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Akiva Eldar: roulette israeliana.Israele il luogo più pericoloso per un ebreo




SINTESI PERSONALE

Recentemente ho parlato con un parente caro, nato in questo paese, nel tentativo di convincerlo a tornare e a portare i suoi figli in Israele. Mi sono ricordato di questa conversazione quando ho letto i discorsi fatti la scorsa settimana dai due leader della nazione, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Ehud Barak, alla cerimonia di laurea del Collegio di Sicurezza Nazionale.

Nel suo discorso Netanyahu ha presentato le cinque sfide principali che minacciano il paese: il programma nucleare iraniano, la minaccia missilistica, la cyber guerra, i problemi vicino ai confini e lo stoccaggio di armi nella regione. Egli ha promesso che Israele avrebbe fatto tutto il possibile per fermare il programma nucleare iraniano. Ha promesso che in caso di necessità Israele avrebbe circondato il paese con ulteriori recinzioni di sicurezza, aumentato il bilancio della difesa.

Barak è andato anche oltre: le sfide che abbiamo di fronte ha avvertito sono tra le più complesse e complicate affrontate da Israele in tutta la sua esistenza profetizzando che né la diplomazia né le sanzioni fermeranno il piano nucleare iraniano e per questo ogni opzione è sul tavolo . Per dessert il ministro ha promesso che Israele non sarebbe stare a guardare mentre oziosamente sofisticati sistemi d'arma venivano trasferiti dalla Siria agli Hezbollah in Libano.

Il primo ministro ha finito la sua lezione esprimendo la convinzione che i figli di Israele sarebbero pronto a "gettarsi nella missione di difendere il paese come non avverrebbe in nessun altro paese ." Barak ha aggiunto ai laureati che nel momento della verità, di fronte alla prova finale, Israele dovrà   contare solo su se stessa.

Un paese che ha promesso di fornire agli ebrei giunti da tutti gli angoli del globo la pace, la sicurezza e il benessere, sta offrendo loro sangue, sudore e lacrime. La visione nazionale offerta alla cerimonia di laurea del Collegio di Sicurezza Nazionale ricorda l'antica Sparta.

Tre anni dopo il discorso a Bar-Ilan ,dove Netanyahu ripeté la parola "pace" 44 volte -, ha aggiunto alla fine del suo discorso , come un residuo, che la promessa di salvaguardare la sicurezza di Israele " costituisce la nostra capacità di preservare la pace con gli altri paesi limitrofi.

Il primo ministro ha menzionato l'esistenza dello Stato di Israele come uno stato ebraico e democratico, solo nel contesto della necessità di controllare le frontiere "da infiltrati illegali".

Risolvere il conflitto con i palestinesi non è stato menzionato nella lista delle sfide alla sicurezza nazionale che le due persone più influenti idi Israele hanno presentato ai laureati del collegio. Non hanno nemmeno menzionato termini come "processo di pace" o una "soluzione per due stati", .
La vita in Israele dove volevamo far crescere i nostri figli nella pace, nella solidarietà   nei valori democratici  ed ebraici  non sta implodendo su di noi? Come Netanyahu e Barak intendono far rivivere questi valori la mattina dopo il bombardamento dell'Iran e il bombardamento per rappresaglia? Entrerà nelle loro menti l'iniziativa di pace araba che è in imbarazzante attesa da più di un decennio o lasceranno affondare ancora di più Israele nella realtà di apartheid?
Chi vuole andare a dormire con l'incubo di poter essere tra le 500 vittime del confronto con Teheran o di svegliarsi la mattina con la paura di un attacco missilistico dal Libano? Quanti israeliani credono che un altro round di violenza nei territori, con il pericolo di sfociare in un conflitto regionale, non sarà una guerra di "pace per l'avamposto di] Migron" - questo termine magico israeliano trasforma ogni guerra in pace e ogni occupazione in una visione."

