Iran è un paese molto vasto, circa delle dimensioni dell’Alaska; le installazioni nucleari sono ampiamente sparpagliate e in larga misura sotterranee. Anche con le speciali bombe a penetrazione profonda degli USA, l’operazione potrebbe portare a uno stallo degli sforzi iraniani – quali che siano – solo per pochi mesi. Il prezzo potrebbe essere troppo alto per un risultato così magro .Inoltre è quasi certo che con l’inizio di una guerra i missili grandinerebbero su Israele, non solo dall’Iran, ma anche da Hezbollah e forse anche da Hamas. Non abbiamo una difesa adeguata per le nostre cittadine. La quantità di morti e distruzioni sarebbe proibitiva. Improvvisamente i media sono pieni di storie circa i nostri tre sottomarini, che presto passano a cinque o anche sei, se i tedeschi saranno comprensivi e generosi. E’ detto apertamente che essi ci darebbero la capacità di un “secondo attacco”, se l’Iran utilizzasse le sue (ancora inesistenti) testate nucleari contro di noi. Ma gli iraniani possono anche usare armi chimiche e altre armi di distruzione di massa.Poi c’è il prezzo politico. Ci sono un mucchio di tensioni nel mondo islamico. L’Iran è tutt’altro che popolare in molte parti di esso. Ma un assalto israeliano a uno dei principali paesi mussulmani unirebbe istantaneamente sunniti e sciiti, dall’Egitto alla Turchia al Pakistan e oltre. Israele diventerebbe una villa in una giungla in fiamme .Ma il parlare di guerra può servire a molti scopi, inclusi quelli politici interni. Sabato scorso il movimento di protesta sociale si è rifatto vivo. Dopo una pausa di due mesi, una massa di gente si è riunita nella piazza Rabin di Tel Aviv. La cosa è stata particolarmente notevole per quello stesso giorno stavano cadendo missili sulle città vicine alla Striscia di Gaza. Fino ad ora in una situazione simile le dimostrazioni erano sempre state annullate. I problemi della sicurezza hanno la priorità su ogni altra cosa. Non questa volta.Molti, poi, ritenevano che la festa per Gilad Shalit avrebbe cancellato la protesta dalla mente del pubblico. Non ho ha fatto. Al riguardo è successo qualcosa di degno di nota: i media, dopo essersi schierati per mesi con il movimento di protesta, hanno cambiato atteggiamento. Improvvisamente tutti, compreso Haaretz, gli piantano coltelli nella schiena. Come eseguendo un ordine, tutti i giornali il giorno dopo hanno scritto che “più di 20.000” avevano preso parte [alla manifestazione].Beh, io c’ero, e ho realmente qualche competenza su queste cose. C’erano almeno 100.000 persone là, per la maggior parte giovani. A fatica potevo muovermi.La protesta non si è esaurita, come affermano i media. Lungi da ciò. Ma quale mezzo migliore per distogliere l’attenzione della gente dalla giustizia sociale che parlare di “pericolo esistenziale”? Inoltre, le riforme rivendicate dai manifestanti richiederebbero fondi. Considerata la crisi finanziaria globale, il governo si oppone strenuamente ad aumentare il bilancio statale per timore di danneggiare la propria valutazione creditizia .E allora da dove potrebbero arrivare i soldi? Ci sono solo tre fonti plausibili: gli insediamenti (chi oserebbe?), gli ortodossi (idem!) e l’enorme bilancio militare. Ma alla vigilia della guerra più cruciale della nostra storia, chi toccherebbe le forze armate? Abbiamo bisogno di ogni shekel per comprare altri aerei, altre bombe, altri sottomarini. Le scuole e gli ospedali, ahimè, devono aspettare. E dunque Dio benedica Mahmoud Ahmadinejad. Dove saremmo senza di lui?
Uri Avner è un attivista pacifista israeliano ed ex membro della Knesset. E’ il fondatore di Gush Shalom. Ha offerto questo articolo a PalestineChronicle.com.
Israele non attaccherà l’Iran. Punto e a capo.
