Futuro incerto per le famiglie cristiane palestinesi


Sono sempre meno numerose. E molte sognano di emigrare per garantire un futuro migliore ai propri figli. Oggi le famiglie arabo-cristiane dei Territori palestinesi, rappresentate da un piccolo drappello alFamily Day 2012 (Milano, 30 maggio-3 giugno), sono circa 15 mila, per un totale di 50 mila fedeli. Si tratta di famiglie che stanno vivendo, in questi anni, una situazione di crescente difficoltà. «I problemi che devono affrontare pur essendo collegati tra loro, sono di due ordini diversi – racconta Bernard Sabella, professore di sociologia all'Università di Betlemme (nel tondo) e autore di molti saggi sui cristiani arabi -. Da una parte c’è l’occupazione israeliana, le cui conseguenze i palestinesi cristiani condividono con la maggioranza musulmana; dall’altra il numero dei cristiani arabi diminuisce costantemente in termini relativi, e questo mette a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunità».
Nella città di Gerusalemme, ad esempio, nel 1988 i cristiani erano 14.400, contro una popolazione di 353.800 ebrei e 125.200 musulmani.
Venti anni dopo, nel 2009, il numero di cristiani è cresciuto di poco (14.500), mentre quello di ebrei (763.500) e musulmani (264.300) è addirittura raddoppiato. «L’occupazione è dura per tutti, cristiani e musulmani, e tutti nei Territori vivono i disagi della crisi economica e della disoccupazione – spiega Sabella -. Ma per la comunità cristiana le conseguenze sono peggiori, poiché la sua consistenza numerica è già limitata in partenza. Oggi, ad esempio, nella città vecchia di Gerusalemme le giovani donne cristiane in età da marito sono 109, mentre i giovani cristiani solo 85, poiché tanti sono emigrati all’estero per studiare o lavorare. Questo significa che molte ragazze cristiane sono destinate a rimanere nubili; e che il numero delle famiglie cristiane è destinato a diminuire».
Un altro problema, poi, è legato al basso tasso di natalità proprio delle famiglie arabe cristiane. «I miei genitori hanno avuto otto figli – racconta Sabella -, io ne ho avuti tre. E i miei due figli sposati ancora non ne hanno. Le famiglie cristiane palestinesi stanno adottando tassi di crescita demografica occidentali; le giovani coppie alimentano aspettative tipiche della classe media europea, come il sogno di una buona istruzione per i figli e di un buon lavoro. Anche per questo il nostro tasso di natalità è diminuito e si attesta intorno all’1,5 o al 2 per cento; pur essendo positiva, si tratta di una percentuale inferiore a quella della più numerosa comunità musulmana. Il problema inoltre è che il tasso di emigrazione della comunità cristiana è dell’1 per cento all’anno».
Morale: la comunità cristiana di Terra Santa non sta crescendo; e in termini relativi sta addirittura precipitando. «In ogni caso uno dei problemi centrali è quello dell’instabilità politica – continua Sabella -: se potessero immaginare una vita normale per i propri figli, molte famiglie cristiane rimarrebbero in Palestina. La situazione è migliore, invece, per i cristiani arabi che vivono in Israele. In una città come Haifa, ad esempio, i cristiani arabi vivono in pace con musulmani ed ebrei ed è possibile progettare il futuro».


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