Quanti israeliani si chiedono perché rimanere in un paese diventato il luogo più pericoloso per gli ebrei? E chi è pronto a raccomandare a un parente caro di tornare a casa e allevare i suoi figli qui?

Articolo in Inglese


Israeli roulette

How many Israelis ask themselves why they remain in a country that has become the most dangerous place for Jews?

By Akiva Eldar Jul.30, 2012 | 3:47 AM
Recently I had a heart-to-heart talk with a beloved relative who was born in this country, in an effort to persuade her to return and bring up her children in Israel. I was reminded of this conversation when I read the speeches made last week by the two leaders of the nation, Prime Minister Benjamin Netanyahu and Defense Minister Ehud Barak, at the graduation ceremony of the National Security College.
In his speech Netanyahu presented the five leading challenges that threaten the country: the Iranian nuclear program, the missile threat, cyber warfare, problems near the borders and the stockpiling of weapons in the region. He promised Israel would do its utmost to stop the Iranian nuclear program. He vowed that, to the extent that it is necessary, Israel would surround additional parts of the country with security fences, alter the composition of its forces and increase the defense budget.
Barak went even further in enumerating the disasters that confront us and could destroy us. The challenges we face, he said, are among the most complex and complicated that the state has faced in its entire existence. He warned that the Iranian nuclear plan could turn into an existential threat against the state, prophesized that neither diplomacy nor sanctions would be able to stop it, and promised not to remove any option from the agenda to thwart it. For dessert, the minister promised that Israel would not stand by idly watching while sophisticated weapons systems are transferred from Syria to Hezbollah in Lebanon.
The prime minister ended up his lecture by expressing his belief that the sons of Israel would be ready "to throw themselves into the mission of defending the country in a way unequalled in any other country." Barak told the graduates that at the moment of truth, if faced with the ultimate test, Israel would be able to rely only on itself.
A country that has promised to provide Jews who have gathered there from all corners of the globe with peace, security and welfare, is offering them more blood, more sweat and more tears. They would not have phrased the national vision better at the graduation ceremony of the National Security College in ancient Sparta.
Three years after his Bar-Ilan speech - in which Netanyahu repeated the word "peace" 44 times - he added it again at the end of this speech, like a leftover, when promising to safeguard Israel's security "and also our ability to preserve peace and to achieve peace with other neighbors."
The prime minister mentioned the State of Israel's existence as a state, and as a Jewish and democratic one, only in the context of the need to guard the borders "from illegal infiltrators."
Solving the conflict with the Palestinians won no mention in the list of national security challenges that the two most influential people in Israel presented to the graduates of the college. They did not even pay lip service to the "peace process" or a "two-state solution" which also has been imprisoned in quotation marks.
In a hair-raising report about her experiences in Syria, published last week in The New York Times, the courageous writer and war correspondent Janine di Giovanni wonders: "When does life as you know it implode? How do you know when it is necessary to pack up your home and your family and leave your country? And if you decide not to, why?"
Is life in Israel where we wanted to raise our children - a peace-loving country that believes in democratic and Jewish values and in a society of solidarity - not imploding on us? How do Netanyahu and Barak intend to revive these values on the morning after the bombing of Iran and the bombing in retaliation? Will it perhaps enter their minds to relate after all this time to the Arab peace initiative that has been waiting embarrassedly for more than a decade - or will they allow Israel to sink even deeper into the reality of apartheid?
Who wants to go to sleep with the nightmare that he may be among the 500 victims of the confrontation with Tehran or to awaken in the morning with the fear of a missile attack from Lebanon? How many Israelis believe that another round of violence in the territories, with its danger of deteriorating into a regional conflict, will not be a war of "peace for [the outpost of] Migron" - that magical Israeli term that turns every war into peace and every occupation into a vision.
How many Israelis ask themselves why they remain in a country that has become the most dangerous place for Jews? And who is prepared to recommend to a beloved relative that she should come home and raise her children here?

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