3 VENERDÌ 11 APRILE 2008
Uri Avnery Che ne facciamo dell'Iran? Israele, gli Usa, e la prossima guerra
Qualche tempo fa uno stimato giornale americano ha messo a segno uno scoop: il vicepresidente Dick Cheney, Re dei Falchi, avrebbe escogitato un piano machiavellico per attaccare l'Iran. In sostanza: Israele inizierà bombardando un'installazione nucleare iraniana, l'Iran reagirà lanciando missili contro Israele, e questo servirà come presteso per un attacco americano all'Iran.Ma probabilmente i guerrafondai stanno sussurrando nell'orecchio di Bush: non c'è bisogno di invadere l'Iran. E' sufficiente bombardarlo, così come abbiamo bombardato la Serbia e l'Afghanistan. Useremo le bombe più intelligenti e i missili più sofisticati contro circa duemila target, per distruggere non solo i siti nucleari iraniani, ma anche le loro installazioni militari e gli uffici del governo. «Li bombarderemo fino a farli tornare all'età della pietra», come disse una volta un generale americano a proposito del Vietnam, o «gli metteremo indietro l'orologio di vent'anni», come ha detto a proposito del Libano il generale dell'aeronautica israeliano Dan Halutz.
Troppo arzigogolato? In realtà no. Il piano è piuttosto simile a ciò che avvenne nel 1956. Allora Francia, Israele e Gran Bretagna progettarono di attaccare l'Egitto per rovesciare Gamal Abd-al-Nasser (un «cambio di regime», si direbbe oggi). Fu deciso di lanciare paracadutisti israeliani vicino al Canale di Suez: il conflitto conseguente sarebbe servito da pretesto a francesi e britannici per occupare l'area del Canale, allo scopo di «garantirsi» quella via di navigazione. Il piano fu messo in atto (e fallì miseramente).
Cosa succederebbe se aderissimo al piano di Cheney? I piloti israeliani rischierebbero la vita per bombardare le installazioni iraniane, difese con armi pesanti. Poi i missili iraniani pioverebbero sulle città di Israele. Centinaia, forse migliaia di persone sarebbero uccise. E tutto, per fornire agli americani un pretesto per andare in guerra. Il pretesto reggerebbe? Gli Usa sono tenuti a scendere in guerra al nostro fianco, anche quando la guerra è causata da noi? In teoria sì. Gli attuali accordi dicono che l'America deve intervenire in aiuto di Israele in qualunque guerra, chiunque l'abbia cominciata.
Ha qualche sostanza l'indiscrezione del giornale americano? Difficile dirlo. Ma rafforza il sospetto che un attacco all'Iran sia più imminente di quanto comunemente si immagini.
Bush, Cheney e compagnia. intendono davvero attaccare l'Iran? Non lo so, ma il mio sospetto che possano farlo si sta rafforzando. Perché? Perché George Bush si sta avvicinando al termine del suo mandato. Se questo dovesse finire così come le cose appaiono ora, sarà ricordato negli annali della repubblica come un presidente pessimo, se non il peggiore. La sua presidenza è iniziata con la catastrofe delle Torri Gemelle, cosa che non ha dato una buona immagine delle agenzie di intelligence, e si chiuderebbe con il tragico fallimento dell'Iraq.
Gli è rimasto solo un anno di tempo per fare colpo sull'opinione pubblica e salvare il suo nome nei libri di storia. In situazioni come queste, i leader tendono a cercare avventure militari. Considerati i tratti caratteriali di cui ha dato prova, l'opzione guerra appare assai preoccupante.E' vero, in Iraq e Afghanistan l'esercito americano è impantanato. Neanche persone come Bush e Cheney potrebbero sognarsi, in questo momento, di invadere un paese quattro volte più grande dell'Iraq, con il triplo della popolazione.
L'idea è allettante. Gli Stati Uniti userebbero solo l'aviazione, missili di tutti i tipi e le loro potenti portaerei, già schierate nel Golfo Persico. Tutte queste cose possono essere attivate in qualunque momento, con breve preavviso. Per un presidente fallito che si sta avvicinando alla fine del mandato, l'idea di una guerra breve e facile deve avere un'attrattiva immensa.
Sarebbe davvero una «passeggiata»? Ne dubito. Anche le bombe «intelligenti» uccidono le persone. Gli iraniani sono un popolo orgoglioso, risoluto e fortemente motivato. Sottolineano il fatto che in duemila anni non hanno mai attaccato un altro paese, ma negli otto anni della guerra Iran-Iraq hanno ampiamente dimostrato la loro determinazione a difendersi, se attaccati.
La loro prima reazione a un attacco americano sarebbe di chiudere lo stretto di Hormuz, l'accesso al Golfo. Questo strozzerebbe larga parte della fornitura mondiale di petrolio e causerebbe una crisi economica mondiale senza precedenti. Per aprire lo stretto (ammesso che ciò sia possibile), l'esercito Usa dovrebbe conquistare larghe fette del territorio iraniano e mantenerle sotto il proprio controllo. La guerra breve e facile diverrebbe lunga e difficile.
Che cosa significa questo per noi, in Israele? Possono esserci pochi dubbi sul fatto che l'Iran, se attaccato, reagirà come ha promesso: bombardandoci con i razzi che sta preparando a questo scopo. Ciò non metterebbe a rischio la vita di Israele, ma non sarebbe neanche piacevole.
Se l'attacco americano si trasformasse in una lunga guerra di logoramento, e se l'opinione pubblica americana dovesse finire per considerare questo un disastro (come sta succedendo ora per l'avventura irachena), alcuni certamente darebbero la colpa a Israele. Non è un segreto che la lobby filo-israeliana e i suoi alleati - i neo-cons (soprattutto ebrei) e i sionisti cristiani - stanno trascinando l'America in questa guerra, proprio come l'hanno trascinata in Iraq. Per la politica israeliana, i vantaggi sperati di questa guerra potrebbero trasformarsi in gigantesche perdite, non solo per Israele, ma anche per la comunità ebraico-americana.Se il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad non esistesse, il governo israeliano avrebbe dovuto inventarlo. Ha tutto ciò che si può desiderare in un nemico. Parla troppo. E' uno spaccone. Gli piace dare scandalo. Nega l'Olocausto. Profetizza che Israele «sparirà dalla mappa» (anche se non ha detto, come erroneamente riferito, che sarebbe stato lui a cancellare Israele dalla mappa).
Ma Ahmadi Nejad non è l'Iran. Ha vinto le elezioni, ma l'Iran è come i partiti ortodossi in Israele: non sono i suoi politici a contare, ma i suoi rabbini. E' la leadership religiosa sciita a prendere le decisioni e comandare le forze armate, e questa non usa alzare i toni del discorso, né dare scandalo. E' estremamente cauta.
Se l'Iran bramasse davvero una bomba nucleare, avrebbe agito nel massimo riserbo e tenuto il profilo più basso possibile (come ha fatto Israele). Le spacconate di Ahmadi Nejad nuocerebbero a questo tentativo più di quanto potrebbe fare qualunque nemico dell'Iran.
E' estremamente sgradevole pensare a una bomba nucleare in mani iraniane (e, a dire il vero, nelle mani di chiunque). Spero che ciò si possa evitare offrendo incentivi e/o imponendo sanzioni. Ma anche se questo non dovesse succedere, non sarebbe la fine del mondo, né la fine di Israele. In questo campo, più che in qualunque altro, il potere deterrente di Israele è immenso. Anche Ahmadi Nejad non rischierà uno scambio di regine: la distruzione dell'Iran per la distruzione di Israele.
Napoleone disse che per capire la politica di un paese, basta guardare la carta geografica. Se lo faremo, vedremo che una guerra tra Israele e l'Iran non avrebbe una ragione oggettiva. Al contrario, per molto tempo a Gerusalemme si è creduto che i due paesi fossero alleati naturali.
David Ben-Gurion auspicava una «alleanza della periferia». Era convinto che tutto il mondo arabo fosse il nemico naturale di Israele, e che, dunque, gli alleati andassero cercati ai margini del mondo arabo: Turchia, Iran, Etiopia, Ciad ecc. (Egli cercò alleati anche nel mondo arabo, in comunità non arabo-sunnite come maroniti, copti, curdi, sciiti e altri.)
Al tempo dello scià, tra l'Iran e Israele vi erano rapporti molto stretti, alcuni positivi, altri negativi, altri ancora sinistri. Lo scià contribuì a costruire un oleodotto che andava da Eilat ad Askelon, per trasportare il petrolio iraniano fino al Mediterraneo, bypassando il Canale di Suez. Il servizio segreto interno israeliano (Shabak) addestrò il suo famoso omologo iraniano (Savak). Israeliani e iraniani hanno agito insieme nel Kurdistan iracheno, aiutando i curdi contro i loro oppressori arabo-sunniti.
La rivoluzione di Khomeini all'inizio non ha messo fine a questa alleanza, l'ha solo resa sotterranea. Durante la guerra Iran-Iraq, Israele riforniva di armi l'Iran, in base al presupposto che chiunque combatta contro gli arabi sia un nostro amico. Allo stesso tempo gli americani fornivano le armi a Saddam Hussein, uno dei rari casi di divergenza tra Washington e Gerusalemme. Questa fu colmata nell'affair Iran-Contra, quando gli americani aiutarono Israele a vendere armi agli Ayatollah.Oggi tra i due paesi sta infuriando una battaglia ideologica, ma questa è combattuta soprattutto a livello retorico e demagogico. Oserei dire che a Ahmadi Nejad non importa un fico secco del conflitto israelo-palestinese, lo usa per stringere alleanze nel mondo arabo. Se fossi un palestinese, non ci farei affidamento. Prima o poi la geografia dirà la sua e le relazioni israelo-iraniane torneranno quello che erano - si spera su una base più positiva.
Una previsione di cui sono certo: chiunque farà pressione per una guerra contro l'Iran, se ne pentirà. Sia noi che gli americani potremmo presto avere la sensazione che il fango iracheno sia panna montata, in confronto al pantano iraniano.
traduzione Marina Impallomeni4MERCOLEDÌ 7 FEBBRAIO 2007
Ury Avnery : a chi fa paura il nucleare iraniano
Al culmine dell'epica battaglia d'Inghilterra nel 1940, mentre un grandissimo numero di aviatori britannici perdevano la vita (mai tante persone dovevano così tanto a poche altre), un ufficiale che aveva il compito di fare propaganda ebbe una brillante idea per risollevare il morale. Sui muri delle basi della Royal Air Force, apparve un manifesto con le seguenti parole: "Chi ha paura dei Ju-87?" (all'epoca era uno degli aerei più temuti). Un anonimo pilota scrisse sul manifesto: "Firmate qui!" In poche ore tutti i piloti della base avevano firmato. Se oggi qualcuno dovesse affiggere un manifesto con la domanda "Chi ha paura del nucleare iraniano?" credo che tutti, in Israele, ma anche fuori Israele, firmerebbero.
Pare che noi, israeliani, abbiamo la necessità costante di temere qualcosa. Quando apriamo gli occhi alla mattina, abbiamo come primo pensiero il-pericolo-del-giorno . Per quale altra ragione, altrimenti, varrebbe la pena alzarsi? Forse non è il caso di puntare il dito sull'opinione pubblica, ma più probabilmente bisogna guardare ai politici, i quali utilizzano la paura come mezzo di controllo.Un tempo nemmeno troppo lontano, erano gli Hezb'Allah. Dei musulmani fanatici, dei pazzi sciiti che volevano annientare Israele. Un enorme arsenale di razzi. Dio ci protegga!Intanto c'era in corso una guerra, piovevano razzi, gli attentati alla vita e alla proprietà privata erano relativamente leggeri (per coloro i quali non erano coinvolti, ovvio). Il terribile pericolo rappresentato da Hezb'Allah fu messo da parte. Certo, Hezb'Allah è rimasta dov'era, i razzi sono stati riposti e Nasr'allah continua ad esasperare la situazione, ma tutto ciò ha cessato di suscitare un reale interesse. Un mostro già utilizzato non è più molto eccitante. Adesso i capi militari, che hanno fallito in Libano, si sforzano al fine di creare un nuovo terrore: Hamas nei territori di Gaza. Lì abbiamo un pericolo immediato e terribile. Tonnellate di esplosivo arrivano attraverso i tunnel. Da un momento all'altro, Hamas sarà equipaggiata di moderne armi anticarro e di missili antiaerei. Hamas sta costruendo fortificazioni sotterranee. Non è terrificante?Nei media, i pappagalli militari e politici si mobilitano. Tutto questo passaparola dei media ripete continuamente il messaggio che ghiaccia il sangue, al mattino, al pomeriggio e alla sera: Gaza sta diventando un secondo Libano del Sud ! Bisogna fare assolutamente qualcosa! Non si può attendere un minuto di più! L'armata deve andare, occupare la striscia di Gaza, o almeno parti di essa!Ma le persone non sono totalmente ingenue. E' difficile provocare paure quando il nemico non ha i mezzi per rispondere. La nostra aviazione, i nostri tanks e i nostri coraggiosi ragazzi li uccidono senza trovare il minimo ostacolo. Allora cosa dobbiamo temere?Ma la storia iraniana è tutt'altra cosa. ci sono veramente le ragioni per aver paura.Lì almeno abbiamo un nemico che dichiara di essere contrario all'esistenza stessa del nostro Stato, e che potrebbe tra poco tempo, affrontarci con armi di distruzione di massa.Il presidente eletto in Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ama lanciare dichiarazioni provocatrici. E' il suo passatempo preferito, ma è pure uno stratagemma di politica interna che funziona. Ha detto che l'Olocausto non ha mai avuto luogo e, che se fosse veramente accaduto, sarebbe stato molto meno importante di quel che si dice e che c'è la necessità di ristudiare tutto l'insieme. Profetizza anche la distruzione del "regime sionista".A dire il vero, non ha mai veramente dichiarato che aveva l'intenzione di "spazzare Israele dalla carta geografica" come è stato detto. Secondo la traduzione più fedele che ho visto, ciò che realmente avrebbe sostenuto è "Un giorno Israele sarà cancellato dalla carta geografica". Ma è già abbastanza spaventoso.E' spaventoso in quanto in pochi anni, l'Iran può dotarsi di una bomba nucleare. Pare che non si possa impedire. Venticinque anni fa Israele bombardò un reattore nucleare iracheno. L'Iran ha tirato le debite conclusioni disperdendo le proprie installazioni militari in luoghi diversi. Le capacità israeliane non sono sufficienti a distruggerle. La nomina di Avigdor Liberman, propagatore di idee fasciste, a "ministro incaricato della minaccia strategica" non cambia niente.Se Israele non è che la quarta o quinta potenza a livello mondiale e non può farlo, che cosa ne è degli Stati Uniti, numeri uno praticamente in tutto? Ebbene non ne sono capaci nemmeno loro. Le installazioni che sono sotterrate nel suolo non possono essere distrutte, e la guerra che ne seguirebbe non potrebbe essere vinta senza ingaggiare forze terrestri. Dopo i fiaschi in Iraq e in Afghanistan, non ci sono molti generali americani sani di mente che aspirano a ciò.E' anche possibile che, tra qualche anno, il Presidente iraniano possa avere per le mani delle armi nucleari. E se questo non è spaventoso, non so cosa possa esserlo.E allora, perchè non ho paura?Vivo in Israele e sono determinato a continuare a viverci. Israele è un piccolo paese e la maggior parte della sua popolazione vive nella zona urbana di Tel-Aviv. Abito nel centro della città, in quella zona che gli Americani chiamerebbero Ground Zero. Se un'arma nucleare, piccola e primitiva come quella di Hiroshima, cadesse nell'immobile in cui vivo, la gran parte della popolazione israeliana sarebbe annichilita. Due o tre bombe di questo tipo sarebbero sufficienti a mettere fine allo Stato d'Israele (e, al tempo stesso, ai territori palestinesi vicini).Ma non credo che tutto ciò succederà.Per credere a una tale possibilità, bisogna considerare i dirigenti iraniani come una banda di folli. A dispetto degli sforzi di Ahmadinejad al fine di convincerci in merito, non ne sono personalmente così sicuro.Credo invece che la leadership iraniana, e in particolare la direzione politico-religiosa, sia composta da persone molte sensate. Da quando hanno preso il potere, hanno agito con prudenza e competenza. Non hanno avviato nessuna guerra. Al contrario, si glorificano del fatto che nei 2.000 anni passati, l'Iran non ha scatenato alcuna guerra. E nell'establishment iraniano, il presidente non è altro che un uomo politico assolutamente subordinato agli ayatollahs, i quali esercitano il potere effettivo. (Piuttosto curiosamente, lo stesso sistema regna nei nostri partiti fondamentalisti, Agudat Israel et Shass.)Non voglio ignorare ciò che Ahmadinejad ha detto. Dopo Adolf Hitler e il suo Mein Kampf, chi oserebbe non tener conto di siffatte dichiarazioni? Ma il presidente iranianano non ha il potere del führer tedesco, i due paesi , così come le circostanze storiche, sono completamente differenti.L'annientamento di Tel-Aviv porterebbe inevitabilmente all'annientamento di Tehran e dei preziosi tesori dell'antica e gloriosa cultura persiana. Metaforicamente in termini di scacchi sarebbe uno scambio non di regine, ma di re. Ed è molto più ragionevole credere che, tra Iran e Israele, sarà stabilito un “equilibrio del terrore", come quello che ha impedito il verificarsi della terza guerra mondiale tra Stati Uniti e Unione Sovietica e come quello che attualmente impedisce una ripresa delle ostilità indo-pakistane.Malgrado questo, non aspetteremo passivamente di arrivare alla situazione in cui Israele, l'Iran e forse altri Stati arabi come l'Egitto e l'Arabia Saudita possiedano delle bombe nucleari. Il genio nucleare è uscito dalla sua bottiglia e si spande attraverso il mondo.Se non ci sono opzioni militari, cosa possiamo fare?Per prevenire il pericolo, lo sforzo principale deve essere volto alla pace con i Palestinesi e con tutto il mondo arabo. Persone come Ehoud Olmert possono immaginarsi che il problema palestinese possa essere isolato dal contesto globale e regionale. Ma questa situazione è legata a numerosi fattori, i quali costantemente variano.La forza relative degli Stati Uniti, nostri unici alleati nel mondo (con le isole Fiji, la Micronesia e le isole Marshall) decresce lentamente, ma in modo inesorabile. L'Iran sta diventando una forza regionale. Gli aspetti nucleari danno una nuova dimensione al conflitto storico. Come il filosofo greco ha detto: panta rei, tutto scorre.I generali possono ben immaginarsi che porteranno a casa un'enorme vittoria contro Hamas a Gaza, Olmert può ben porsi la questione alla maniera di Amleto “Parlare o non parlare?" (con Mahmoud Abbas), ma intanto, succedono cose che dovrebbero accelerare l'avvenimento di una riconciliazione tra i due popoli.Se la direzione eletta del popolo palestinese dovesse firmare con noi un accordo che annunci la fine del conflitto e se tutto il mondo arabo facesse la pace con noi sulla base dell'"iniziativa saudita", ebbene, ciò significherebbe la fine dei tutti gli Ahmadinejads del mondo. Se i palestinesi dovessero accettare essi stessi l'idea di una coesistenza con Israele e se l'Egitto, la Giordania e la maggior parte dei pesi del mondo arabo accettassero tale situazione, in nome di chi gli iraniani dovrebbero liberare la Palestina?.Nel quadro del processo di pace israelo-palestinese, sarebbe anche necessario creare una zona franca da armi nucleari. Una efficace mutua ispezione sarebbe possibile? Potrebbero esserci in merito delle solide garanzie? Al momento è difficile dirlo. Ma vale la pena prendere in considerazione tutto ciò.Qualsiasi cosa sia, non ci sono ragioni di fare incubi apocalittici. Anche se fosse, una bomba nucleare tra le mani di Tehran non sarebbe la fine del mondo, né tanto meno la fine di Israele. Ciò creerebbe una nuova situazione e dovremmo viverci assieme.I padri del sionismo hanno chiamato gli Ebrei a prendere la loro sorte nelle loro proprie mani e a rovesciare il corso della storia, e coloro i quali hanno risposto a questo appello hanno caricato sulle loro spalle tutti i rischi che ciò implicava. Il mondo è un posto pericoloso, e non vi è esistenza senza pericolo. Mi auguro che si abbia il buon senso di non esagerare i pericoli che, in un modo o nell'altro, esistono.Come questi coraggiosi aviatori britannici, abbiamo il diritto di avere paura. Ma dobbiamo far fronte alla nuova situazione con uno spirito lucido e una determinazione misurati
.Ury AvneryFonte: http://www.mondialisation.ca
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